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Il Piedistallo Vuoto - Fantasmi dall'Est Europa

Il Piedistallo Vuoto - Fantasmi dall’Est Europa
Museo Civico Archeologico Bologna,
24 gennaio - 16 marzo 2014

Family Album
Yerbossyn Meldibekov, 2008


Ho visitato la mostra Il Piedistallo Vuoto al Museo Civico Archeologico di Bologna.
Si tratta di una rassegna di opere di 45 artisti dell’est Europa, realizzate in gran parte negli ultimi 25 anni, nel periodo storico che prende il via dal “Crollo del comunismo” e dall’abbattimento del muro di Berlino. Il tema affrontato è quindi sostanzialmente quello delle cosiddette “Rivoluzioni democratiche del 1989/90” e della diversa prospettiva con cui i paesi dell’Est Europa iniziano a riconsiderare la propria condizione: ricerca di una nuova autonomia espressiva e di una nuova identità sia linguistica che culturale non più vicaria della cultura e dei modelli economico e sociale dell’occidente.
La comprensione della mostra non è particolarmente agevole: ci sono opere più dirette, per le quali la lettura è piuttosto scorrevole, come nel caso dei bellissimi dittici di Yerbossyn Meldibekov (Family album 2008) che istituiscono una forma di continuità tra informazione e comunicazione. Vengono infatti accostate fotografie degli stessi luoghi, realizzate a distanza di anni l’una dall’altra; in queste associazioni si chiarisce il tema del piedistallo.
L’elemento architettonico decorativo e di supporto è rimasto, ma sono cambiati i monumenti che esso sorregge. Le forme dall’iconografia eroica dell’Unione Sovietica e le immagini dei suoi protagonisti sono state sostituite da modelli più neutri e generici.

Way to Rome #2
Said Atabekov, 2007

Sono esposte in mostra alcune opere particolarmente incisive e per certi versi allegoriche: le esplorazioni dei simboli storici e della loro potenzialità evocativa nelle fotografie dell’artista Kazako Said Atabekov, e alcune tele di Janis Avotins con figure nebbiose e inconsistenti che generano una sensazione di filtro, di barriera e di separazione invalicabile tra un soggetto e l’altro.

Provenance
Janis Avotins, 2007

In altre opere (video installazioni e fotografie) presenti alla rassegna si fa invece ricorso a codici decisamente diversi:
-denudazione degli interpreti (Jaan Toomik videoinstallazione del 1998, Artur Zmijewski, video installazione 2000) che a tratti è resa anche con aspetti comici e goliardici;
-autolesionismo (Marina Abramovic);
-turpiloquio (Lukas Jasansky e Martin Polak).

Lips of Thomas
Marina Abramovic, 1975/97


Ci si addentra quindi nel solito terreno minato : narcisismo, esibizionismo, prodotto destinato alla vendita o critica sociale?
Si è tentati di liquidare questi audiovideo come immagini già più volte sperimentate, ma è necessario aggirare lo stordimento generato dall’abitudine e dalla saturazione.
Il catalogo offre, a questo riguardo, interessanti approfondimenti che, in qualche caso, sono più interessanti delle opere esposte.

Father and Son
Jaan Toomik, 1998

I saggi contenuti nel catalogo definiscono i modelli di funzionamento delle società dell’est e dell’ovest e ne descrivono gli assetti: “la nozione di est non implica […] valori universali, ma il suo significato viene definito unicamente in relazione con l’ovest”. Si evidenziano inoltre il mutamento di percezione -dal 1990 ad oggi- rispetto alla modernità occidentale “concettualizzata come modernità in assoluto”, e l’individuazione di un unico sistema di riferimento culturale (le democrazie occidentali) nella cosiddetta transizione verso la democrazia dei paesi ex sovietici.

