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Le cinque rose di Jennifer al Teatro Vascello di Roma

Le Cinque Rose di Jennifer al Teatro Vascello di Roma
Fermata Spettacolo

Nel 1980 Annibale Ruccello “esordiva” alla regia con Le cinque rose di Jennifer, storia di una “trans” malinconica e romanica nella Napoli degli anni ’70. Ruccello rivestiva pure i panni dell’interprete principale, appunto Jennifer; aveva 24 anni. Escludendo altri lavori giovanili precedenti, pure pregevolissimi, come Il Rione e L’ osteria del melograno, Le cinque rose di Jennifer viene considerato il suo esordio teatrale. Vale la pena ricordarlo, non solo perché si tratta di un capolavoro assoluto della drammaturgia contemporanea, ma anche perché quel giovanissimo autore di Castellammare di Stabia con una laurea in filosofia in tasca, si presentava al mondo con un approccio alla scena straordinariamente originale e potentissimo.

Sarebbe stato solo il primo di altri Cinque capolavori arrivati alle glorie delle scena, su un totale di 17 opere, molte delle quali rimaste, ahinoi, inedite. Un numero che torna, il cinque, raddoppiato, anche nella somma delle date di nascita e morte di Ruccello e forse con un po’ di suggestione, ritroviamo un fil rouge, fra questa prima opera d’esordio che lo contiene nel titolo e la parabola artistica di questo drammaturgo eccezionale. Giacché in numerologia, fra i molti significati attribuiti al numero cinque, troviamo l’intuizione, l’illuminazione, la genialità. E come non coglierla la genialità in un’opera che prelude allo stile tipico dell’autore, dove un cuore drammatico si spoglia piano della sua veste ironica, esplodendo infine fragoroso in tutta la sua potenza espressiva. Così Jennifer si lascia conoscere nella sua dolorosa solarità, fra battute, piume, tacchi e caffè condivisi con Anna, altro “travestito” con cui condividere momenti di solitudine e canzoni d’amore, il cui nome tornerà, ancora cinque anni più tardi, in Anna Cappelli.

Sembra tornare tutto in qualche modo e fa quasi tremare i polsi il vedere questa opera a Roma, nella bella cornice del Teatro Vascello, proprio in capitale, da cui Ruccello tornava in autostrada nell’86 quando fu coinvolto in un tragico incidente, che ci rese tutti orfani del tuo talento unico, a soli trent’anni. Sì perché a Roma e in genere fuori dalla Campania, questo autore non è ancora sufficiente rappresentato e celebrato. Un inchino dunque alla produzione del Bellini, che ci regala questo allestimento di grande impatto, con due bravi interpreti: Daniele Russo nei panni di un’indimenticabile Jennifer e il talentuoso Sergio Del Prete nelle vesti di Anna. Una dualità interpretativa che a tratti li trasforma in un unicum, due facce dello specchio, io-l’altro, uomo-donna, maschera-persona, che si guardano e si confrontano fra una verità reale e una solo vagheggiata, inventata, attesa. Soprattutto attesa, come quella telefonata del suo Franco, che Jennifer aspetta con morbosa insistenza, tanto quanto Anna quella dell’uomo che dovrà rispondere al suo annuncio.

Rallenta ogni cosa e poi si ferma, in questo limbo ostinatamente attendista, popolato di mobili rossi e bagnato d’ocra (scene Lucia Imperato), splendidamente reso dalla regia di Gabriele Russo, che semina moviola nella scena circolare, con la moquette scura, che pare inghiottire gli oggetti come in un buco nero, uno specchio, nero anch’esso, come la fotografia di Franco. Il disegno luci di Salvatore Palladino dal canto suo “accende” sprazzi di luce, raffinatamente richiamati dalla radio, che di quando in quando regala perle di Patti Pravo, Gabriella Ferri, Mina (progetto sonoro Alessio Foglia), ma si riallacciano pure agli improvvisi picchi di euforia di Jennifer, altalenanti ad altri momenti più cupi, tristi, disperati. Daniele Russo ci restituisce in questo la cifra di un personaggio multiforme, non solo nel corpo ibrido, ma soprattutto nell’animo spezzato fra due dimensioni. Grande lavoro fatto in questo sulla voce, che danza su acuti quasi bambineschi, per poi affondare in bassi gravi e sproloquianti, diretti a un falso ammiratore che ama torturare Jennifer con i suoi scherzi telefonici.

Immagine di locandina per “Le cinque rose di Jennifer” – Produzione Teatro Bellini Napoli

Menzione speciale ai costumi di Chiara Aversano e alla sua vestaglia di tulle a balze, ondeggianti sulle multitonalità del rosa, sconosciute ai più, che ci richiama quasi alla giocosità dei costumi carnevaleschi di Rio. Sindone profana di un amore consumato e perduto, che Gabriele Russo genialmente trasla sul tavolo a mo’ di tovaglia, dove Jennifer allestisce cene di piatti vuoti e rose annaffiate di deodorante. E sempre in fondo al Carnevale, o meglio alla maschera di trucco colante da clown, ma pure Pierrot, Geisha, Pulcinella, ci spinge la potente immagine di locandina, dove Jennifer affonda in un letto di petali d’organza, sulla falsariga di una Mena Suvari fluida alla American Beauty.

Insomma funziona tutto in questo allestimento intenso e omaggiante, dove le Interferenze telefoniche del quartiere in cui vive la nostra Jennifer e che ostacolano la sospirata chiamata di Franco, si intrecciano alle ingerenze esistenziali di un condomino abitato da molte anime imprigionate in corpi sbagliati, che un serial killer sta falciando nel buio, come fiori malcresciuti. Molti a fine spettacolo, uscendo dalla sala, si sono inutilmente interrogati proprio sul serial killer, figurina di sfondo in questo dramma della solitudine umana. Ma in realtà Le cinque rose di Jennifer ci racconta altro, non certo il giallo di omicidi seriali di “travestiti”, come riporta fedelmente la radio ascoltata in casa dalla protagonista. Forse è tutto falso e verissimo nello stesso tempo, forse il killer è Jennifer, forse Anna è solo una proiezione mentale. Che importa dopotutto? Conta in fondo solo l’esistenza stessa di Jennifer, di “sangue e sentimenti”, come scrive Gabriele Russo nelle note di regia, non ci servono davvero le risposte.

Questa è una storia di ferite profonde e ancestrali, di quello che siamo e non riconosciamo nello specchio, della vita sognata e immaginata e di quella solo sopravvissuta. È la parabola dell’insuccesso, della tristezza, delle miserie d’animo, dei tanti “tu” che siamo e dimentichiamo, delle attese, dei silenzi, delle bugie che ci raccontiamo.
È la storia di tutti noi.

Fatevi un regalo e andatelo a vedere.

Le cinque rose di Jennifer al Teatro Vascello di Roma
Fermata Spettacolo



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