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Quando la fantasia supera la realtà. “Il Vomerese” di Veraldi, il romanzo che annunciò il sequestro Dozier


Di Emiliano Di Marco

Nel 1980 un romanzo anticipò il sequestro del generale Dozier e descrisse gli intrecci e le trame Delle Brigate Rosse, tra servizi segreti russi, americani e italiani, nel pieno dello scontro tra palestinesi ed israeliani. Una spy story che disegnò l’identikit del capo delle BR, il criminologo Giovanni Senzani. Una storia ambientata a Napoli che, riletta alla luce delle indagini degli ultimi anni, non finisce di stupire.

“La perfezione non esiste, (…) sfugge solo ciò che non si vuol sapere.” Del resto, non era questo il principio stesso su cui si basava ogni servizio d'informazioni? (Il Vomerese, pag. 191)

È l'inizio del 1980, l'anno della strage di Ustica e di Bologna, dell'assassinio di Walter Tobagi e di Vittorio Bachelet, dello sciopero dei quarantamila colletti bianchi della Fiat a Torino, del terremoto dell'Irpinia, della rivolta del carcere di Trani e del progetto di rapimento di un alto ufficiale del comando generale della Nato di Bagnoli, l'ammiraglio Schneck, per la cui riuscita viene impegnata per mesi tutta l'organizzazione centro meridionale di Azione Rivoluzionaria, coordinata da un veterano antifascista, originario del quartiere partenopeo del Vomero: Gerardo Guerra all'anagrafe, il “Babbo” il “Vecchio” e il “Vomerese” per i componenti l'organizzazione rivoluzionaria.

l rapimento dell'ammiraglio Schneck rappresenta un vero e proprio salto di qualità per la colonna napoletana e per tutta l'organizzazione di Azione Rivoluzionaria, composta di giovanissimi militanti di diverse provenienze sociali e politiche, passati nel giro di pochi anni dallo spontaneismo alla clandestinità.

La complessa operazione si sviluppa principalmente a Napoli, con brevi toccate e fuga a Londra ed Atene. Gerardo Guerra, il “Babbo”, è l’unico tramite tra il misterioso “onorevole” Aruta, il quale in realtà non è un onorevole ed ha da poco assunto il ruolo che precedentemente era gestito da Parisi, un compagno di lotta e di clandestinità di Gerardo Guerra, sin dalla guerra civile spagnola, morto “improvvisamente”.

Azione Rivoluzionaria è irreggimentata in compartimenti stagni, per cui i militanti non si conoscono tra di loro, ed a sua volta l’”onorevole” è l’unico tramite tra Guerra e l'esecutivo, il vertice segreto dell'organizzazione rivoluzionaria. L’arrivo del nuovo “commissario” politico Aruta ha coinciso con l’adozione di un indirizzo marcatamente militarista, con l’aumento progressivo degli attacchi contro i “simboli” dello Stato, portati avanti con ferocia, creando però malcontento nella base dell'organizzazione, che vede allontanarsi sempre di più gli obiettivi politici per la svolta rivoluzionaria e aumentare il distacco dalla realtà sociale.

Il vertice dell'organizzazione ha pianificato di effettuare il rapimento dell'ufficiale della Nato su richiesta del Fronte della Causa Internazionale, il Felix Complex, un'organizzazione internazionale di mercenari filo-palestinesi, conosciutisi in gran parte tra di loro frequentando l'Università dell'amicizia tra i popoli di Mosca, la Lumumba, ed addestrati alla guerriglia al campo di Matanzas a Cuba. Il Felix Complex è stato creato da un professionista portoghese, Felix Cabral, che si spaccia anche per venezuelano, con il nome di Carlos Villamil. Felix Cabral, oltre che con i palestinesi, ha solidi legami con la Libia, ed è a sua volta spiato dall'immancabile Mossad, nonché controllato a vista dai servizi segreti sovietici e dagli americani, per i quali Napoli è territorio di competenza per operazioni nelle quali i servizi segreti italiani si limitano solo ad un ruolo di supporto. In cambio della riuscita dell'operazione il Fronte garantirà sostegno militare e logistico, armi e addestramento nei campi in medio oriente ad Azione Rivoluzionaria.

La delicatezza dell’operazione è dovuta al riallacciamento dei rapporti politici e militari, sette anni dopo il tragico fallimento dell’unico precedente di operazione congiunta con il Fronte, nel 1973, che aveva portato allo smantellamento del nucleo romano dell’organizzazione. Allo scopo di verificare le effettive capacità della colonna napoletana, onde evitare un ulteriore fallimento politico, viene inviato un emissario palestinese, Mahmoud, che si fa chiamare Grenoble, al quale viene consentito di interrogare personalmente i membri dell’organizzazione entrati nel livello di “massima sicurezza” della clandestinità, dopo il suicidio in carcere di un giovane militante, a pochi giorni dal suo arresto.

