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Dal reshoring al friendshoring: la lezione del mercato dei chip


Di Andrea Muratore

Dopo la discussione politico-economica sul “reshoring” oggi è tempo di “friendshoring“: il dibattito sulla politica industriale occidentale nell’era della de-globalizzazione e del post-Covid sta ammantando il neoprotezionismo e il ritorno degli Stati unendo questi trend al dato di fatto della prevalenza della sicurezza nazionale sul dato di semplice commercio e sviluppo. Un ritorno alle origini, al dettame di Adam Smith, che letto nella sua interezza più della “mano invisibile” teorizzava la visibile mano dello Stato come garante delle condizioni entro cui un’economia libera può prosperare. Un dato, quello delineato, che ben si applica al mercato dei chip. Unità di riferimento della nuova sfida geoeconomica tra Stati Uniti e Cina.

Il Center for a New American Security, un think tank statunitense che si occupa di questioni economiche e securitarie, ha preso di recente una posizione chiara sul tema alla luce della manovra di Joe Biden in Vietnam, conclusasi nel corso della visita del presidente a inizio settembre con la stipulazione di un accordo per la produzione congiunta di semiconduttori.

Carisa Nietsche, ricercatrice del Cnas, ha messo nero su bianco la posizione del think tank parlando dell’invito a creare formalmente un’alleanza di Paesi produttori di chip like-minded con gli Usa, cioè democratici. “La revisione dell’attuale approccio degli Stati Uniti è imperativa data la natura globale della catena di approvvigionamento dei semiconduttori”, scrive Nietsche in un editoriale ripreso da The Diplomat. “Gli Stati Uniti”, aggiunge dovrebbero formare un’alleanza denominata “Semi7” che “darebbe priorità a quei paesi che danno contributi significativi alla catena del valore e che condividono obiettivi simili. L’alleanza dovrebbe essere composta dai seguenti sette paesi: Stati Uniti, Taiwan, Corea del Sud, Giappone, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito”. Inoltre, “l’Unione europea dovrebbe far parte del gruppo in qualità di osservatore”.

Il “Semi7” della Nietsche non farebbe altro che consolidare i Paesi-target delle manovre degli Usa nel settore. La Germania è il Paese di riferimento per gli investimenti di Intel, gigante americano del settore; il Giappone e il Regno Unito sono partner militari, tecnologici e industriali con cui Washington può collaborare per la ricerca scientifica e il trasferimento tecnologico; Corea del Sud e Taiwan, con Samsung e Tsmc, sono i produttori dei chip di base più strategici per consolidare il contrasto agli Usa nelle catene del valore. L’Olanda, poi, è il Paese di Asml, “gigante silenzioso” della litografia più avanzata che crea i macchinari maggiormente strategici per il settore della produzione nelle fab.

All’appello manca perlomeno l’Italia, che con StMicroelectronics vanta un importante fornitore di molti settori industriali attivo anche negli Usa e con Technoprobe un’azienda dinamica e strategica nella costruzione delle importanti schede destinate a collaudare i chip durante il loro processo di costruzione. Ma il trend è chiaro: l’obiettivo in molti pensatoi statunitensi è quello di fare dell’asse tra i Paesi produttori di chip il nuovo “arsenale della democrazia” unendo coesistenza tra catene del valore e uso politico delle sanzioni contro la Cina per arrestarne la corsa alla primazia tecnologica globale. Biden, dal 2021 a oggi, ha notevolmente ampliato a colpi di ordini esecutivi le aziende cinesi incluse nella Us Entity List e sono sottoposte da parte al Dipartimento del Commercio alla necessità di ottenere licenze speciali, non garantite in partenza, per procedere all’acquisto di apparecchiature per la produzione di chip e schede di memoria, di software brevettati negli Usa per favorire la progettazione degli stessi e di strumenti tecnici legati al processo di manifattura dei semi conduttori. Sono circa seicento, ad oggi, le aziende cinesi colpite da sanzioni di questo tipo.

Nietsche traccia tre priorità che di fatto sono una codificazione degli obiettivi geopolitici degli Stati Uniti nella sfida con Pechino: “sviluppare valutazioni congiunte del rischio; intraprendere azioni difensive congiunte, come controlli sulle esportazioni o restrizioni agli investimenti; e lavorare per rafforzare la resilienza della supply chain”. Obiettivi di sistema che in prospettiva possono ridisegnare un’industria globale per definizione ma oggi sempre più chiamata a muoversi tra la Scilla della competizione geopolitica e la Cariddi della necessità di governare flussi di merci attivi per il pianeta.

La proposta del Cnas è condivisa in molti laboratori strategici Usa. L’Atlantic Council ha messo i semiconduttori al primo posto nel novero dei settori in cui appare decisivo operare una politica di consolidamento del friendshoring. Il Center for Strategic and International Studies (Csis) ha pubblicato la ricerca “Securing Semiconductor Supply Chains in the Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity (Ipef)” indicando negli accordi per il forum consultivo Ipef, di cui fanno parte anche India e Australia, lo scenario ideale ove espandere la ricostruzione delle catene del valore in senso anti-cinese. La logica della sicurezza come presupposto della prosperità prende piede: è la nuova globalizzazione ad arcipelago, con blocchi in competizione strisciante. In cui Washington non vuole perdere la leadership nel sistema occidentale che fa riferimento agli Usa.

FONTE: https://it.insideover.com/tecnologia/dal-reshoring-al-friendshoring-la-lezione-del-mercato-dei-chip.html



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