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Non pretendere il mio amore, Professoressa

Non pretendere il mio amore, Professoressa

Antologico goliardico con un 1 inedito

Iannozzi Giuseppe

Iannozzi Giuseppe

Non pretendere il mio amore

E’ questo un colpo basso
Non ti ho dimenticata
Sono passato a Natale
E sono tornato quello dopo
Ho con me portato prima una
poi due lacrime vestite di luna
Ho pregato perché il vento
non mi facesse il verso
dicendomi bastardo e bardo
Inutile: per me due scherni
E non ero io
l’ombra della colpevolezza

Sono rimasto ben lontano dal fiume
Spiavo in cielo le rondini volare
e cadere avvolte nei mulinelli d’acqua
Spiavo attraverso il buio dei boschi
cercando una principessa o una pornostar:
non avrei badato alla differenza

Non puoi essere con me così ingiusta
Sempre ti ho avuta nel cuore, e nelle mutande
I polsi mi sono tagliato per immergerli
in una pinta di birra aromatizzata col miele
Ho atteso che il nero disegnasse le mie orbite
Ma Odino ha rifiutato la mia vita:
m’è restato sol più d’ubriacarmi
fino a farmi scoppiare le tempie
Con mio sgomento sono rimasto in piedi
e il cammino m’è toccato di proseguirlo

Non puoi dire che non ti ho amata
Ho fatto tutto quello ch’era giusto
che facessi, non puoi chiedermi di più
adesso che all’improvviso sei tornata

Il filo della tua spada vuole la mia testa
La vuoi veder rotolare ai tuoi piedi
Ma non è possibile,
perché mi sono innamorato
di questa vita che è mia
Non puoi scrivermi l’epitaffio col rossetto

Sono stato attento a non cadere nel fiume
Adesso non puoi pretendere l’impossibile
Ho seguito alla lettera il tuo avvertimento
Mi sono tenuto lontano dalle sponde,
infide di fango e di destino: e non sono caduto
Sono stato attento e ho camminato
fino a piagarmi i piedi come quelli d’un santo
Adesso non puoi pretendere tutto quel che ho

Non puoi, non puoi pretendere quel che amo

Professoressa, ero io

Professoressa, stavo sempre dietro alla lavagna
Professoressa, perché arrossivo finivo in castigo
a contare i gessetti rotti caduti sul pavimento,
a baciare il gesso polveroso del cancellino
Professoressa, ho passato la vita intera in castigo
e non ce la faccio più a spiarti le gambe accavallate

Non ce la faccio più a correre più veloce d’un topo
per tornare dietro alla lavagna piena della tua grafia
prima che sia tu a rimettermi al mittente
a suon di bacchettate
Non posso più tenere bordone a questa vita
Ho bisogno di respirare aria a pieni polmoni
Devo andar via da questa scuola, Professoressa
Imparerò a dimenticare la linea delle tue gambe
e quella delle tue labbra rosse d’ardore e rabbia

Professoressa, non potevo più vivere sconfitto
Ho una vita sola, e tanti amori da reclamare
aspettano che io li porti alla luce del sole
Così, Professoressa, ti dico ciao, ti dico addio
Ti auguro fortuna, alla tua classe ti lascio

Ti auguro anche di trovare un altro discolo
da mettere in castigo: non sarà però facile
rimpiazzarmi con il primo della classe
perché io ero il migliore, ero il tuo sogno
Ero io la tua confessione, il tuo catechismo
Professoressa

La tua natura

Di te, oramai
conosco gli angoli
il centro e ‘l cateto
Per me
non sei più segreto,
gioco
che possa vellicare
impunemente

La natura tua,
animosa,
più non m’è ignota;
sappi però
che per questo
non ti disprezzo

Anzi!

M’hai fatto
dono inconsapevole
d’una storia
da raccontare
agl’amici miei
domattina
quando accanto a me
ancora ti troverò,
nel mio letto
al mio collo legato
avvinghiato serpente

Una rosa sei

Una rosa sei
e vera non sei
Sol le spine
la carne pungono;
l’anima
in disparte rimane,
gentile sì
scintillante,
un diamante
certamente duro
che via taglia
i maligni vincagli
dell’amor portato
in perfida offerta

Una rosa sei
Ma più vero è
che ti manca
il rosso acceso,
l’ardore e l’eternità:
a tutti le doni
le tue spine
a ferire la pelle
per una lacrima,
per una appena
Sol questo ti tenta,
e nel sangue t’inganna
E da sola
per sempre ti lascia

Alla tua porta

La nebbia m’avvolgeva
in una coperta
che gl’occhi tuoi avevano
tessuto perché più non trovassi
la tua porta aperta
né battendo i pugni né tirando sassi