Nel saggio di Keti Chukhrov riportato nel catalogo della mostra, si mettono a confronto la società disciplinare (di cui un classico esempio si individua nell’Unione Sovietica) e la società di controllo post -disciplinare delle democrazie occidentali, nonché il passaggio dall’uno all’altro sistema nelle società post-sovietiche:
"La ricerca foucaltiana riguardo alle società di controllo neoliberiste ha anche rivelato esattamente come la società di controllo trasparente interiorizzi l’esposizione di elementi perversi o sovversivi.

KR WP
Artur Zmijewski, 2000

Le pratiche artistiche contemporanee tematizzano che anche i gesti sovversivi e trasgressivi, o le tattiche critiche siano nascoste nella retorica e nell’ideologia della società aperta liberale occidentale. E’ interessante notare , tuttavia, che nelle società post-sovietiche tali pratiche sovversive o l’esposizione del trauma siano molto rare. Anche nel caso di azioni da parte di collettivi di artisti come Voina o Pussy Riot, il risultato dell’intervento è molto diverso rispetto alle pratiche artistiche o sovversive occidentali. Le azioni di Voina, infatti, riproducono la perversione dello stesso potere politico russo.[…]. Questo è il motivo per cui la domanda diventa: come si può sovvertire o trasgredire rispetto ad una forza in grado di sopportare la sovversione più forte e più sacrilega? Da un lato sappiamo quanto spesso la critica sia stata proibita nei paesi post-sovietici. Ma allo stesso tempo, questi casi di divieto non significano che l’autorità sia contro la perversione o l’eversione, ma piuttosto che l’autorità stessa debba rimanere la principale fonte di tali atti perversi […] In questo caso , perversione e trasgressione non hanno nulla a che fare con la libertà, anche se la posizione occidentale post fordista nei confronti della perversione rimane abbastanza differente”. 1)

Korpeshe Flags
Said Atabekov, 2011

Diviene dunque fondamentale per la lettura del linguaggio artistico, che è per sua natura il canale più adeguato per veicolare un senso di responsabilità etica, individuarne lo sviluppo e il contesto.

Se nella società liberale occidentale il regime di controllo non consiste più nella repressione sessuale e della trasgressione in generale, ma nella loro commercializzazione (giovinezza, salute, sessualità) e nello sfruttamento dell’emancipazione, è ancora più necessario distinguere, all’interno del proliferare di immagini “trasgressive”, quale sia il percorso che le ha generate e l’ambiente che le ha prodotte.
Secondo Roland Barthes “Ora sappiamo che cos’è uno scandalo: è essenzialmente una cosa alla quale non si partecipa. Non solo ciò che occupa la scena è spettacolo, ma anche ciò che respinge lo spettatore nell’ombra della galleria o della platea, che lo convince dell’esistenza di una distinzione naturale tra quello che vede e quello che è, tra quello che capita e quello che gli capita”. 2) 
Potremmo aggiungere che per noi lo scandalo, oggi, è solo un cimelio o qualcosa che conosciamo per sentito dire.

Dopo avere visto in mostra la foto di Marina Abramovic, Lips of Thomas 1975 -1997 ho guardato l’estratto delle sue 7 perfomance (di 7 ore ciascuna) Seven Easy Pieces rieseguite nel novembre 2005 al Guggenheim Museum di New York.
Le immagini sono strazianti, ma la capacità di creare un coinvolgimento attraverso l’impatto emotivo e di costruire una relazione con i “testimoni” attraverso la passività degli atteggiamenti o le azioni autolesioniste (dall’umiliazione all’autodegradazione al limite della follia) ha qualcosa a che fare più con la penitenza e l’espiazione che con l’esibizionismo.
Che il linguaggio dell’arte contemporanea sia spesso destabilizzante e allarmante dimostra ancora una volta che anch’esso è un prodotto della storia (o della cultura) e non della natura.

Untitled
Janis Avotins, 2011


Ciao.
Paola.

1) Keti Chukhrov, Differenze epistemologiche tra l’ex est sovietico e l’ovest “democratico”.
2) Roland Barthes, Miti d’oggi “Lettres Nouvelles” 4 marzo 1959.



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