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Un cupo Trovatore inaugura il Festival d’Autunno del Maggio

Un Cupo Trovatore Inaugura il Festival d’Autunno del Maggio
Fermata Spettacolo

Un cupo Trovatore inaugura il Festival d’Autunno del Maggio Musicale Fiorentino dedicato a Giuseppe Verdi, firmato Cesare Lievi e diretto da Zubin Mehta.

Rappresentata per la prima volta il 19 gennaio 1853 al Teatro Apollo di Roma Il trovatore, l’opera più amata ai tempi di Verdi, mostra una creazione travagliata. Ispirato a El trovator di Antonio Garcia Gutierrez, un dramma romantico rappresentato a Madrid nel 1836, che entusiasmò immediatamente il Maestro, per la sua stesura Giuseppe Verdi si fece affiancare dal poeta Salvadore Cammarano, fidato collaboratore delle precedenti Alzira, La battaglia di Legnano e Luisa Miller. Purtroppo il librettista venne inaspettatamente a mancare, ed il libretto fu ultimato da Leone Emanuele Bardare. Il successo fu ad ogni modo grandioso.

Il trovatore © Michele Monasta

Cesare Lievi, conosciuto al Maggio per lo scintillante Lo sposo di tre, e marito di nessuna della scorsa stagione (leggi la recensione), delinea un Trovatore nero a dir poco, con ambientazioni oscure emerse dall’inconscio, notturno e indistinto, dove su un palco scevro di orpelli, ora tra pochi oggetti bruciati ora tra letti psichiatrici, si aggirano senza posa, con tratti che rischiano una comicità tutta orrorifica, bambini in calzoncini corti perseguitati da un’ingombrante strega (la madre di Azucena), che si sdoppia e triplica, con apparizioni di suore en travesti e il doppio cadaverico della sposa Leonora. Una carrellata di presenze che non convince, anzi distrae e appesantisce la messa in scena, insieme agli scomodi costumi di Luigi Perego (di lui anche le scene): lunghi cupi pastrani per il Conte di Luna e le sue guardie, stracci per Manrico e gli zingari. Il tutto tra personaggi che si muovono con una staticità grossolana, trascinandosi dietro oggetti la cui inutilità è palese, come la sporca coperta di Azucena.

Buono comunque il cast, con al centro la potente voce del baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat, un Conte di Luna possente e monumentale, e l’intensa interpretazione di Ekaterina Semenchuk, Azucena, visionaria e sanguigna, divisa tra l’essere madre e figlia, divorata da un’implacabile sete di vendetta. Più ordinari il Manrico di Fabio Sartori, che si muove con difficoltà sulla scena, discreto vocalmente, ma privo di quello slancio che ci saremmo aspettati nella “Pira” e la Leonora di Maria José Siri, vocalità buona e fraseggio lirico, non sempre però buona la messa a fuoco. Bella prova anche per il Ferrando di Riccardo Fassi, la Ines di Caterina Meldolesi e Ruiz di Alfonso Zambuto.

Il trovatore © Michele Monasta

Direzione precisa e accurata quella di Zubin Mehta, che perde però in parte la forza sanguigna e infuocata di cui dovrebbe bruciare l’opera, comunque ben seguito dall’Orchestra. Ottima prova per il coro diretto da Lorenzo Fratini.

Lunghi e calorosi come sempre gli applausi del pubblico nella Sala Zubin Mehta, per uno spettacolo nell’insieme buono, ma che non riesce a scuotere completamente le fibre dello spettatore, per citare Basevi.

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