Nei vari colpi di scena che si succederanno però, tra agenti segreti israeliani, russi, bulgari e americani, la direzione delle vicende porterà ad una realtà ben diversa, in cui lo scontro all’interno delle fazioni palestinesi, tra quella capeggiata da George Habash e quella da Wadi Haddad, spingeranno i servizi segreti russi ed americani – ed il vertice di Azione Rivoluzionaria – ad un obiettivo molto lontano da quello dichiarato. Il vecchio Gerardo Guerra, che aveva accettato l’operazione pur non fidandosi di Cabral, ottiene conferma che il portoghese ha commesso delle imprudenze sin dal suo arrivo in Italia, tali da poter inevitabilmente compromettere l’esito del progettato sequestro. Disilluso e travolto dai dubbi, insospettitosi anche dalla prevedibilità dei movimenti dell’auto dell’ammiraglio Schneck, che da settimane segue sempre lo stesso identico percorso, spiato a sua volta dai sovietici; dopo aver realizzato che l’operazione di sequestro dell’ammiraglio è una trappola dietro la quale si nasconde il doppio (triplo e quadruplo) gioco di Felix Cabral e dell’onorevole Aruta e dei servizi segreti americani e russi, Gerardo Guerra manda a monte il piano fino al tragico epilogo del romanzo, in cui morirà insieme ai suoi compagni nell’esplosione di un’autobomba.

Ad intrecciarsi nella fitta trama di complotti e tradimenti, la storia d’amore tra due militanti dell’organizzazione, Massimo e Sara, che in seguito diventeranno Fausto e Diana, il cui vero nome all’anagrafe è però Gennaro e Laura, provenienti da due condizioni sociali e culturali opposte tra loro; Massimo (Gennaro) figlio di una famiglia povera, e Sara (Laura) che invece proviene dalla ricca borghesia vomerese. Sara ha da poco perso il fratello gemello, anch’egli militante di Azione Rivoluzionaria, morto suicida in carcere e sospettato di aver confessato alla magistratura qualcosa sulla struttura dell’organizzazione clandestina, scatenando un clima di veleni e sospetti tra i protagonisti del romanzo.

Gerardo Guerra, per accertarsi della fedeltà del suo gruppo di fuoco, arriverà a predisporre un finto verbale d’interrogatorio, nel quale il fratello di Sara avrebbe rivelato i nomi dei componenti della colonna rivoluzionaria alla magistratura, mostrandolo a Massimo e costringendo Sara a convincersi che il fratello ha effettivamente tradito l’organizzazione. Lo scopo vero del vecchio capo, che vede la relazione tra Massimo e Sara come un fattore di rischio per il gruppo, è quello di allontanare la ragazza da Massimo o di eliminarla, seguendo un testardo convincimento che nel corso della narrazione si rivela non solo ingiusto e crudele ma anche profondamente radicato nell’incapacità del “babbo” di risolvere i fantasmi del suo passato personale, legato all’unica vera storia d’amore che ha vissuto, quando aveva appena vent’anni, con una donna che si chiamava Anna, morta poco dopo la loro separazione.

Attilio Veraldi, un napoletano in giallo

Questa è, in estrema sintesi, la trama di Il vomerese dello scrittore napoletano Attilio Veraldi, traduttore raffinato di oltre cento opere di letteratura nordamericana, tra cui Henry Miller, Malcolm Lowry, Raymond Chandler, Dashiell Hammett, Wilbur Smith, John Updike, Jim Thompson, John Le Carré e Kurt Vonnegut. Veraldi, che da giovane ha vissuto a Londra ed in Svezia, annovera nel suo carnet di traduttore anche opere di Soren Kierkegaard e di August Strindberg.

