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Prospettive d’autore incontra Gianfranco Vergoni a Officina Pasolini

Prospettive d’autore Incontra Gianfranco Vergoni a Officina Pasolini
Fermata Spettacolo

Mercoledì 28 maggio, nella splendida e ospitale cornice di Officina Pasolini, si è svolto un interessantissimo appuntamento del format “Prospettive d’autore”, moderato dalla scrittrice Valentina Farinaccio, che in veste di consumata announcer, ha presentato al nutrito pubblico dell’hub capitolino, ormai da anni sede della storica accademia romana dedicata alla multimedialità, il romanzo d’esordio di Gianfranco Vergoni: “Il cielo d’erba” edito da Longanesi.

Vergoni, eclettico interprete e ballerino, nonché docente di Officina Pasolini, è una personalità di spicco nel mondo del teatro, storico membro nella compagnia della Rancia, ha lavorato come danzatore, cantante, regista e collaboratore nei migliori musical di Broadway trasposti oltreoceano, ha scritto o tradotto recital, e-book, serie, monologhi e commedie di pregio. Scherza sul suo esordio “tardivo” alla scrittura di romanzi, ma il suo background culturale, segnato proprio nella scrittura da opere di spessore, non poteva tradire le aspettative.

Si tratta quindi solo di un inizio, a cui seguiranno probabilmente altre felici espressioni, nel frattempo è il tempo, ci sia perdonato il gioco di parole de “Il cielo d’erba”. La storia presentata dallo stesso autore, con intermezzi recitati della bravissima Ludovica Bove, ex allieva dell’accademia, racconta una storia d’amore che vede una coppia, quella di Francesco e Viola, letteralmente travolta dal delicato e tormentoso cammino di transizione di genere. Sì perché Viola, sulla carta sposata felicemente con Francesco, manifesta il desiderio e infine la concreta volontà di cambiare sesso.

Un improvvido e improvviso urgano si abbatte dentro questo matrimonio, investito d’un tratto da un complesso cammino identitario, non privo di ostacoli, pronti a mettere a dura prova il destino di una relazione. Già nelle primissime battute del romanzo Francesco corre affannoso e goffo dietro un’atletica e sicura Viola, che lo invita a vedere il cielo d’erba, a fare cioè la verticale, offrendo alla vista una prospettiva completamente rovesciata. Francesco fatica a stare al passo, tanto quanto a osservare il mondo al contrario come la carta dell’appeso nei tarocchi, sentendosi forse ingabbiato, incastrato o solo “appeso”, dentro un mutamento che fa fatica a comprendere.

La bellezza e l’originalità di questo testo sta proprio nel core del romanzo, che possiamo intendere tanto alla romana che all’anglosassone: amiamo un corpo, una forma, o piuttosto un’anima, affine alla nostra? E davvero l’amore supera tutto, come ci hanno insegnato le migliori o peggiori commedie romantiche? Per scoprirlo, vale la pena attraversare questo mare magnum di parole minuziose e dettagliate, dentro un universo di personaggi che abitano una romanità a volte anche teneramente impreparata al mutamento. E’ il caso di un vecchio avventore nel bar di Viola, d’un tratto depauperato del gesto gentile di quella ragazza al banco, sempre pronta a offrirgli un sorriso e che adesso non riconosce più in quello che ormai per tutti è diventato “Vittorio”.

Vergoni ha osservato e studiato con attenzione, ascoltato testimonianze e offerto infine in questo racconto raffinatissimo, talvolta profondo, talaltra divertente, una prospettiva nuova sulle relazioni. Spesso si sa, l’evoluzione dell’uno può per per assurdo produrre l’involuzione dell’altro, ma cosa accade quando parliamo di identità? Di pretesa e banale “normalità” che affronta solo un’altra faccia di sé stessa dentro uno specchio inutilmente distorto dal pregiudizio? Terreno spinoso, quasi un campo minato, attraverso il quale la fluidità dei nostri tempi non sempre è stata in grado di “tenere botta” o meglio stare al passo, è il caso di dire. Come rimarca giustamente l’autore, è più spesso la paura il nostro pessimo scudo contro le presunte asperità della vita, laddove invece riuscissimo a riconoscere e a riconoscerci invece solo persone, probabilmente per tutti la disforia di genere si trasformerebbe felicemente solo in un viaggio di scoperta. Tanto dell’altro quanto di noi stessi.

Il cielo d’erba in fondo non parla semplicemente di questo, è un piccolo osservatorio sull’amore e su quanto forse abbiamo da imparare da chi lo vive oltre la superficie. Ci regala piuttosto sullo sfondo di una Roma sempre molto teatrale, un quadro autentico sulla natura umana, di quanto miserevoli o straordinari riusciamo a essere nel nostro personale viaggio dell’eroe, che non esula certo dall’affermazione identitaria e che presto o tardi avrà per tutti a che fare coi sentimenti, o come scrive Vergoni: col nostro cuore “solo e spaventato”. E allora giacché di fili o foglie d’erba parliamo, come non citare in chiosa la raccolta omonima del grande poeta statunitense Walt Whitman, uno dei maggiori interpreti delle complessità umana che ancora, a distanza di oltre un secolo, ha una preziosa lezione per tutti: “Mi contraddico? Certo, sono vasto, contengo moltitudini.

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