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Fuocoammare di Gianfranco Rosi

Fuocoammare di Gianfranco Rosi
Fermata Spettacolo

Fuocoammare è un film documentario di Gianfranco Rosi sui migranti che giungono a Lampedusa, premiato con l’Orso D’Oro al Festival di Berlino, in quanto mostra uno sguardo altro su un fenomeno spesso rappresentato dai media in modo distorto, come un’emergenza, un pericolo, un’invasione.

Come nell’opera precedente, Sacro GRA, anche in Fuocoammare l’oggetto del film è la periferia: siamo ai margini dell’Europa, della modernità. Proprio perché Lampedusa sembra ancora poco lambita dalla velocità della globalizzazione, i suoi abitanti nella loro vita scandita dalla quotidianità della gente semplice sembrano religiosamente capaci di accogliere come simili questi “poveri cristiani”.

Il docufilm si sviluppa nella rappresentazione di due mondi di vita paralleli, due condizioni esistenziali, la familiarità e lo spaesamento. Da una parte, Lampedusa con il suo vivere quotidiano, raccontato attraverso le giornate di Samuele, un ragazzino di 11 anni, inseguito dalla telecamera nei suoi giochi sull’isola, nel suo incedere sicuro tra gli scogli ed i sentieri, nell’ascolto incuriosito dei racconti di mare del padre pescatore. Lo sguardo delicato del documentario si sofferma sui gesti lenti e precisi della nonna che da sempre rifà il letto, bacia le statuine dei santi e della Madonna, oppure entra nello studio della radio locale per raccontare una dedica d’amore ad un marito in barca, in un paesaggio sonoro fatto delle onde del mare, dei rumori di una cucina, della melodia antica di una canzone siciliana. Dall’altra, la guerra di chi fugge dalla propria terra: le onde radio della Capitaneria di Porto, gli SOS, le coordinate sfuggenti, l’avvistamento dei barconi, i soccorsi, l’emergenza sanitaria, i Centri di accoglienza, i corpi ammassati nelle stive delle carrette del mare.

Due mondi paralleli ma non distanti. Gli abitanti di Lampedusa sono pescatori, anche loro conoscono la durezza del vivere in mare per mesi, così come sussurrato dal padre di Samuele “mare e cielo, mare e cielo”, quasi come fosse una preghiera, oppure il ricordo della nonna del rossore del mare ai tempi della guerra, il pericolo per i pescatori quando c’era, appunto, il fuocoammare. Il mare diventa rosso, come la lacrima di sangue sulla guancia di un uomo appena salvato. Una lacrima di sangue che fa pensare poco, o forse molto, chissà, al miracolo del santo.

Con questa opera Rosi ci invita a guardare il mondo con un occhio più umano, ci invita a liberarsi dell’“occhio pigro” così come fa il piccolo Samuele. Come gli fa notare il dottore di Lampedusa Pietro Bartolo “per giocare con la fionda ti basta un solo occhio”, ma se invece ti sforzi di vedere la realtà con uno sguardo differente, allora gli uccellini non sono più un bersaglio da centrare, ma esseri con i quali entrare in contatto, accarezzare, comunicare.

Anche noi spettatori europei dovremmo sforzarci di guardare la realtà in modo diverso, tappandoci con una mano l’occhio della paura e dell’indifferenza. Vengono in mente le parole della filosofa Francesca Rigotti ne Il pensiero delle piccole cose, quando afferma che “per superare l’indifferenza dobbiamo disimparare le nostre abitudini”, soltanto allora siamo capaci di quello “straniamento che risveglia le cose dallo stato di congelamento per renderle nuovamente percepibili”.

Fuocoammare è stato premiato a Berlino proprio perché destruttura il modo di vedere i migranti, così come siamo abituati, per cercare finalmente di parlare e avvicinarci piano piano a tutti coloro che sono diversi da noi, per risvegliare e di nuovo percepire la nostra umanità.

Fuocoammare di Gianfranco Rosi
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