Trasferitosi a Milano negli anni ’50, iniziò la sua carriera  presso la casa editrice di Giangiacomo Feltrinelli, a stretto contatto con l’eclettico editore. Dopo una parentesi a Trinidad e Tobago, durante la quale ha collaborato con il consolato italiano, nel 1966 Veraldi ritornò al suo lavoro di traduzione, traducendo magistralmente Last Exit to Brooklyn (Ultima fermata Brooklyn), l’opera scandalo di Hubert Selby jr, imprimendole un linguaggio da strada, simile a quello che echeggiava nelle espressioni della lingua junkie di William Burroughs (tradotta in italiano da Giulio Saponaro per la SugarCo). Nel suo primo romanzo, pubblicato nel 1976, La Mazzetta, ispirato alla letteratura hard boiled di Hammet e Chandler (scritto all’età di cinquant’anni sotto gli auspici di Mario Spagnol, direttore responsabile della Rizzoli e con la benedizione di Oreste Del Buono), precursore del noir mediterraneo, con uno stile narrativo che in seguito ispirerà scrittori come Massimo Carlotto, Veraldi introdusse la figura di Sasà Iovine, un commercialista napoletano in una città descritta non nelle consuete oleografie letterarie, a contatto con un capitalismo rampante, truffaldino e rapace. Nel 1978 è la volta del romanzo L’uomo di conseguenza, quindi de Il Vomerese, scritto con una prosa a scatti, ritmica, con un succedersi senza pausa di colpi di scena, una macchina narrativa tra le meglio congegnate nel panorama letterario di genere popolare del periodo.

Pubblicato da Rizzoli nel 1980, tra spy story e romanzo fantapolitico, Il Vomerese è da considerarsi sicuramente il primo romanzo italiano ad affrontare il tema del terrorismo nazionale ed internazionale.

La fotografia di un passaggio storico

Ma Il Vomerese non è solo questo, è una fotografia del ribaltamento dei ruoli di vittima e carnefice, servo e padrone, che stava avvenendo realmente in quello che è stato il periodo più oscuro della lotta armata in Italia, collocabile tra la confessione di Marino Pallotto (arrestato nel dicembre del 1979 e morto suicida il 29 luglio del 1980) che fece arrestare i componenti della colonna romana delle BR, tra cui Paolo Santini, arrestato e prontamente rilasciato nel dicembre del 1979, il quale rivelò di aver agito nel nucleo romano per conto dei carabinieri, infiltratosi durante il periodo del sequestro Moro; e l’assassinio di Walter Tobagi, fino all’arresto di Mario Moretti, che segna l’inizio della sconfitta militare e politica Delle Brigate Rosse.

È la fase successiva al tragico epilogo del sequestro Moro, la catastrofe antropologica in cui emerse il problema degli infiltrati e del pentitismo, tra scissioni politiche e separazioni, tra innalzamento dello scontro contro i simboli dello Stato, perso di vista il cuore, e la ritirata strategica: il periodo di Giovanni Senzani al vertice Delle Brigate Rosse, che a Napoli entrarono in azione per la prima volta il 19 maggio del 1980, con l’assassinio dell’assessore regionale della Campania, con delega al Bilancio, Pino Amato, esponente della DC che per anni era stato direttore amministrativo del Formez.

Sono queste le quinte del racconto crepuscolare de Il Vomerese, della sconfitta della lotta armata, prima di tutto sul piano psicologico, in una città, Napoli, in cui le ombre umane, diverse dai protagonisti, sono sempre sullo sfondo, quasi non viste, se non come parte di una mappa dei nascondigli e delle vie di fuga dal potere degli apparati repressivi, che si manifesta più come un’ombra che si aggancia ai personaggi, come un apparato di sorveglianza di massa, un dispositivo panottico di cattura.

Il romanzo è stato anticipatore di un episodio che ebbe effettivamente seguito un anno dopo, con il sequestro del generale James Lee Dozier a Verona da parte dell’ala militarista delle Brigate Rosse. Il 17 dicembre del 1981Antonio Savasta e Pietro Vanzi si presentarono in tuta da idraulici nell’appartamento di via Lungo Adige 5 a Verona, dove viveva il generale Lee Dozier, comandante delle forze terrestri nel sud Europa del comando NATO-FTASE. I due finti operai si presentarono dicendo alla moglie del generale Dozier che dovevano controllare una perdita al termosifone riuscendo così ad entrare in casa ed immobilizzare i coniugi. Dozier venne poi tenuto prigioniero per 42 giorni in un covo delle Brigate Rosse in via Pindemonte, a Padova, fino alla liberazione da parte dei NOCS, le teste di cuoio della Polizia, il 28 gennaio del 1982. Durante la detenzione, il generale Dozier non fu interrogato in quanto nessuno dei sequestratori conosceva l’inglese e fu obbligato per 14 ore al giorno a sentire con delle cuffie la stessa canzone mandata a ripetizione, Kill the Poor dei Dead Kennedys.

Curiosamente, anche nel romanzo ad un certo punto viene effettuata un’incursione in un appartamento con due militanti di Azione Rivoluzionaria travestiti da operai del gas che fingono di dover effettuare un controllo. Ma le coincidenze non si limitano a questo.

La mente rossa

La somiglianza del personaggio Felix Cabral con il venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, not



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