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Ultima assoluta di Miracoli Metropolitani al Vascello

Ultima assoluta di Miracoli Metropolitani al Vascello
Fermata Spettacolo

Chi non c’era la scorsa domenica 14 maggio 2023 al Teatro Vascello di Roma e non ha assistito a nessuna delle repliche di Miracoli Metropolitani in giro per i teatri dello stivale degli ultimi anni, purtroppo l’ha perso per sempre. A fine spettacolo infatti, Massimiliano Setti che nel testo folgorante -mai aggettivo fu più azzeccato- di Gabriele Di Luca, interpreta il personaggio di Cesare “il suicida” (ma che ha curato anche le musiche di scena e firmato a sei mani con Di Luca e Alessandro Tedeschi la regia), ha annunciato la chiusura delle rappresentazioni.

Forse complice la nuova produzione in cantiere di Carrozzeria Orfeo: Salveremo il mondo prima dell’alba, la pomeridiana romana al Vascello, è stata davvero l’ultima. Cinque minuti di applausi e pubblico in piedi per questo corale scritto dal talentuoso Di Luca, che con la sua penna graffiante ci ha abituato a scenari apocalittico-post-modernisti-decadenti in cui trova asilo un nugolo di umanità disperata e forse, senza speranza, che tuttavia riesce sempre a regalarci perle di riflessione. Amara certo, ma in fondo per questo carica di emozione, dissacrante e diretta come un proiettile nello sterno.

E’ il ritmo la forza degli spettacoli di questo gruppo, che incalza e sferza lo spettatore di continuo, quasi a lasciarlo senza respiro, perché tempi morti non ce ne sono e le boccate d’aria che possiamo prendere sono stantie, muffite, cariche di afrori di fogna. Proprio quella fogna che silenziosa sale e assale piano un pianeta sfatto come le polpette di rifiuti tossici che intasano gli scarichi cittadini, anche quelli di una vecchia carrozzeria, dove l’ex chef stellato Plinio (uno strepitoso Federico Valli) cucina box da asporto per celiaci con la compagna Patty (Elsa Bossi, che raccoglie felicemente l’eredità della Schiros). Con loro il figlio del primo marito della donna, ex lavapiatti che si atteggia ora a imprenditrice social: Igor (Federico Gatti), un diciannovenne ossessionato da un videogioco sulla guerra; Mosquito il ragazzo delle consegne (Federico Brugnone), detenuto ai lavori socialmente utili che sogna di diventare attore; Mohamed professore libanese di lettere, ora rider incattivito (sempre interpretato da Brugnone) e Hope (Ambra Chiarello), una giovane donna etiope che nasconde un segreto.

Tutto cambia quando nelle loro vite irrompe per caso Cesare (Massimiliano Setti), uno che doveva suicidarsi, ma poi finisce a fare il tutto-fare nella cucina “del sorriso”. Si forma una bizzarra famiglia assolutamente fuori dagli schemi, come quelle di tutte le altre opere di Di Luca, dove fra cinismo, battute e citazioni (fra le migliori offerte dalla letteratura e dal teatro) ciascuno cerca a suo modo di salvarsi. Qui e lì ecco allora sprazzi di Camus, filosofia, mito greco, soprattutto quello di Eros, nato nientemeno che dal bellissimo Poros, dio dell’ingegno, che ubriaco si concede alla rozza e brutta Penia (dea della povertà). E’ già forse solo in questo concepimento del tutto casuale e inappropriato che possiamo leggere i nostri destini capricciosi, guidati dall’amore, che altro non è che un ibrido perfetto fra la bellezza più sublime e l’oscenità più raccapricciante, conquista e sconfitta, in un’eterna altalena.

Cesare (Massimiliano Setti) e Igor (Federico Gatti) in “Miracoli Metropolitani”

Ma non è opportuno parlare di trama nelle drammaturgie firmate Di Luca che dopotutto un poco si somigliano pure, ciò che conta davvero è il messaggio, nient’affatto bonario, democristiano, rassicurante, ma invece ostile, spaventoso, vicinissimo. Miracoli Metropolitani ci parla di spinose e possibili ricadute razziste, di redivivo fascismo, di guerre al disfacimento dell’umanità e del pianeta che sono a solo un passo da noi, nemmeno troppo lungo, intriso di violenta ignoranza. La stessa che oggi fa sproloquiare chi si sente minacciato dallo “straniero in patria”, disconoscendo, ignorando o peggio dimenticando che il piede invasore è stato il nostro.

Carrozzeria Orfeo ha creato qualcosa che prima non c’era nel teatro e di questo non possiamo che essergli riconoscenti, in un epoca di falsi miti artistici e prodotti scadenti ci offre quadri vividi, personaggi dal respiro checoviano, ma pure pieni di sfumature da Beckett, Baudelaire, Robbe-Grillet senza mai fargli il verso, ma piuttosto destrutturandoli e ricostruendoli in modo originale e soprattutto indimenticabile. Spingono al feroce inceppamento mentale (ma in senso positivo) i grandi interpreti, tutti straordinari, da sbucciarsi i palmi, inchinandosi al valore di performance che possono davvero prendere il volo sulla base di un testo indiscutibilmente imbattibile.

Taglio cinematografico efficace per la regia del triumvirato Di Luca-Setti-Tedeschi, che sulle luci volutamente sporche di Lucio Diana, che cura anche le scene, incarta la scatola giusta per Carrozzeria Orfeo, sempre pronto a offrire finestre nere su mondi allo sfacelo, forse per assurdo ancor più godibili proprio per questo. Sì perché qui si marcia parecchio sul voyeurismo necrofilo, un sentimento così comune e inconfessabile che ci porta a esercitare una morbosa curiosità verso la fine, quella più estrema e terrena che possiamo, appunto, guardare solo da fuori. E allora lasciamocela grondare dai palmi senza vergogna la morte e che il monito dell’autore si propaghi oltre questi ultimi meritati applausi per Miracoli Metropolitani, anche a quei molti, troppi, falsamente audaci scriventi così proliferanti nei teatri, specie della capitale: Se non hai niente di pericoloso da scrivere, non scrivere. Chapeau!

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