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Sovversivi, golpisti e violenti: la storia (oscura) della democrazia Usa


INSIDE OVER

Una folla di manifestanti, circa diecimila, pronta a invadere il Campidoglio e a forzare l’elezione di un presidente che aveva perso di misura le elezioni. Non parliamo del 6 gennaio 2021, ma del 14 febbraio 1877. A quel tempo il presidente non veniva inaugurato a gennaio, bensì a marzo. Così il deputato democratico Henry Watterson del Kentucky, editore e direttore del Louisville Courier Journal scrisse un articolo infuocato contro i repubblicani che volevano “rubare” l’elezione del democratico di New York, Samuel Tilden, favorevole a togliere il controllo federale dai processi elettorali del Sud. Minaccia che non si concretizzò anche per la dura reazione del presidente uscente, il repubblicano Grant, che minacciò una reazione commisurata all’entità della minaccia.

Quindi l’assalto di Capitol Hill, decisamente, non è stato un unicum nella storia americana. La sovversione violenta è sempre stata una spada di Damocle pendente su una repubblica nata in modo rivoluzionario, staccandosi dalla Madrepatria britannica grazie all’uso delle armi. Gli osservatori internazionali nel 1800 ad esempio non pensavano che la transizione tra il presidente John Adams, federalista, e il suo successore Thomas Jefferson, eletto nelle fila del partito democratico-repubblicano, sarebbe stata tranquilla. Ci si aspettava potenzialmente una purga dei seguaci di Adams, date le note simpatie giacobine di Jefferson. A sorpresa invece non accadde nulla.

I precedenti violenti

La transizione avvenne in modo assolutamente tranquillo, anche dopo una campagna elettorale particolarmente violenta. Non sarebbe sempre stato così, soprattutto a livello locale. A cominciare dal Rhode Island: nel 1842 Thomas Wilson Dorr, politico e attivista per il suffragio universale, decise di bypassare l’opposizione dell’élite rurale all’estensione del diritto di voto. Si fece così votare da un’autoproclamata “assemblea popolare”, protetta da una milizia di cittadini di origine irlandese che avevano conquistato, grazie a lui, la piena cittadinanza. Nel frattempo, veniva inaugurato il governatore legittimo Samuel Ward King, che dopo alcuni mesi di coabitazione turbolenta dichiarò la legge marziale e mise in stato d’arresto Dorr.

Poco meno di vent’anni dopo, sarebbero stati gli stati del Sud a staccarsi e non sempre attraverso metodi democratici: le élite schiaviste convocarono assemblee a loro favorevoli per staccarsi in fretta dal Paese. Se in Georgia i voti vennero aggiustati a favore della secessione, in Texas andò diversamente: il governatore Sam Houston era un arcinemico della secessione e rifiutò di giurare fedeltà alla Confederazione sudista. Per questo la legislatura secessionista decise di rimuoverlo il 15 marzo 1861, nonostante avesse messo in guardia che il Nord si sarebbe mosso contro il Sud come “una valanga”. Houston chinò il capo e accettò il suo destino.

Le battaglie nel Sud

Dopo la fine della guerra civile le milizie bianche del Sud cominciarono a usare le armi per sovvertire l’esito delle elezioni in cui gli afroamericani avevano finalmente conquistato il diritto di voto. È ciò che avviene nel 1874 in Louisiana quando a Baton Rouge una folla aizzata dalle milizie della White League occupò la legislatura statale a maggioranza repubblicana, ritenuta colpevole di aver proclamato la vittoria del Repubblicano William Pitt Kellogg sul candidato Democratico (e segregazionista) John McEnery in un’elezione contestata. L’intervento della polizia cittadina, comandata dall’ex generale confederato James Longstreet, non potè fermare gli insorti, che riuscirono a rimuovere alcuni legislatori afroamericani sostituendoli con dei bianchi.

Un altro esempio risale al 1898, quello più simile a una transizione violenta e non legale. In Nord Carolina avenne un vero e proprio golpe: la vittoria di un governatore sostenuto da una coalizione di repubblicani e populisti di sinistra viene rovesciata tramite un attacco militare con fucili e mitragliatrici condotto dai paramilitari delle Red Shirt. L’attacco viene organizzato attraverso le colonne dei giornali segregazionisti News & Observer e Wilmington Messenger con un proclama intitolato “La dichiarazione d’indipendenza dell’Uomo Bianco”.

Tra gli obiettivi non a caso non c’è solo la comunità afroamericana e la residenza del governatore neoeletto, ma anche il giornale rivale, il Daily Record, diretto da due afroamericani. L’attacco fece circa 300 vittime e rimpiazzò il risultato elettorale con il volere di un’élite politica che mal sopportava l’essere stata deposta da una coalizione multirazziale. Riecheggiando parole d’ordine che purtroppo abbiamo risentito di recente, articoli e editoriali segregazionisti sostenevano che la concessione del voto ai neri era stata “un crimine”.

Insomma, la violenza politica ad alto livello non è certamente una novità nella storia americana. A ottobre 2020 l’FBI aveva annunciato di aver sventato il rapimento della governatrice del Michigan Gretchen Whitmer, odiata dagli estremisti per le limitazioni che aveva imposto durante il lockdown primaverile. Anche in quei giorni c’era stata un’invasione armata del Campidoglio (del Michigan) per fortuna senza conseguenze. Quindi l’eversione di parte, purtroppo, non è una novità nella storia statunitense, ed è sicuramente anche una fortuna che la transizione presidenziale, fino al 2020, sia andata avanti senza intoppi o tentativi riusciti di colpi di mano.

FONTE: https://it.insideover.com/storia/sovversivi-golpisti-e-violenti-la-storia-oscura-della-democrazia-usa.html



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