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Teatro alla Scala: ultime recite de La Calisto, l’opera del 1651 per la prima volta a Milano

Teatro alla Scala: ultime recite de La Calisto, l’opera del 1651 per la prima volta a Milano
Fermata Spettacolo

Sarà in scena fino al 13 novembre al Teatro alla Scala di Milano La Calisto di Francesco Cavalli, dramma per musica del 1651, nell’allestimento di David McVicar, diretta da Christophe Rousset.

L’opera, che non aveva mai visto la sala del Piermarini, ha debuttato il 30 ottobre scorso con grande successo di critica e di pubblico in una nuova produzione firmata Teatro alla Scala.

Scritturato per l’occasione in buca d’orchestra l’ensemble barocco Les Talens Lyriques, per esibirsi su strumenti storici insieme ai musicisti scaligeri.

Lo spettacolo è confezionato, infatti, nel massimo rispetto della tradizione, sia musicale che registica, attraverso soluzioni che rievocano con intelligenza quelle seicentesche.

Ma non devono far temere il tema mitologico, il linguaggio desueto, le musicalità barocche e la lunghezza dei tre atti con prologo: La Calisto si fa amare anche dal pubblico più digiuno e scettico.

E non solo perché la scenografia sia ben riuscita, i costumi ben realizzati, il cast di notevole qualità e l’orchestra, per quanto minuta, impasti sonorità avvolgenti. Ma anche perchè la musica di Cavalli rivela una straordinaria maestria nella sua relazione con personaggi, trama, contesto e pubblico e il libretto di Giovanni Faustini, tratto da Le Metamorfosi di Ovidio, riesce a raccontare situazioni non così difformi dall’universalità dell’esperienza umana.

Foto di Teatro alla Scala

La storia intreccia le vicissitudini della ninfa Calisto, sedotta da Giove sotto le mentite sembianze di Diana e per questo trasformata in orsa, prima in terra e, infine, tra le costellazioni. Di Diana sono però invaghiti il dio Pan e il pastore Endimione, che vengono coinvolti a loro insaputa nell’equivoco. A contorno il dio Mercurio, in un ruolo da cattivo consigliere di Giove, il dio Silvano, spalla consolatrice di Pan, la ninfa Linfea, compagna di Calisto, e Giunone, sposa irata dell’infedele re dell’Olimpo. Ninfe, Satiri, Furie e personificazioni di Natura, Eternità e Destino corollano le diverse scene.

Emozioni, circostanze e sensazioni sono dipinte da una musica ancora efficace a distanza di secoli, capace sia di accompagnare che di guidare la narrazione, di sottomettersi, affiancarsi e talvolta sostituirsi al canto. Non c’è spazio alla noia, scongiurata continuamente da soluzioni melodiche e armoniche molto interessanti. Con La Calisto parliamo di una vera e propria pietra miliare nella storia della musica.

Quanto alla vicenda in sé, stornata la cornice ideologica e storica del XVII secolo con le sue contraddizioni viscerali, tra progresso (nuove forme della politica, della filosofia e della scienza) e conservazione (l’incrudescenza dei poteri religioso e temporale), i cui strascichi ancora ci appartengono, e al netto dell’episodio al centro della storia, uno stupro vigliacco ed arrogante, che oggi ci sciocca e inorridisce, restano alcuni elementi di viva attualità.

La subalternità delle donne agli uomini. Di Calisto, Giunone e Diana ai piaceri, ai vizi, agli insulti e alle violenze degli uomini di ogni grado e onore.

La subalternità dei servitori ai serviti. Di Calisto, di Endimione, delle ninfe e dei satiri, votati o condannati ad ubbidire senza alternative.

L’ipocrisia del potere. In particolare degli dèi tutti, che vengono costantemente meno ai loro principi, pur imposti al resto dei personaggi.

Infine, la diseguaglianza sostanziale, rispetto ad un’uguaglianza formale. Che, benché la morale proclamata sia d’obbligo per tutti, dèi, semidei e umani, risulta a tutti gli effetti imperativa solo per la ninfa Calisto e il pastore Endimione, che pagano entrambi in prima persona per torti subiti, lei più, lui meno.

Foto di Teatro alla Scala

E sia le parole che la musica fanno emergere una chiara consapevolezza degli autori su questi punti dolenti della loro, e nostra, società, sapientemente rappresentati in musica in un contesto apparentemente serio.

Una serietà solo pretesa, appunto, perchè le allusioni erotiche, quando non esplicitamente sessuali, che la regia accentua attraverso mimica e costumi, affiorano costantemente durante tutta l’opera. Allusioni che, per quanto ci dicano molto della società veneziana del ‘600, non sono così difformi da poter calzare a pennello anche per l’ambigua etica dell’occidente contemporaneo.

Un’opera senza tempo dunque, la cui scarsa fortuna nei secoli non fa il paio con i calorosi applausi di questi giorni da parte di un pubblico di tutte le età. “Meco bella vivrai gl’anni del sempre” dice in chiusura Giove alla ninfa Calisto, e pare proprio un riuscito augurio al componimento stesso.

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