Ti volevo restare accanto
almeno per un altro momento
a costo d’inventarmi una scusa
e un inferno mio dove giacere
Ti volevo far ballare fino a morire
Non ti potevo vedere
per quanto forte il battito nel sangue
– e chiodi confitti nelle tempie
di luna e d’argento, e oramai dagl’anni
quasi del tutto consunte

Consumato, più cieco dell’oblio,
tu al mio io non desti ricovero
né avviso; stracco affamato famelico
come lupo fiutavo l’aria,
e ogni respiro la gonfiava di più
di quella nebbia
che tu mettesti sul mio passo
fino ad avvolgermi tutto

Distrutto,
incapace di sapere quali le mie orme,
la terra mi scuoteva dalla testa ai piedi,
fino a che nude lingue di fuoco non s’alzarono
per tagliarmi con eco di risate lingua e rotule
Caddi poi; nella cenere del mio corpo rimasi,
inerte restai aspettando un soffio di vento
che mi portasse via, per sempre via:
il tuo sospiro!

There is no God

Non ci sono più stelle
Non ci sono più parole
Solo questo vento
che strappa dagl’occhi il pianto

Ho perso il più bel fiore, l’amore
Ho tutto perso per crudele paura

Non ci sono più verità o crudeltà
che possano portarmi bene o male
Non ci sei più tu, manca il futuro
su queste mie labbra di morte

Non ci sono più io
Non ci sei più, non siamo più noi
Così assurdo per assurdo
ti faccio ancora la corte
E se ti sembrerà stupido, così è
Ma…
Non ci sono più stelle
Non ci sono più pallottole in canna

Tutto ho perso, l’ignoranza e la speranza,
il vestito della domenica e quello per il funerale,
la preghiera e la bestemmia, il futuro in blocco

Non ci sono più io
Non ci siamo più noi
under this blue sky
There’s no sex
Non ci siamo più noi

And there’s no war, there no peace
And I can’t turn the page
I can’t fly without you, without you

Under this blue, blue sky
tutto ho mandato al diavolo, without your eyes

Under this blue, blue sky, there’s no God
tutto ho mandato al diavolo, without your hands

Under this blue, blue sky, there’s no a place to go
tutto ho mandato al diavolo, without your madness

Membri e rimembri

Rimembri il membro,
quello lungo e snello
che ti disse in fallo?
Ah, certo che sì:
tu lo rimembri il membro
ampolloso – sborroso –
che veniva e veniva e veniva
mentre tu gridavi l’ossesso
che il sesso t’aveva messo
nell’alma vorace,
nel ventre ferace
Et allora più non potesti negare
ch’eri nata per godere

Dicevi sempre a tutti
ch’eri ‘na suora,
che mai l’avresti fatto
così su due piedi:
e poi, rimembri che nell’androne,
nella tromba delle scale
fin su lo zerbino?

E gridavi, dio quanto gridavi!

Ah, tu rimembri il membro
quant’era bello,
delizia di Venere
e del palato pure
Che membro quel membro,
mai una volta in fallo:
una volta provato,
rimembro io
che non volevi affidarlo
al Fato
che crudele
– poco ma sicuro –
te l’avrebbe portato lontano,
sì, anche dall’ano

E gridavi, per dio se gridavi!

Poi alla fine gridai io:
evirato fui, a tradimento
per un piccolo
ma proprio piccolo tradimento
con quella tua bella sorella

Ah, lo rimembro anch’io il membro
E nient’altro, nient’altro

Di cuore e d’intestino

Quando son sceso
giù da basso
ove stanno i rifiuti organici più putridi
certo sapevo che andavo incontro
a infame destino
Non potevo però immaginare
che così avverso mi fosse:
calato che fui
quasi svenni
per indotto sonno ferale
La puzza era tale
che manco il male incarnato!
Eppure là qualcuno ci viveva
come nulla fosse
e i bisogni li espletava
tirando a sbadigliare
ma più spesso a scoreggiare
Colle gambe molli
ammetto che il coraggio
m’è venuto meno
e rischiando di rompermi del collo l’osso
era io già pronto per una rapida ritirata
Tuttavia rimasi
per scoprire quale essere poteva mai
dar luogo a sì tanta flatulenza:
alle pareti trovai lo sguardo maligno
di quelli che un tempo furono di Destra
e che perirono nel sogno
di non tagliarsi più da soli i coglioni
Ovunque lo sguardo io gittassi
scabre pareti incontravo,
a volte nude altre no:
manifesti dal tempo corrosi,
e più avanti, a ogni passo, l’aria mefitica
s’infiltrava nei polmoni miei squassandoli
Messo com’ero
avrei fatto bene a darmela a gambe,
ma la tosse mi squassava;
eppur ammetto che quella gola raschiata
fu per me il solo sollievo,
mi risparmiò difatti di respirare
più del necessario
Dopo immane sacrificio,
finalmente:
era lei, con il solito attacco
Era lei e la sua colite
seduta col ghigno satanico in faccia,
sulla tazza d’un cesso
preso dalla gromma e dal piscio di anni e anni
Quella visione
– inaccettabile all’umana comprensione –
fece di me un essere annichilito
Come poi ne fui fuori, non so dire
Forse per intervento divino
Forse per atto di bontà
di qualche povero diavolo in paradiso
Io solamente oggi so
che laggiù, in quel loco fetente, mai più

