Get Even More Visitors To Your Blog, Upgrade To A Business Listing >>

Diplomazia e intelligence: un connubio sempre più forte


Di Andrea Muratore

La diplomazia è sempre più intelligence applicata, l’intelligence è sempre più anticipazione della diplomazia. In un’era come quella presente, fatta di informazioni che viaggiano sul filo del secondo, di partite politiche complesse e di scenari geopolitici, economici e militari che si compenetrano creando un sistema-mondo a geografia variabile la sicurezza diventa un dominio a tutto campo. La politica estera e la sua dipendenza dalle informazioni d’intelligence si compenetrano.

E di conseguenza assistiamo a un numero di casi crescenti di figure diplomatiche chiamate a svolgere ruoli apicali in diversi servizi segreti di peso notevole e, viceversa, a una politicizzazione del ruolo di molti funzionari dell’intelligence di Paesi strategici, soprattutto per quanto riguarda il campo diplomatico.

La “super-spia” che guida la diplomazia turca

L’ultimo esempio in ordine cronologico è quello di Hakan Fidan, scelto da Recep Tayyip Erdogan come nuovo Ministro degli Esteri al posto del veterano Mevlut Cavusoglu dopo tredici anni trascorsi alla guida del Mit, l’Organizzazione dell’Intelligence Nazionale di Ankara. Alla cui guida ha consigliato strategie e visioni politiche, rimanendo l’unico uomo in sella continuativamente da prima della svolta decisiva della geopolitica turca rappresentata dalle primavere arabe e dall’inizio della guerra civile siriana nel 2011.

Dal Mossad e la Cia alle Forze Quds guidate dal generale Qasem Soleimani, dai curdi del Pkk con cui ha intrattenuto accordi di pace nel 2012 fino alle intelligence di Russia e Cina, Fidan è stato centrale nelle trattative securitarie di Ankara in diversi scenari. Recentemente, a Ankara, ha intavolato gli incontri tra i vertici degli 007 russi e americani per discutere degli scenari securitari aperti dalla guerra in Ucraina, soprattutto sul fronte del grano in transito nel Mar Nero.

La sua nomina mostra come la Turchia abbia necessità di costruire un’architettura securitaria che elabori le informazioni dell’intelligence e porti il “metodo” nella diplomazia, ibridandola con le mosse degli apparati securitari. Per un Paese ponte tra Europa e Asia, circondato da focolai di conflitto e ansioso di consolidare la sua proiezione, la nomina di Fidan segna la centralità degli 007 nel disegno di Ankara. E segnala il pragmatismo – spesso cinico – di Erdogan nel cercare in ogni teatro la persecuzione di precisi interessi turchi piuttosto che linee di fedeltà a presunte amicizie.

Il precedente di Israele

Un caso simile viene da Israele, ove il governo di Benjamin Netanyahu, pur essendo contestatissimo su diversi scenari interni e di sicurezza pubblica del Paese, ha voluto sul solco della continuità nominare Ministro degli Esteri un esponente pragmatico del Likud come Eli Cohen. In Israele i capi della diplomazia sono spesso associati al partito che guida la coalizione o, come è successo con il duo Naftali Bennett-Yair Lapid nella scorsa legislatura, a chi da accordi dovrebbe subentrare come premier nel patto di legislatura.

Cohen ha continuato questa tradizione ma ha voluto consolidare l’ibridazione tra diplomazia e intelligence mettendo ai vertici del ministero un esponente di rango dell’intelligence esperto del principale teatro di riferimento di Tel Aviv, quello palestinese. Ronen Levy guida da gennaio i dipartimenti operativi della diplomazia israeliana ed è dunque il primo funzionario di un ministero di cui Cohen rappresenta il volto politico. A lungo esponente dello Shin Bet, ha raccolto informazioni su molti Paesi arabi, sui legami internazionali di Hamas ed è stato un fautore della manovra nell’ombra con cui Israele ha preparato il terreno agli accordi di Abramo. E non a caso è in prima linea nel gestire il dossier caldo del Sudan, Paese con cui Israele vuole ricucire e in cui teme l’escalation militare dopo la recente crisi interna al Paese.

I binari paralleli di Italia e Stati Uniti

In Turchia e Israele i funzionari dell’intelligence volano verso la diplomazia, in Occidente fanno il percorso opposto. A avviare questo trend è stata, in un certo senso, l’Italia, Stato in cui la proiezione dei diplomatici sui servizi ha avuto diversi episodi negli ultimi anni.

Mario Monti nel 2012 nominò e Matteo Renzi nel 2014 confermò, fino al 2016, l’ambasciatore Giampiero Massolo, oggi presidente dell’Ispi e di Atlantia dopo esserlo stato di Fincantieri, alla guida dell’organo di coordinamento del Sistema informativo per la sicurezza della Repubblica (Sisr), il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis). Attualmente diretto da una sua “collega”, Elisabetta Belloni, scelta nel 2021 dall’allora presidente del Consiglio Mario Draghi. In mezzo, a inizio 2021, un brevissimo intermezzo in cui Giuseppe Conte scelse come autorità delegata alla sicurezza della Repubblica, perno dei rapporti tra Palazzo Chigi e intelligence, l’ambasciatore Pietro Benassi.

Gli ambasciatori, in Italia, sono spesso le prime linee della diplomazia, i custodi dei rapporti tra gli apparati di sicurezza nei teatri più complessi e i massimi conoscitori delle prassi di gestione delle crisi. Il caso di Belloni è emblematico: ex direttrice dell’Unità di Crisi della Farnesina prima e segretario generale poi, ha avuto per anni contatti formali e non con le strutture di sicurezza. La sua continuità l’ha promossa al ruolo ideale di custode dell’intelligence in una fase in cui la proiezione estera delle minacce vagliate, dalla crisi mediterranea al rischio terrorismo, si era ampliamente espanso.

Belloni ha assunto l’incarico negli stessi tempi in cui alla Cia, negli Stati Uniti, scendeva in campo William Burns, “pontiere” di Joe Biden negli scenari più caldi del pianeta. Ex ambasciatore in Russia chiamato dal presidente a guidare la Cia per renderla trasparente e operativa, gestore della crisi securitaria dell’Afghanistan prima e del sostegno all’Ucraina poi, Burns ha reso la Cia nuovamente un’agenzia capace di proiettare potenza e di essere complementare al National Security Council e al Dipartimento di Stato nell’elaborare la politica estera di Washington. Togliendola dal cono d’ombra sulfureo degli ultimi anni. L’intelligence americana diventa una componente chiave, quasi una colomba rispetto ai falchi di Foggy Bottom, della proiezione Usa. La custodia delle informazioni come base per la creazione di una grande strategia geopolitica: anche la prima superpotenza cavalca questa ibridazione. Specchio dei tempi che corrono, sempre più competitivi.

FONTE: https://it.insideover.com/politica/diplomazia-e-intelligence-un-connubio-sempre-piu-forte.html



This post first appeared on Informazione Consapevole, please read the originial post: here

Share the post

Diplomazia e intelligence: un connubio sempre più forte

×

Subscribe to Informazione Consapevole

Get updates delivered right to your inbox!

Thank you for your subscription

×