Il Tamerlano di Antonio Vivaldi: il Barocco di Successo Firmato Monti e Dantone
Fermata Spettacolo

Il Barocco sta prendendo campo anche in Italia grazie a belle produzioni come quella arrivata al Teatro del Giglio di Lucca, Il Tamerlano, ovvero la morte di Bajazet di Antonio Vivaldi, in sinergia con i teatri di Ravenna, Piacenza, Modena e Reggio, per la regia di Stefano Monti e la direzione di Ottavio Dantone.

Rappresentato per la prima volta al Teatro Filarmonico di Verona nella stagione di carnevale del 1735, il pasticcio di Antonio Vivaldi, ossia opera costituita da materiali musicali eterogenei tratti da opere di diversi compositori, risulta essere un ‘centone’ di arie autocitate e di compositori quali Geminiano Giacomelli, Johann Adolph Hasse, Riccardo Broschi (fratello di Farinelli) e Nicola Porpora. Ne risulta un eclettismo stilistico vero pregio dell’opera, su cui Dantone stesso ha rimesso mano sostituendo cinque arie presenti nella partitura originale con il solo testo, con altre dello stesso Vivaldi, Hasse e Giacomelli, tra collanti strategici che ne rendono l’ascolto fluido e godibilissimo, al di là della scansione di arie e recitativi.

Stefano Monti, che firma regia, scene e costumi, ne dà una lettura atemporale, sormontando la cupa scena da una forma essenziale come quella del monolito, gravida di una meraviglia tutta barocca, che travalica spazio e tempo, e si erge ora presenza sospesa, ora quasi nave in movimento, ora piedistallo su cui si innalzano i protagonisti dell’opera, a spezzare i video 3D di Cristina Ducci dalla forza a tratti ipnotica, a tratti poetica, sempre in linea con la regia. E la monumentalità della messa in scena è ulteriormente arricchita da colonne laterali che ricordano per forma e colore le Giant’s Causeway irlandesi o le scogliere di basalto di Vik, in Islanda: elementi affascinanti e carichi di mistero. Tornano alla mente i monoliti di Stonehenge, e in questa aurea di solennità e arcano si pongono anche i costumi, druidi dal volto coperto in parte da maschere nere, con abiti asessuati, come la filosofia stessa del teatro musicale barocco vuole.

Lo spettacolo si fa totale infine con la presenza dei ballerini della DaCru Dance Company in simbiosi con i personaggi dell’opera, ombre in continuo movimento, sorta di burattini viventi, in carne ed ossa, capaci di sottolineare le passioni ed emozioni più recondite con un linguaggio fisico davvero originale che non stona, anzi, arricchisce in modo naturale la messa in scena.

Ottimo tutto il cast, dal Tamerlano ben tratteggiato vocalmente e scenicamente di Filippo Mineccia a Gianluca Margheri nei panni di un austero Bajazet pronto all’estremo sacrificio, fino al luminoso Andronico del sopranista Federico Fiorio dal timbro angelico ed elegante, perfetto nella parte e negli agili virtuosismi.

Nei ruoli femminili, spiccano il contralto Delphine Galou nel ruolo tormentato di Asteria, la figlia di Bajazet e il soprano Marie Lys, Irene, la promessa sposa dell’Imperatore dei Tartari, che emerge nell’aria “Sposa son disprezzata”: interpreti  entrambe raffinate per timbro e sfumature vocali, capaci di superare le indiscusse difficoltà tecniche con grande intensità ed espressività. Bella prova anche per Arianna Vendittelli nella difficile parte di Idaspe, confidente di Andronico.

Direzione passionale e raffinata quella di Ottavio Dantone con la sua Accademia Bizantina, capace di regale colorature inimmaginabili alla tessitura armonica, fin nei recitativi, curati al dettaglio nell’espressività e varietà di affetti.

Pubblico nutrito in sala che accompagna con calore la rappresentazione fino al bis del coro finale “Coronata di gigli e di rose”. Successo indiscusso e meritato.

Il Tamerlano di Antonio Vivaldi: il Barocco di successo firmato Monti e Dantone
Fermata Spettacolo