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ll tocco di Claudiano nel Ratto di Proserpina

ll tocco di Claudiano Nel Ratto di Proserpina
Fermata Spettacolo

Con l’occasione di ripassare la letteratura antica è indubbio che pochi scritti come il Ratto di Proserpina di Claudiano mi hanno così tanto rapita. Tommaso Braccini ne pubblica una sua traduzione nel libro Ade e Persefone” (Pelago, 2021) scritto insieme a Gabriele Dadati con una introduzione di Giulio Guidorizzi.

Cosa affascina oggi di questo mito, oltre alla romanzata storia di una donna che amando un uomo che dà la morte, scopre i suoi lati bui? È per la storia delle stagioni, dei miti Eleusini, della disperazione di Demetra, della violenza? Molte sono le faccende che riguardano la fortuna di questo mito, ma in prima battuta devo dire che ciò che più mi interessa è la lettura delle fonti e la diversa angolatura con cui il racconto viene affrontato. Claudiano ha lasciato un poema epico incantevole, tant’è che Braccini ha scelto di riportare i vv. 247-312 dal secondo libro. In effetti in internet non si trovano traduzioni efficaci dell’intero poema, e non tutti hanno in casa l’intera opera tradotta ma sono sicura che la versione di Braccini è quella meglio riuscita, se solo fosse disponibile per intera.

Claudiano lascia incompiuto il capolavoro che il traduttore definisce in parte “arazzo sontuoso con il quale l’antichità prende congedo dal mito”. In effetti nel V secolo d.C, Claudiano si pone come un poeta controcorrente, amando i miti greci presso la corte ravennate dove erano tutti cristiani. La prima parte del brano è il lamento di Persefone, la scena si svolge sul carro volante di Ade, mentre la figlia di Demetra con i capelli mossi dal vento, piange e prega con grande disperazione. Si rivolge prima a Zeus, colpevolizzandolo di aver lasciato che la figlia fosse rapinata e consegnata allo zio, invoca pietà, chiede per quale colpa ha meritato una punizione tanto crudele: “Per il tentativo di quale sacrilegio, per la complicità di quale colpa,/ sono cacciata nei baratri immani dell’Erebo?/ Fortunata chiunque fu rapita/ da altri! Almeno può godere del sole comune”. Devo dire che già in “Una passeggiata nell’aldilà in compagnia degli Antichi” (Einaudi, Torino, 2017), si attesta che Zeus nonostante in un primo momento avesse favorito le nozze con Ade, in un secondo momento aveva restituita la figlia a Demetra. Tant’è che Persefone fu costretta per una parte dell’anno a stare nell’Ade e per una parte con la madre Demetra. Qui scorrendo tra le pagine si parla anche della coltre della Dimenticanza, descritta dal poeta Teognide alla fine del VI secolo a.C. Nel Corpus teognideo vv.704-5 si descrivere come Persefone faccia cadere sui mortali questa Dimenticanza, la memoria infatti, nell’Ade pare andarsene via con la morte: dimenticare è una pratica comune negli Inferi, come se essere vivi fosse anche ricordare e ricordarsi. Negli Inferi, la Dimenticanza, -posta vicino un cipresso bianco- zampilla mentre la Memoria si incontra di rado, alla sua fonte le anime devono bere per approdare a un nuovo ciclo, e per altro troveranno dei custodi (a meno da quanto si evince da un corredo tombale di misteriose lamine accompagnato da un racconto di Pausania in Descrizione della Grecia). Il tema della memoria legata agli Inferi si fa ancora più importante dopo che Enea finisce all’Ade con Virgilio, scrive G.Most negli atti del IX congresso della F.I.E.C in “Il poeta nell’Ade: catabasi epica e teoria dell’epos tra Omero e Virgilio” che Virgilio immagina l’Ade come un palazzo della memoria, tanto profondo e vasto il suo riflesso anche culturale.

Bernini, Ratto di Proserpina, Galleria Borghese, Roma

Tornando quindi, al Ratto di Proserpina di Claudiano, non ci sorprende che Zeus fosse d’accordo col fratello Ade, detto l’Invisibile, o anche Dite: Eschilo nei Psicagoghi lo chiama “Zeus infernale”. In “Una passeggiata nell’aldilà in compagnia degli Antichi” i versi riportati tradotti da Braccini del poema di Claudiano sono dal primo libro 32-142 e poi 276-87; dal secondo 55-141, 151-205. Nel libro primo Claudiano descrive perché Ade decide di prendere Persefone con sé, il dio degli Inferi volendo una moglie e mosso dall’ira, era deciso a fare la guerra a tutti gli altri dei se non avesse preso una donna: “non sopportava d’ignorare il talamo,/ di non conoscere/ le gioie maritali e il dolce nome del padre”. Quindi in questa prima parte, dove il dio degli Inferi viene disegnato come un dio alla ricerca della passione, dell’affetto e dell’amore di una donna, nonché delle attenzioni riservate a tutti gli altri che vivevano accompagnati, Ade sembra un dio che chiede aiuto per vincere la sua solitudine. Rispondono preoccupate per la fine del mondo, le Parche, Lachesi per prima: “non cercare di dissolvere le salde leggi di pace/ che noi stabilimmo e la conocchia/ ha filato, non sovvertire/ i patti fraterni con la guerra civile. […] Chiedi a Giove, e una sposa ti sarà data”. Anche in questo caso, come vedremo più avanti nel poema con le preghiere di Persefone, Ade si commuove e placa la sua ira. “E subito quello si arrestò, ed ebbe pudore delle preghiere, e l’animo feroce si placò”.