Che diavolo vuole una donna?

Tu che dici?
Una donna
che cosa si aspetta da un uomo?
Io credo
che la cultura serve a poco o niente
con le donne
O sono io che sono prevenuto?

Ci sono delle donne
che perché hanno letto un libro
in tutta la loro vita si credono la Madonna
Ci sono poi quelle
che un libro mai e che nonostante ciò
se la tirano più della Maria Maddalena
Ci sono poi quelle
che non se la tirano ma non te la danno
Ci sono quelle
che te la danno in cambio di soldi
Ci sono quelle
che la danno solo ad altre donne
Ci sono quelle
che non la smollano nemmeno a Gesù Cristo
Ci sono quelle
che sembrano donne con le gonne,
ed invece quando le tocchi
ti ritrovi fra le mani un bella calibro 45
Ci sono poi quelle
che se non le tocchi proprio è molto meglio
Ci sono anche quelle
che sono femministe convinte più dell’Unto,
e anche con queste meglio non provarci
Ci sono persino quelle
che sono uguali alla tua mamma,
così tanto che ti fanno quasi pena
Ci sono quelle
che ti salterebbero addosso
ma col coltello in mano per tagliartelo,
il pene ovviamente, per tua pena
Ci sono quelle
che pregano da mattina a sera,
e poi solo in posizioni rigide e canoniche
Ci sono quelle
che sanno tutto di Buddha e della Bibbia
e di quanto è profondo l’ano d’un uomo:
meglio starne alla larga, con o senza vaselina
Ci sono quelle
che sono nate per essere stronze e basta
Ci sono quelle
che sono così tanto brutte
che quasi quasi meglio andare con un uomo
Ci sono quelle
che sono proprio più brutte della fame
e allora meglio una scimmia o al limite una capra
Ci sono quelle
che sono sempre maledettamente in carriera:
quindi meglio una partita a carte cogli amici
o una mano amica se proprio uno non ce la fa
Ci sono quelle
che pensano d’essere la reincarnazione della Emily,
e ti fanno a pezzi a forza d’impossibili scontrini fiscali
E ci sono persino quelle
che scrivono romanzi per pubblicarli:
ovvio che si corrono meno pericoli
a cacciarsi in cella con Charles Manson
piuttosto che finire a letto con una
che sa scrivere il tuo nome e cognome
E ci sono quelle
che ti comandano a bacchetta
fino a farti morire d’infarto e disperazione
E ci sono quelle
che si credono seducenti
solo perché hanno l’equilibrio
di reggersi su dei tacchi più alti delle Torri Gemelle
E ci sono quelle
che invece ti chiudono il naso mentre dormi,
e finisci così col dormire per sempre sottoterra
E ci sono quelle
che stanno sempre zitte e mute
e che sono proprio delle schiave
Ma ci stanno pure quelle
che non si fanno mai i cazzi loro,
per la serie, “i cornuti non passano mai di moda”
Ci stanno poi le anoressiche
e tutto un sottobosco di sfigate allucinanti
E c’è la playgirl,
simpatica, non dico di no:
ama tutti gli uomini e in particolare il suo,
è però troppo furba persino per il diavolo
e quando meno te lo aspetti ti mette a letto
legato e nudo più d’un verme
senza più un euro in tasca né un Durex

E, tu che dici?
Una donna
che cosa si aspetta da un uomo?
Io credo
che la cultura serve a poco o niente
con le donne
Non conta la bellezza né quanto ce l’hai duro
Conta solo quanto è lungo il conto in banca

Soltanto un uomo

D’accordo
Mi dimetto
Non poeta, soltanto
marinaio tra le onde
e a ogni porto un amore;
poi tanti cazzotti
e in mare di nuovo
a provare la durezza
degl’uomini soli
senza una donna

Mi dimetto
Rimetto quel poco
che lo stomaco
m’ha retto dentro
Tra onde alte
più dei miei castelli
in aria
ho finalmente capito:
stringo le chiappe
e chiudo gl’occhi

senza risultato


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