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COLLOQUIO TRA WLODEK GOLDKORN E Niklas Frank

http://espresso.repubblica.it/visioni/2017/01/16/news/niklas-frank-mio%20padre-nazista-e-mostro-1.293540




Niklas Frank: "Vi racconto Mio Padre, un mostro nazista"

Governatore della Polonia occupata. Responsabile di milioni di morti. Impiccato a Norimberga. Per il figlio, ancora oggi, Hans Frank 
incarna il male assoluto. Un male che può tornare: «Quando vedo 
la xenofobia in Germania penso: per fortuna è morto, se fosse vivo sarebbe contento»


DI WLODEK GOLDKORN  
 



Signor Frank, lei ripete spesso la frase: «Grazie a Dio, mio padre è stato impiccato». Perché?
«Perché se non fosse stato impiccato, se fosse sopravvissuto al processo di Norimberga, mio padre avrebbe rovinato la mia adolescenza con le sue parole velenose e nefaste. Avrei avuto bisogno di molto tempo e di grande forza per liberarmene. Io sono contro la pena di morte, ma lui se l’è meritata».


Porta sempre con sé la foto del cadavere di suo padre, pochi istanti dopo l’impiccagione a Norimberga?
«L’ha visto in un filmato, vero? E allora, mi spiego. La portavo in tasca, anni fa. Un’ondata di xenofobia e razzismo si stava riversando sulla Germania. Volevo quindi essere sempre sicuro che mio padre fosse davvero morto, che non stesse sorridendo e ammiccando, perché se fosse stato vivo, in quel momento sarebbe stato contento. Avrebbe pensato che le sue idee e i suoi pensieri non erano morti»


.Una volta raccontò di aver visitato il ghetto di Cracovia.
«Ci sono andato con mia madre. Eravamo su una Mercedes. Mia madre entrò in un negozio per accaparrarsi delle pellicce; lei adorava il lusso, le pellicce, i gioielli, ci teneva moltissimo allo status di una donna dell’alta società. Mi rammento le facce tristi delle persone, mi ricordo gli uomini con la frusta in mano (le SS, ndr.)Mi stupivo che anche i bambini fossero tristi e così a uno di questi avevo fatto la linguaccia, doveva essere due anni più grande di me. Il bambino si voltò se ne andò e io mi sentivo come se avessi vinto un duello. Mi ero alzato in piedi in macchina e avevo fatto il gesto di trionfo con le braccia. La mia tata, si chiamava Hilde, mi costrinse a rimettermi a sedere».

 Come fa a ricordarselo?
«Circa trent’anni dopo Hilde stava morendo di cancro e io sono andato a trovarla. Le raccontai quella scena e lei mi spiegò che si svolse davvero nel ghetto di Cracovia».

In quel momento nel ghetto di Cracovia si trovava un bambino diventato famoso: Roman Polanski. Sua madre faceva la donna delle pulizie al Castello dove lei abitava. È stata assassinata ad Auschwitz, in una camera a gas, mentre era incinta.



Cosa è la memoria per lei?
«Prima di tutto dolore. Provo un immenso dolore quando penso a ciò che abbiamo fatto. Ma nel contempo, nella mia vita privata e intima non mi sono mai lasciato distruggere dai misfatti di mio padre e di mia madre. Mai. La vita è più forte di loro, delle loro menzogne, dei loro crimini.


Però, non poter amare proprio padre, continuare a odiarlo, è una situazione da vittima.
«Ma cosa sta dicendo? Non sono una vittima, ho avuto una vita bella e piena di soddisfazioni anche professionali, da giornalista. E per quanto riguarda mio padre: come avrei potuto amarlo? Ha distrutto milioni di vite umane. Perché mai avrei potuto e dovuto perdonare questo assassino senza cuore? 


Signor Frank, qual è il suo rapporto con la Germania?
«Diffido dei tedeschi. Come dicevo, nel rapporto con i profughi viene fuori l’anima cattiva dei miei connazionali. Non voglio generalizzare. Siamo pur sempre un popolo di 82 milioni di persone, ma ho molta paura. Penso che rischiamo di diventare una società orribile».


Ha mai visitato i campi di sterminio?«Sì, sono stato a Birkenau, anche se quel luogo non faceva parte dei territori governati da mio padre».

Quante volte c’è stato?
«Più volte».

E come si è sentito?
«Ho sentito una rabbia furiosa».




In ricordo di Irena Sendler che invece...
http://espresso.repubblica.it/visioni/2017/01/17/news/irena-che-salvava-i-bambini-del-ghetto-di-varsavia-1.293618


Irena Sendler, nata nel 1910 e scomparsa nel 2008 (quasi centenaria, quindi) è stata una delle più grandi eroine della Resistenza, resistenza umana e non armata, ai nazisti in Europa. Socialista, donna libera e emancipata, persona di un coraggio inimmaginabile, ha salvato circa 2.500 bambini ebrei durante l’occupazione tedesca della Polonia. Ha portato via i piccoli dal ghetto della capitale polacca, li ha collocati in famiglie e conventi, li ha forniti di documenti falsi, con nomi e cognomi diversi da quelli veri.Non solo, ha anche tenuto un registro di questi bambini, in modo che, una volta finita la guerra, potessero tornare alle loro prime e vere identità.

Quando, nel 1942, diventa chiaro che 
i nazisti vogliono deportare l’intera popolazione del ghetto nel campo di streminio di Treblinka, lei, con l’ausilio di amiche e colleghe e di un autista di camion polacco, decide di far uscire più Bambini possibile.’organizzazione che aiutava gli ebrei si chiamava Zegota ed era guidata da Jan Grobelny, un socialista che morì di tubercolosi nel 1944, e che a detta di chi lo conosceva era la bontà fatta persona. Ne facevano parte anche personaggi di destra, cattolici devoti: 
e questi pensavano che, una volta battezzati, i bambini ebrei non dovessero più (alla fine della guerra) essere restituiti alla comunità. Per impedire questo la Sendler, con una precisione maniacale, compilò gli elenchi con i rispettivi indirizzi dei ragazzi. Quando venne  arrestata,nell'ottobre 1943 dalla Gestapo, fu sottoposta a pesanti torture (le vennero fratturate le gambe, tanto che rimase inferma a vita), ma non rivelò il proprio segreto. Condannata a morte, venne salvata dalla rete della resistenza polacca attraverso l'organizzazione clandestina Żegota, che riuscì a corrompere con denaro i soldati tedeschi che avrebbero dovuto condurla all'esecuzione. Il suo nome venne così registrato insieme con quello dei giustiziati, e per i mesi rimanenti della guerra visse nell'anonimato, continuando però a organizzare i tentativi di salvataggio di bambini ebrei.
Terminata la guerra e l'occupazione tedesca, i nomi dei bambini vennero consegnati ad un comitato ebraico, che riuscì a rintracciare circa 2.000 bambini, anche se gran parte delle loro famiglie erano state sterminate a Treblinka e negli altri lager.




























































































































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