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Gli Usa al fianco di Israele e il Pentagono prova a dissipare i dubbi sull’Ucraina


Di Lorenzo Vita

Dall’attacco di Hamas a Israele, l’Occidente non ha avuto dubbi. La solidarietà con lo Stato Ebraico è stata totale e, di conseguenza, l’assoluta condanna nei confronti di Hamas. Una scelta facilmente preventivabile, ma che si è concretizzata in due prospettive diverse: sia diplomatica che militare. In questo senso, gli Stati Uniti sono stati un esempio estremamente chiaro. Da una parte, Anthony Blinken, il segretario di Stato, ha avviato una missione diplomatica che lo vede confrontarsi con tutti i più importanti leader regionali. Ha parlato con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a Tel Aviv, ribadendo l’assoluta sinergia e il supporto di Washington nel momento più difficile per lo Stato ebraico. Ma subito dopo ha iniziato a incontrare i leader dei Paesi vicini che, pur avendo più o meno iniziato tutti un dialogo con Israele, condividono interessi diversi e devono soppesare agende differenti a seconda della geografia e dei rapporti diplomatici con l’Occidente e con lo stesso Stato ebraico. Un lavoro certosino e complesso del capo della diplomazia americana cui si aggiunge quello militare.

A questo proposito, è molto interessante che subito dopo lo sbarco di Blinken in Israele sia arrivato il capo del Pentagono, il generale Lloyd Austin. La Difesa Usa, e con essa tutta l’amministrazione Biden, è perfettamente consapevole che la partita che si sta giocando tra la Striscia di Gaza e lo Stato ebraico è qualcosa di più della “semplice” resa dei conti tra Hamas e il gabinetto di guerra di Netanyahu (e Benny Gantz). La partita riguarda la supremazia regionale, il controllo della stabilità dell’area mediorientale e di conseguenza quello sul futuro processo di assestamento di un terremoto dalle scosse ancora indefinite e forse indefinibili.

La scelta di inviare una (forse anche due) portaerei è già eloquente. La mossa è certamente politica, quasi da naval diplomacy, ma non sfugge a molti osservatori il fatto che Washington abbia voluto inviare un segnale non soltanto ad Hamas ma a tutte le potenze coinvolte nell’arena israelo-palestinese: Washington c’è e continuerà a esserci. E questo vale come messaggio non solo per Hamas e Hezbollah, ma soprattutto per i partner consolidati, quelli che tentennano e anche per i rivali sistemici: Russia e Cina. Il gruppo d’attacco della Uss Gerald Ford incrocia le acque del Mediterraneo orientale. Forse la raggiungerà anche quello della Dwight D. Eisenhower.

Nel frattempo, il processo di rafforzamento dello schieramento militare tra le basi mediorientali, in particolare quelle del Golfo continua e sono in arrivo F-15 e F-35 oltre a migliaia di marines imbarcati nelle navi. Come riportato dal quotidiano israeliano Haaretz, il tenente generale dell’aeronautica americana Alexus G. Grynkewich ha confermato che gli F-15 Strike Eagle sono arrivati in Medio Oriente. L’obiettivo Usa, ha spiegato il militare, è quello di “rafforzare la propria posizione e migliorare le operazioni aeree in tutta la regione in seguito agli attacchi di Hamas contro Israele”.

Il sostegno del Pentagono riguarda inoltre le forniture militari a Israele. Lloyd Austin, durante la conferenza stampa con il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, ha garantito che gli Stati Uniti “si assicureranno che Israele abbia ciò di cui ha bisogno per difendersi”. Ma molti osservatori si chiedono se questa capacità di fornire aiuti, armi e proiettare forze sia in grado di resistere alla pressione mediorientale e a quella ucraina. Il capo del Pentagono ne è consapevole, conosce le critiche e anche le criticità, ma ha voluto comunque sottolineare che “gli Stati Uniti sono il Paese più potente al mondo. Noi restiamo perfettamente in grado di proiettare il nostro potere e di far fronte ai nostri impegni anche in scenari diversi. Di conseguenza staremo al fianco di Israele così come siamo al fianco dell’Ucraina“.

Un tema ricorrente, al punto che Lloyd Austin lo ha dovuto ribadire più volte. Ma è chiaro che il punto interrogativo resta. La sfida di Washington e dell’intero Occidente è quella di saper giocare in modo diretto e vincente su più livelli. E due di questi, Medio Oriente e conflitto tra Russia e Ucraina, sono non solo estremamente diversi, ma anche profondamente in grado di incidere sui destini regionali e globali. Così come sulla leadership Usa ai confini del suo “impero”.

FONTE: https://it.insideover.com/difesa/gli-usa-al-fianco-di-israele-e-il-pentagono-prova-a-dissipare-i-dubbi-sullucraina.html



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