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I Gulag: i campi di concentramento sovietici

“Glavnoe upravlenie lagerej”: Direzione Generale dei Campi.

Da cui (Gulag) secondo Anne Applebaum, autrice di “Gulag: a history” (2003), il termine, introdotto a partire dal 1930, indica «l’intero sistema sovietico di lavoro forzato, in tutte le sue forme e varianti».

E in senso più ampio, lo stesso sistema repressivo sovietico, l’insieme delle procedure che un tempo i detenuti chiamavano tritacarne: arresti, interrogatori, trasferimento in carri bestiame, lavoro coatto, il tutto nel gelo della Siberia.

Una spietata persecuzione: distruzione di famiglie, anni trascorsi in esilio, morti precoci e inutili. Una pagina orrenda nella storia dell’Unione Sovietica.

Una pagina da rileggere, perché l’influenza politica, il peso militare dell’Urss sul mondo Occidentale (fino al 1991) e la tardiva reperibilità di fonti autorevoli per la ricerca hanno a lungo ostacolato la conoscenza diffusa di quanto accaduto.

Non c’è stato un processo di Norimberga per i dirigenti comunisti responsabili, e molto tempo, troppo, è trascorso prima che si sapesse dei corpi sepolti in quelle lande sperdute (nei Campi nella regione lungo il fiume Kolyma, per esempio) o delle migliaia di individui deportati nelle steppe del Kazakistan (specie nella regione di Karaganda).

Una realtà sconosciuta, tanto che Hollywood non ha ancora prodotto un solo film sui Gulag. E ce ne sarebbero di storie da raccontare!

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