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Gli “Atti unici” di Anton Čechov e la comica dialettica fra l’uomo e la donna

Gli “Atti unici” di Anton Čechov e la Comica Dialettica Fra l’uomo e la donna
Fermata Spettacolo

Rai 5, il canale di cultura che pone particolare attenzione al mondo dell’arte, della musica, dei documentari e dei reportage, ha proposto sabato 20 febbraio una serata di grande opera e prosa con due spettacoli in prima assoluta firmati da Damiano Michieletto: la “Salomè” di Richard Strauss con il Maestro Riccardo Chailly sul podio (registrata al Teatro alla Scala di Milano) e, a seguire, due celebri atti unici di Anton Čechov, “La domanda di matrimonio” e “L’orso”, realizzati con il Teatro Stabile del Veneto e registrati lo scorso dicembre al Teatro Goldoni di Venezia. Michieletto, rinomato per i suoi innovativi allestimenti operistici, torna a cimentarsi con la prosa e ripropone un suo personale adattamento drammaturgico dei due celebri atti unici cechoviani, raccordandoli in modo singolare, infatti crea un unico racconto in cui personaggi, sono colti nella loro dimensione semplice e quotidiana, ma al tempo stesso ne rivela tutte le loro più segrete fragilità. “La domanda di matrimonio” e “L’orso”, che Čechov chiama “scherzi”, diventano quindi due scherzi in un atto, immaginando le due storie come un’unica vicenda a distanza di tempo e senza interruzione ed affidando al personaggio del servitore il compito di traghettarla dal primo atto al secondo, attraverso un breve monologo in cui racconta il tempo passato e i destini familiari.

Damiano Michieletto

Entrambe le storie sono scritte secondo un principio di simmetria: in ogni atto un uomo si presenta all’improvviso in un salotto, si sente male e finisce per baciare la padrona di casa. Ne “La domanda di matrimonio” si assiste al brusco approccio fra due rampolli di buona famiglia, in cui i battibecchi si alternano a riappacificazioni preludendo a quello che sarà la futura vita matrimoniale. Il protagonista si presenta in casa del suo vicino ricco possidente per chiederne in moglie la figlia che, a sua volta, pensa che sia venuto per un contratto d’affari e scopre solo alla fine che si trattava di un contratto di matrimonio. Tutto il testo è basato su questo equivoco. Partendo da una piccola disputa sulla proprietà di un prato e da un diverbio sulle capacità dei propri cani, i due continueranno a scambiarsi invettive in un crescendo di battibecchi comici.

Protagonista de “L’orso” è una vedova inconsolabile che ha giurato, dopo la morte del marito, di non uscire più di casa e di non frequentare più alcun uomo, nonostante le insistenti preghiere a ripensare la sua decisione da parte del suo servitore. La situazione si capovolge quando un ex ufficiale di artiglieria va a riscuotere delle cambiali. Il rifiuto di lei a pagare e la volontà di lui ad esigere quanto dovuto originano un dialogo molto concitato sulla fedeltà delle donne, che degenera in un duello fra la vedova e l’ex ufficiale con un imprevedibile esito finale.

Tra i due episodi intercorrono cinque anni nei quali, come ci racconta il servitore Luka, i destini dei personaggi sono cambiati, tuttavia ritroviamo in scena il medesimo salotto, costituito da un unico grande divano che accoglie amorevolmente le lacrime, le minacce, le delusioni, i tradimenti e le crisi.

Nel produrre questa continuità narrativa, il regista sceglie di non indugiare alla ricerca di un tipo di comicità troppo esibita, ma la traduce in maniera più interiore, intessuta di micro-drammi che evidenziano il lato interiore e non detto, fatti di nevrosi, sogni infranti, inquietudini, ansie e rimorsi, problemi fisici e insicurezze, che rendono i protagonisti così vicini tra loro e che emergono attraverso vari dettagli come un braccio indolenzito, una gola secca, una breve confessione riguardo agli amori passati, nei tic nervosi, nelle discussioni sul tempo atmosferico…

Čechov crea abilmente un mondo interiore all’insegna della fragilità. Una fragilità che diventa esasperante e che porta allo scontro, fino a puntarsi contro pistole e fucili. I personaggi, tratteggiati nella loro complessità psicologia e caratteriale, vengono a trovarsi in situazioni assurde a causa delle proprie convinzioni e di imprescindibili questioni di principio e passano, senza neanche rendersene conto, dall’odio all’amore e viceversa.

Affrontando un testo di Cechov l’attore è consapevole che, fra le pieghe della sua recitazione, può scorrere e rivelarsi tutta la contraddizione del teatro, tragedia e commedia, allo stesso tempo. E di ciò è consapevole anche lo spettatore

In scena Giancarlo Previati, Petra Valentini, Edoardo Sorgente, Andrea Pennacchi e Nicola Stravalaci che interpreta il ruolo del servitore, a cui è affidato il compito di raccordare l’azione da un atto unico all’altro. Tutti riescono a caratterizzare in maniera credibile e realistica i loro personaggi, rendendo (grazie al gioco degli opposti) le scene sia di “litigio” che di “riavvicinamento” molto piacevoli e divertenti.

Si mostrano a loro agio ne “La proposta di matrimonio” anche per merito di una regia fedele allo stile di Cechov. Ma la recitazione a due è davvero notevole, nell’altro atto unico, dove ogni muscolo della donna è teso a comunicare la sua chiusura alla vita ed ogni sguardo dell’uomo il suo desiderio, riuscendo a far vivere le sfumature emotive dei rispettivi personaggi.

Lo spettacolo si avvale delle scenografie essenziali, ma funzionali, di Paolo Fantin, dei bei costumi di Carla Teti e delle luci di Alessandro Carletti. La regia televisiva è di Daniela Vismara che ha puntato ad un lavoro attoriale capace di allontanare la recitazione il più possibile da un teatro di rappresentazione per incanalarla verso un teatro che è agito.

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