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Emily Dickinson - La mia lettera al mondo



Emily Dickinson (1830-1886) nacque e visse ad Amherst, un piccolo centro del Massachusetts. A fronte di un corpus estremamente vasto che comprende circa 1800 poesie, nell’arco della sua vita pubblicò solo una decina di testi, grazie alla complicità con Samuel Bowles, direttore dello «Springfield Daily Republican». Anima sensibile e solitaria, la famiglia e gli amici le alleviarono l’isolamento cui la sua indole irrimediabilmente la destinava. Scrivere lettere fu un’attività da lei sempre coltivata, un mezzo per comunicare col mondo: non a caso molti dei suoi versi viaggiarono e si fecero conoscere insieme alle missive che era solita spedire a conoscenti ed estimatori.

«Quando penso agli amici che amo e al poco tempo che abbiamo da stare qui, quando penso che poi ce ne andiamo, provo una sensazione di sete, un desiderio forte, unansia impaziente per paura che mi vengano rubati, per paura di non poterli più guardare. Vorrei averti qui, vorrei avervi tutti qui, dove posso vedervi, dove posso sentirvi».

Nella monotona atmosfera della provincia ottocentesca americana casa Dickinson fu un cuore pulsante, un centro capace di aggregare le intelligenze più acute del luogo.
In occasione dell’uscita del volume curato e tradotto da Andrea Sirotti per la collana “classici” di Interno Poesia, Rita Bompadre, poetessa, insegnante e divulgatrice presso il Centro lettura Arturo Piatti, ci offre questa nota critica e il suo omaggio a Emily Dickinson. 

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La mia lettera al mondo di Emily Dickinson è una silenziosa ed autentica testimonianza intimista, un’opera che infiamma elemosine d’amore, travolge la pena come un dolore prolungato, accompagna lusinghe arrendevoli nell’indifferenza di ogni inclinazione umana. In memoria di un epilogo dell’assenza che accresce la perennità del destino poetico. Nella poesia di Emily Dickinson l’eco del tempo, rallentato e carico di densità emotiva, attrae nell’incantesimo della crudele tenerezza del cuore, nella linea d’ombra che confonde sogno e realtà. I versi della poetessa seguono la lacerante fatalità di un respiro oltre le speranze del desiderio, tracciano il segno di un passaggio inseguendo la ricerca di un giorno in cui si sarà amati. Il suo congedo spirituale è una vertigine dell’anima, un soliloquio per oltrepassare il mondo e passargli «di fianco, obliquo come la pioggia». L’autrice vive di una struggente ossessione di sensibilità, avvolta nei pensieri poetici in cui cresce la sua infinita tristezza trafitta sulla carta. L’atmosfera dolorosa ed impietosa di ogni incomprensione estende una solitudine estrema, sacrificata e sprigiona il legame con la franchezza dell’esigenza letteraria e le sentenze degli abbandoni. I versi rimarginano consapevolezze amare e profonde e procedono a ritroso nella incoerente purezza della vita. Il dono di Emily Dickinson è una rarità di corrispondenze lungo il percorso dell’immobilità delle epigrafi alle sue parole, nell’intensità del suo sguardo vedovo sulla bellezza. Il disincanto difende il nascondiglio privato della saggezza e sceglie la poesia. Contro la strategia di ogni malinconica distanza l’autrice riabilita la sua arte, rinnovando ad ogni equilibrismo esistenziale la facoltà infinita di uscire dal dolore e rinascere nella consistenza della coerenza affettiva e della propria ereditaria efficacia.


(Di Rita Bompadre)


Edizione recensita:

Emily Dickinson, La mia lettera al mondo, a cura di Andrea Sirotti, Interno Poesia – collana Interno Classici, 2019


Non c’è vascello che meglio di un libro
possa portarci in terre lontane
né migliori corsieri di una pagina
d’impennante poesia –
Questo viaggio può farlo il più povero
senza tema di pedaggio –
Tanto è frugale il cocchio
che porta l’anima umana.




Ritratto di Emily Dickinson



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