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Umberto Orsini è Ivan Karamazov

Umberto Orsini è Ivan Karamazov
Fermata Spettacolo

Il mio nome è Ivan Fëdorovic Karamazov e sono un uomo cattivo. È questo l’incipit fulminante de “Le memorie di Ivan Karamazov“, splendido monologo scritto a quattro mani dal maestro Orsini e dal regista Micheletti, in scena al Teatro Vascello di Roma dal 10 al 22 ottobre, edito da CuePress nella collana Il contemporaneo.

Lui è Umberto Orsini, l’ “altro” è Ivan Karamazov, l’ultimo grande personaggio creato dal genio di Fëdor Dostoevskij, nientedimeno che a quattro mesi dalla morte del più celebrato e “archetipico” autore della letteratura mondiale. Sì perché in questa storia famigliare, è l’archetipo principe a farla da padrone: l’antichissimo e ostico duopolio padri-figli, ma in questa suggestiva versione scenica, c’è anche molto altro.

La lettura binaria di Orsini-Micheletti prende le mosse dall’aspetto più filosofico e tormentato del genio russo, che qui, attraverso la voce di Ivan, si interroga sui temi della natura umana e del rapporto con Dio. Ma Le memorie di Ivan Karamazov è soprattutto un lungo e intenso racconto sull’identità, dedicata a un personaggio che forse è il più autobiografico di Dostoevskij, ma anche il più “osmotico” per Orsini. Lo interpretò per la prima volta negli anni ’70 nel fortunato sceneggiato televisivo sui fratelli Karamazov firmato da Bolchi, poi di nuovo a teatro ne “La leggenda del grande Inquisitore” di Babina.

Quasi un cerchio che si ricongiunge intorno alle stagioni della vita dell’attore e del suo docile Doppelgänger scenico, sì perché Ivan si dichiara da subito “un uomo cattivo”, ma poi aggiunge: “come lo è ogni uomo” e già in questo semplice e al tempo stesso straordinario assunto, riusciamo a specchiarci tutti senza distinzione. È infatti proprio nella reiterata e infinita battaglia col grande Inquisitore divino, che altri non è che un ennesimo alterego, che Ivan raccoglie nella profondità del suo animo i semi di quel male che l’hanno condotto, forse, a istigare l’uccisione del padre per mano del fratellastro.

Una scena de “Le memorie di Ivan Karamazov”

Ma non è ancora abbastanza, c’è di più e molto altro nella voce cavernosa di Orsini, con le sue note basse e intense, trascina lo spirito-spettro di Ivan dentro un tribunale distrutto, che non ha saputo concedergli una colpa definitiva, così come il suo autore non ha potuto offrirgli un finale. È un personaggio incompiuto, “né vivo né morto” e come tale destinato a vagabondare nel limbo dei pensieri, delle domande senza risposta, dell’ostinata battaglia ideologica contro un Dio padre-padrone e contro sé stesso. Ivan-Faust-Achab-Capocomico pirandelliano in cerca, o in fuga, dal suo demiurgo creatore.

Uno spettacolo raffinato e suggestivo, per occhi allenati, dove la regia di Luca Micheletti, anche scrittore, attore e cantante lirico di spessore, disegna uno scenario teatrale apocalittico, che in fondo ci riporta metaforicamente, ma nemmeno troppo, alle involuzioni artistiche del nostro tempo. Destino a cui sfugge questa perla da palco, che ci regala piuttosto un’ora di respiro di puro talento. Un gioco di luci dickensiane quelle di Carlo Pediani, che evoca pure gli inverni di certi spiriti dolenti creati dalla penna dell’autore inglese, così come gli scranni mangiati dalle tarme allestiti da Giacomo Andrico, i costumi di Daniele Gelsi e i suoni di Alessandro Saviozzi, tutto concorre alla creazione di una fra le più autentiche sospensioni d’incredulità di questo inizio di stagione teatrale capitolina.

In ultimo come non inchinarsi alla performance di Umberto Orsini, unico mattatore della scena in grado di incantarci col suo filosofare, riempiendo lo spazio d’azione con un recitato come sempre da calli ai palmi. E ben cinque minuti, o forse più, di applausi, la platea romana del Teatro Vascello, quest’anno col cartellone nella hit dei migliori, ha concesso al maestro.

Definirlo “solo” un grande attore è ormai riduttivo e banale, è senza dubbio un pilastro della Cultura che continua a regalare momenti di vero spettacolo dal vivo, con una tecnica e una grazia immutata dal primo incontro coi fratelli Karamazov e che anzi oggi sembra beffare l’anagrafica. Il “suo” Ivan è un immortale suo malgrado e se è vero che la “vera vita degli uomini e delle cose comincia solo dopo la loro scomparsa”, allora in fondo, almeno per noi spettatori, è una benedizione incontrarne il “fantasma”.

Umberto Orsini è Ivan Karamazov
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