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La prima volta fa paura

Tempo di Lettura: 4 minuti

Dispetto #98 – Il primo match di improvvisazione teatrale

Una cosa di cui vado molto fiero è il mio essere tante cose, con il rischio di non esserne neanche una.
Il blog, il mio lavoro – si perché ne ho anche uno “normale” – le presentazioni di libri, la canzoni e soprattutto l’improvvisazione teatrale sono tante parti di me.
Nel sondaggio Instagram tra i vari argomenti proposti ho voluto mettere il racconto del mio primo match di improvvisazione.
È stato l’argomento vincitore della settimana, anche se il numero di voti e il pochissimo distacco mi ha fatto pensare che “Il coach dell’amore”, secondo classificato, abbia di diritto lo spazio della prossima settimana.
Ora però è il momento di pensare a quel momento, quella prima volta. Una sera in cui arrivai con uno stato d’animo difficile, per tanti motivi, uno dei quali è che la prima volta fa paura.

la prima volta fa paura, come un teatro vuoto

Ho problemi di Ego, lo so. Parlo tantissimo di me, perché mi serve per capirmi e se mi capisco riesco a comprendere meglio gli altri.
Quando qualcuno me lo fa notare mi vien da dire: “ho un blog dove racconto la mia vita, faccio canzoni su di me, se non bastasse vado su un palco solo per avere un applauso in più. Pensi io non sappia di avere un ego ipertrofico?” È quando questo ego viene alimentato che iniziano i problemi.

Quando feci il mio primo saggio di improvvisazione teatrale, sceso dal palco, mi fermò una ragazza solo per dirmi: “Sei bravissimo”. Dopo il secondo, Federico, il direttore artistico della compagnia all’epoca – quello che poi con il tempo ha messo la Ferragni sul palco di Sanremo – mi disse: “Ci sei portato per questa cosa”. Chiamai subito la mia ragazza per dirle “Ehi mi ha fatto un complimento” con lo stesso entusiasmo e incanto di un’adolescente degli anni ‘90 che scriveva sulla Smemo che quello della 3C l’aveva guardata due volte all’intervallo. Dentro mi sentivo già una star.

All’inizio del terzo anno mi spiegarono che da quel momento in poi sarebbero arrivate delle mail per dare la disponibilità per gli spettacoli e poi avrei dovuto aspettare la convocazione.
Credevo tantissimo in me. Così tanto da dare per scontato il fatto di essere convocato, e quando poi questa sarebbe arrivata sarebbero state solo grandi soddisfazioni sul palco.

Puntualmente dopo la prima richiesta di disponibilità arrivò anche la prima convocazione. Match a Torino.
Con la musica quando andavo a suonare da Bergamo a Brescia lo trovavo un grande risultato, raggiunto con anni di fatica. Con l’improvvisazione in un attimo mi trovavo ad andare in trasferta a Torino. Come facevo a non montarmi la testa?
Lo spettacolo sarebbe arrivato di lì a un paio di mesi. In quei mesi dentro la mia testa crescevano l’attesa e l’aspettativa su me stesso.

In quel periodo lavoravo per quell’azienda dove poi l’anno dopo ho subito il richiamo per il post di Facebook. E quei due mesi di differenza erano quelli dove c’è il cambio gomme “estivo/invernale”, il classico momento dove un’azienda leader nella distribuzione di pneumatici si trova a dire “Perbacco, è aumentato il lavoro, non me lo aspettavo”.
Fu un incubo. Mi ritrovavo sul divano, rannicchiato, pensando di aver paura di andare al lavoro.
Un giorno piansi salutando il gatto uscendo di casa. Scoprii solo in seguito che quelli erano principi di attacchi di panico.

Certo questo non era lo stato d’animo migliore per affrontare un esordio. Inoltre tutta la mia autostima, mista al fatto che la prima volta fa paura, stava trasformando lentamente la mia adrenalina in ansia. Perché quando mi creo troppe aspettative, poi ho paura di non esserne all’altezza.
L’idea di fallire diventava, ogni giorno di più, una piccola certezza.
Arrivò la sera del match, un Venerdì. Uscii prima dal lavoro, ma feci l’errore di restare reperibile, come se non riuscissi ad allontanarmi. Non sapere cose potesse succedere in azienda mi destava anche più di tutto quello che stava già succedendo.

Un attimo prima di entrare in teatro vidi una mail.
Il referente del lavoro mi chiedeva il perché di una situazione di cui non potevo sapere nulla, ma io sentivo la responsabilità di dare una risposta. Ma quale? In quel momento poi? Non riuscivo a non pensare a quella risposta che non avevo e che volevano da me.
Ero sperso, confuso. Dentro un vortice di atelofobia, schiacciato dal peso e dall’ineluttabilità del pensiero della mia inadeguatezza. 
Non riuscivo a far tornare la mente su quello che dovevo fare: improvvisare.

Il pensiero di non essere all’altezza della mia autostima, della stima dei professionisti presenti a guardare, l’ansia data dal lavoro. Avrei voluto chiudermi in auto e dire: “Quando avete finito torniamo a casa”. Invece ero su un palco.
Passai la prima improvvisazione in panchina, non entrai. Pallido, impaurito da tutto e con la testa a treni di gomme in ritardo di consegna, non per responsabilità mia ma di cui avrei avuto la colpa.

Entrai sulla seconda. Pensavo: “Loro sono una grande scuola, sicuramente tutti gli allievi saranno bravissimi, mi affiderò a loro”.
Dissi una battuta, dall’altra parte percepii una risposta strana, in gergo si dice “Errore di ascolto”. Per me però in quel momento quello sbagliato però ero io, perché ormai era così: mi sentivo sbagliato e per la paura di sbagliare sbagliavo ancora di più. Ero nel peggiore dei vortici. Non riuscii più a dire una parola per tutta l’improvvisazione.
Una cantata andò malissimo. Avrei voluto stoppare la musica, scappare e far perdere le mie tracce per sempre.
Di tutta quella sera ho soltanto ricordi pessimi. Non ero sui livelli che pensavo di avere. Ero distrutto, non avevo un appiglio. Il Dio dell’improvvisazione quella volta mi disse: “Ne devi mangiare di pastasciutta”.

Domani sera sarò sul palco per un match di improvvisazione con i professionisti.
Anche stavolta sento l’adrenalina salire, ma dopo tanto tempo so di essere cosciente dei miei limiti e ho voglia di vedere “Dove posso arrivare”.
Il lavoro non mi sta dando problemi, non ho scuse. Non voglio farmi prendere dall’ansia, mi voglio solo godere questo momento. A fine spettacolo fare un inchino e sentire per un secondo il mio volto sorridere, che è diverso da sorridere e basta (cit mia, perchè ho un ego ipertrofico).

Se vuoi venire a vedere come andrà a questo link trovi tutte le info per prenotare.

Quale è stata la tua prima volta più traumatica? Raccontamela nei commenti

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