Questa particolare predisposizione di Ade, messa in luce dal poeta, è proprio del carattere dell’individuo che viene lasciato solo, abbandonato, a vivere di solitudine e chiusura, tant’è che in parte viene dipinto come un dio non cattivo per indole, ma solo per circostanze, un dio abbandonato che soffre di solitudine per le leggi di un fato avverso. D’altra parte però, essendo egli il signore delle anime e dei morti, è terribile, rigido, severo, superbo. Il dio chiama a sé Mercurio affinché riportasse “le veementi parole” tra cui la minaccia di “spalancare il Tartaro scatenandolo”, “sciogliere le antiche catene di Saturno”, “coprire il sole di tenebre”, e “mescolare il regno dei morti a quello dei vivi”. Fu scelta Persefone, Proserpina, come futura sposa di Ade, nonostante non le mancassero i pretendenti, vedi Marte e Febo. Cerere, il nome latino per Demetra, disprezzò ogni pretendente per la figlia, e la fece confinare per proteggerla dai pretendenti ciò nonostante con un corteo di ragazze chiamato “sacro corteo” tra cui le ninfe delle acque (le Naiadi) e tra queste Ciane, Persefone si accinge a celebrare la bellezza della natura, ignara delle nozze che da lì a poco le sarebbero accadute. “E mentre qua e là si praticano tali/ attività di ragazze/ ecco all’improvviso rimbomba un fragore, crollano le torri/ e sono abbattute le città dalle radici divelte”. Da qui il racconto è quello ripreso anche nella selezione antologica di “Ade e Persefone” (Pelago, 2021): Ade si commuove alle preghiere di Persefone e “allora deterge le lacrime col fosco manto e con voce dolce consola il disperato dolore”. Le promesse non sembrano così funeste e putride giacché alla regina sarebbero spettati “astri”, “altri mondi”, “morbidi prati” e anche il potere “ai tuoi piedi giungeranno i re vestiti di porpora”, tant’è che alla fine giunti insieme nell’Ade e raggiunta la serenità il dio, “tutte le generazioni si accalcano con corsa affannosa/ per vedere la nobile sposa”. Robert Grave nella mitologia “I miti greci” (Longanesi, 1995) descrive il carattere e le imprese di Demetra, dedicandole un intero capitolo. Tra le sue fonti le “Rane” di Aristofane, l’Odissea di Omero, l’Inno a Demetra di Apollodoro e ancora Igino, Pausania, Ovidio, Antonino Liberale, Nicandro, Diodoro Siculo, Esiodo, Canone.

Per le geografie del ratto Graves sostiene che sarebbe potuto accadere ad Enna, a Colono in Attica, nell’isola di Creta, in Arcadia, o in Beozia. I sacerdoti della dea sostengono che avvenne a Eleusi. Per i fiori raccolti durante il rapimento, si sospetta, -come in Ovidio- che si tratti di papaveri e non narcisi o anemoni. I papaveri erano già associati a Demetra, in più hanno qualità saporifiche e grazie al loro colore scarlatto indicano la vita dopo la morte o attraversata la morte, mentre è sicuro che il pettegolo Ascalafo venne trasformo da Demetra in un barbagianni per aver riportato che Persefone mangiò dei chicchi di melograno negli Inferi. Graves dedica anche un capitolo ai dei del’Oltretomba regalandoci altre curiosità e incroci tra diversi miti e genealogie di altre culture e religioni.

Il regno degli Inferi è il Tartaro che geograficamente ha una prima zona detta Prateria degli Asfodeli dove le anime degli eroi vagano senza metà tra la turba dei morti meno illustri: qui le anime bevono il sangue delle libagioni offerte dai vivi, poi oltre la Prateria si trova l’Erebo e il Palazzo di Ade e Persefone. Alla sinistra del palazzo un bianco cipresso ombreggia la fonte del Lete dove le anime vanno a bere. Le ombre iniziate evitano le acque del Lete preferendo quelle della Memoria. Non dimentichiamo che negli Inferi c’è il giudizio di Radamante, Eaco e Minosse: le ombre si spostano in tre dimensioni, la Prateria degli asfodeli, dove non ci sono né i virtuosi né i malvagi; il campo di punizione del Tartaro, dove ci sono i malvagi, e infine i campi Elisi dove ci sono i virtuosi. L’ingresso dei campi Elisi è vicino alla fonte della Memoria presso il palazzo di Ade. Questo è un luogo meraviglioso: c’è sempre il giorno e le anime possono rinascere, addirittura nelle Isole Beate ci sono anime rinate per tre volte e tutte le volte vissute in modo virtuoso.

ll tocco di Claudiano nel Ratto di Proserpina
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