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SIMENON

Sto leggendo i libri di George Simenon     - sarà una collana di 25 numeri-      che 'Il Corriere della sera ' pubblica ogni martedì. Una lettura non facile, ma assai coinvolgente, almeno per me.
 Pare che Simenon abbia vissuto più vite, tanto è stato capace  di  perlustrare l'animo umano e di metterne in evudenza i difetti gli istinti e gli impulsi.                                                                        
Simenon non mi sorprende più. Io lo definisco uno scrittore angoscioso per il suo condurci  all' origine di certi drammi umani che,  pur  non vissuti,  potrebbero aspettarci dietro l'angolo.                            
Simenon sottintende  che qualsiasi sentimento, buono o cattivo che sia, potrebbe coinvolgerci, magari in un periodo particolare della nostra vita, schiava di pensieri nati da una depressione, da una delusione, da un momento di debolezza che nessun ragionamento etico-filosofico può dirimere , che certe esperienze  più o meno volontarie possono essere comuni ad ogni essere umano. 
Simenon sembra voler confermare la frase di Garcia Marquez  :  "Tutti gli esseri umani hanno tre vite: pubblica, privata e segreta."


Oggi vi parlo di "Lettera al mio giudice", scritto da S. nel 1946, ma quanto mai  attuale perchè  precorre la piaga della violenza sulle donne scandagliando la mente del protagonista che    - con una lettera-confessione al giudice-     vuole fargli capire il perchè delle  azioni  commesse cominciando a descrivergli l'inutilità della propria vita, prima dell'incontro con l'Amore. Egli, per descrivere la propria esistenza conformista e monotona, usa una similitudine, quella dell'uomo che ha perso la propria  ombra "Provi ad immaginare di camminare sul marciapiede inondato dal sole e la sua ombra procede con lei, quasi  al suo fianco; la vede spezzata in due all'angolo che i muri bianchi delle case formano  col marciapiede.[...] A un tratto, l'ombra che l'accompagnava scompare, si volta e non la trova; si guarda i piedi e li vede emergere da una pozza di luce [...] 
Il protagonista non sa dire quando l'ha persa l'ombra, ma intuisce che è da quel momento che ha cominciato a chiedersi che ci facesse  lui in qulla città tra gente sconosciuta, compresa la sua famiglia  E' stato allora che si è reso conto che il suo malessere nasceva dal dare tutto per scontato, che il mondo va bene così com'è,  che ciò che esiste esiste, che dobbiamo procedere di conserva.
Mi è capitato 3/4 volte, nel corso della vita. di guardarmi nello specchio e non riconoscermi o meglio, di domandarmi chi fosse quell'estranea riflessa.Ora mi sembra che Simenon abbia saputo dare una risposta a quel senso di estraneità  che penso di non essere l'unica ad aver provato, in certe circostanze.
Oppure  sono un po' suonata? 






                                






             .                                                                                                   


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