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INDUSTRIALI AFRICANI: L’AFRICA CHE RISOLLEVA L’AFRICA



 Di Martina Bossi

Nonostante il rilancio economico e tecnologico che sta caratterizzando l'Africa negli ultimi anni, molte ancora sono le sfide che il continente dovrà affrontare per poter essere davvero competitivo sul mercato. La situazione rimane molto complicata per via dell’aumento continuo del debito estero, originatosi a causa di oltre venti anni di assistenza speciale ai Paesi fortemente indebitati e di interventi di sgravio da parte di creditori multilaterali senza che però alcun investimento in formazione venisse mai attuato. Dai risultati delle ricerche dello studio intitolato: “Report 2016. Lo sviluppo economico in Africa” emerge che tra il 2006 ed il 2009 un Paese africano ha visto crescere, in media, il proprio debito estero del 7,8% all'anno, una cifra salita al 10% nel triennio 2011-2013, per poi raggiungere il 22% del reddito nazionale lordo dal 2014. L’indebitamento può essere gestito, ma solo a fronte di un serio impegno dei governi africani nell’adozione di misure per la prevenzione dell’ulteriore crescita del debito. L'attuale percentuale di indebitamento (22%) equivale a circa 443 miliardi di dollari, cifra già difficilmente sostenibile dai governi locali senza l'intervento della comunità internazionale. Ci sarebbe bisogno, quindi, di una serie di investimenti guidati miranti a trasformare le economie africane, aiutandole ad avviare un processo di sviluppo delle infrastrutture ed industriale in generale, anche a livello transfrontaliero. L'efficacia di queste misure è stata provata sul campo: alcuni Paesi africani come Etiopia, Ghana, Gabon, Senegal, Tanzania e Zambia, Angola, Namibia, che nell'ultima decade hanno assistito ad una forte crescita economica, hanno avuto accesso ai mercati finanziari internazionali tramite l'emissione di obbligazioni sovrane. Questo ha permesso a Paesi come l'Etiopia di svilupparsi a ritmi superiori (+10%, come emerge dall'analisi del Sole 24 Ore) di potenze quali Cina ed India. Questi investimenti però, devono venire dai governi nazionali non da acquirenti esteri, come di recente accade con il governo cinese, da un lato, e quello statunitense, dall'altro. Entrambi stanno esportando in Africa i loro modelli economici e produttivi, concettualmente opposti, senza però conseguire risultati di crescita concreti. La Cina infatti, è caratterizzata da un modello di crescita basato sulla gerarchia, gestito da un regime autoritario che non presta alcuna attenzione ai diritti umani. La presenza di questo Paese è molto forte nel Corno d'Africa (di cui è il maggior driver della crescita economica), concentrando la maggior parte degli investimenti nel settore delle costruzioni e delle grandi infrastrutture. Gli Stati Uniti invece, adottano un modello capitalista ma che garantisce anche libertà politiche ed il rispetto per i diritti umani. I settori di investimento in cui gli americani sono più presenti sono: il settore edile, in quello dell'energia pulita, dei servizi bancari e delle tecnologie. Pur se a questi modelli va riconosciuto il merito di aver fortemente contribuito all'avvio della crescita economica nel Continente, è necessario che siano i governi nazionali ad avviare questo processo di sviluppo. E' necessario infatti, trovare il modo di coniugare politiche di adattamento ai cambiamenti climatici, di miglioramento della sicurezza alimentare e di lotta alla povertà in Africa; queste sono tutte necessità ben note ai governi locali che possono rendersi maggiormente conto delle implicazioni sul piano economico, della povertà e delle disuguaglianze, scenari che si allontanano di molto dalle abitudini politiche dei Paesi non-africani.

Peculiare poi, è il caso dell'Italia la quale, in qualità di Paese di prima accoglienza dei migranti, ha contribuito, grazie ad un processo di lenta ma graduale integrazione, che ha avuto inizio negli anni '80, a porre le basi per lo sviluppo di una classe di imprenditori tutta africana, la quale a mano a mano è uscita dall'Italia e si è diffusa in tutta Europa. Il desiderio di affrancarsi da situazioni occupazionali mal retribuite e precarie da un lato, e motivazioni personali, legate alla volontà di guadagnare di più ed al valore che si acquisisce quando si gestisce un'attività propria, dall'altro hanno fatto sì che gli imprenditori africani siano quelli che cercano di superare i limiti che si riscontrano per un effettivo sviluppo dell'imprenditoria immigrata. Sono molto attenti in particolare, a richiamare l'attenzione su questioni legate all'accesso al credito ed a problemi burocratici. Molti di questi imprenditori vorrebbero tornare nelle proprie terre d'origine per investire direttamente sul territorio, contribuendo alla crescita economica di cui ha bisogno il loro Continente per risollevarsi realmente. Ciò che è emerso sin da subito, è la necessità di formare una classe di imprenditori che sia ben preparata alle sfide del mercato. E l'Italia è in prima linea in questo, con l'avvio di alcuni progetti miranti a formare chiunque voglia fare impresa, nella propria terra d'origine e non solo, ed a finanziarli nella fase iniziale dell'attività. Per di più, grazie al lento ma graduale abbassamento del tasso di mortalità infantile ed un aumento di investimenti in formazione, nei prossimi anni l'Africa avrà più di 11 milioni di laureati pronti ad affacciarsi sul mondo del lavoro.

Fonte e articolo completo:https://www.cesi-italia.org/articoli/740/industriali-africani-lafrica-che-risolleva-lafrica


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