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Guanti Bianchi al Cometa Off porta in scena l’arte

Guanti Bianchi al Cometa Off porta in scena l’arte
Fermata Spettacolo

La storia dell’arte magari sovente è stata digerita male dagli studenti che siamo stati, forse anche a causa di una modalità di racconto un po’ troppo formale che ha finito, forse, per allontanarci dalla bellezza dell’opera, che invece a occhio nudo e “non addestrato”, pure riuscivamo a cogliere. E’ tutto qui in fondo il nucleo da cui parte un libro davvero ben scritto di Paola GuagliumiL’arte spiegata ai truzzi“, da cui prende poi le mosse lo spettacolo “Guanti Bianchi“, riadattato proprio a partire da questo testo da Edoardo Erba. E’ la storia di Antonio, interpretato da Paolo Triestino, colleferrino doc, di professione “movimentatore”, appunto di opere d’arte. Sì perché l’arte mica “se sposta”, “se movimenta”.

Col suo accento periferico Antonio snocciola la sua storia privata di ragazzo di borgata che fugge in spiaggia con la fidanzata, poi futura sposa, proprio il giorno del matrimonio della cognata di cui doveva essere il fotografo, intrecciandola coi quarant’anni di lavoro a servizio dell’arte. Da giovanissimo lo zio lo introduce infatti nel mondo dei “guanti bianchi”, i lavoratori che si occupano di trasportare in giro per il mondo le opere più preziose e “pesanti”. Come il Mosè di San Pietro in vincoli, un gigante di due metri di marmo, quello però non l’ha spostato nessuno, nemmeno la storica ditta Minguzzi, che pure s’era caricata nientedimeno che il cavallo di Marco Aurelio in Campidoglio.

E’ così che Antonio con la sua striminzita terza media, toccando con garbo ma pure decisione, all’italiana o alla francese, quelle tante, tantissime opere d’arte dalle dimensioni e forme variegate, inizia a osservarle con più attenzione, a incuriosirsi e infine ad amarle con profonda e sentitissima cura per tutta la sua esistenza. Ecco allora che da Colleferro si arriva a Parigi, Berlino, Vienna fino in America a offrire bellezza agli occhi del mondo. Antonio mostra al pubblico le opere che più lo hanno colpito e le racconta, come farebbe “un truzzo”. Ma il suo non è affatto un racconto improvvisato o pressappochista, anzi è profondo, sentito, divertente e soprattutto attualissimo. Fa parlare papi, pittori, scultori come se fossero vecchi amici e ci restituisce molto più di una semplice e sterile lezione di storia dell’arte.

Antonio, interpretato da Paolo Triestino, ci racconta una delle nature morte di Van Kessel senior

Dalla statua dell’atleta Apoxyomenos di Lisippo che da “colui che si deterge”, diventa uno che si scrosta “la zella”, risultato di olio, sudore e polvere dopo la gara, all’astrattismo pieno di suggestioni anche tenere e popolarissime di Mirò e Pollock, passando per la disperazione dell’urlo muto di Munch, la perfezione matematica della città ideale e il sorriso del morente San Giovanni di Solari. Un viaggio appassionante e comico insieme, che ci regala un’ora di spettacolo puro, senza mai cedere il fianco alla macchietta e anzi esalta la narrativa più efficace delle piccole storie che incontrano le grandi, grazie al genio di Erba e alla maestria recitativa di Triestino.

Edoardo Erba d’altro canto ci ha abituato alle sue storie scritte con raffinatezza e acume, non è allora forse un caso che la sua penna abbia incontrato quella di Paola Guagliumi, una guida turistica fuori dagli schemi, in grado di raccontarci l’arte in modo schietto, diretto, fruibilissimo. Completa la triade Paolo Triestino (in veste anche di regista), che riesce a coinvolgere il pubblico in un racconto mai banale, in cui porge con garbo allo spettatore un variopinto ventaglio di espressioni, stati d’animo, sentimenti, anche oltre il personaggio.

Arriva così al nostro comune sentire quello sguardo affabulato del dolce Antonio, che perde un furgone carico di tesori e finisce a coltivare le verdurine del suo orto che gli ricorderanno sempre quelle di Van Kessel, “vecchio”. Diventa indimenticabile perché in fondo ci somiglia, anche quando parla di Willy, ucciso di botte proprio nella sua Colleferro, dove Antonio è cresciuto con l’odore di “pino di plastica” nelle narici degli insetticidi della Bombrini Parodi Delfino, al secolo DDT e dove oggi tristemente si respira solo aria di indifferenza davanti alla morte di un innocente.

La scena è popolata solo dalle casse da imballo delle opere d’arte, che però nella loro segretezza di custodi silenziose, riescono ad arrivare con grande impatto anche visivo, naturalmente accompagnate dalle belle elaborazioni grafiche di Valeriano Spirito (irresistibile l’animazione di papa Giulio II), dalle luci di Giuseppe Magagnini e dalle intense musiche di Natalia Paviolo. Un confezionamento ad arte insomma, tanto per restare in tema, che ci strappa anche un po’ di commozione, quando fra quelle tante opere memorabili, figura pure il volto sorridente del giovane Willy Monteiro, strappato troppo presto alla vita, che ci sorride oggi da Via di Colle Bracchi nell’opera dello street artist Lucamaelonte. Bello davvero, da portare nelle scuole e in ogni dove.

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