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Aida in blu, dipinta di blu

Aida in blu, dipinta di blu
Fermata Spettacolo

Amenofi III ci saluta a sipario aperto, entrando qui al Teatro Petruzzelli: è riprodotto infatti, al centro del palcoscenico, come parte del bassorilievo – oggi al Cairo – che lo raffigura, vincitore sul carro di guerra, con l’aggiunta di alcuni guerrieri nubiani in catene. Ai lati, a chiudere la scena – e, metaforicamente, come a soffocarla – grandi pannelli blu ricoperti letteralmente di geroglifici, riescono a trasmettere, ancor prima che sia suonata una sola nota, allo spettatore, venuto per Aida, che si accomoda nella sua poltrona rossa giù in platea, il segno e il senso di quest’ormai longevo – ma per nulla attempato – allestimento, creato nel 2005 per il Regio di Parma, che si avvale della scena monumentale e soffocante uscita dalla matita di Mauro Carosi: nota al pubblico della Bassa come “Aida blu”, proprio per il colore di cui si tingono, a tratti, pareti e cose e umani – il blu caratterizza gli egizi, schematicamente, il rosso terrigno gli etiopi – l’allestimento che vede la regia dell’italo americano Joseph Franconi Lee, che riprende l’ideazione di Alberto Fassini, ha ricevuto in questi anni più critiche, in verità, che lodi, proprio in ragione, primariamente, della tonalità di fondo utilizzata per connotare la scena. In verità devo dire che a chi scrive non è dispiaciuto l’affollarsi oppressivo di colonne, bassorilievi, scale, e poi oggetti, lance, anfore, idoli, e infine persone, in abiti forse un po’ troppo sgargianti e barocchi, ma incisivi nel sottolineare la varietà e la complessità di un mondo perduto, tutto il bataclan, come lo chiamava il Maestro, tuttavia efficace a sottolineare un potere oppressivo e totalizzante, tanto persuasivo nell’esercizio delle prerogative sue quanto immutabile nei propri disegni brutali e violenti, tanto da riuscire a entrare nelle menti e nei cuori, violando la sfera intima e privata dei singoli, che è poi, senza dubbio, uno dei maggiori, se non il principale, dei motivi sottesi d’Aida. Il colore blu, poi, aggiunge una sfumatura aliena, obliqua e ambigua, sottolineando, grazie anche al bel gioco di luci di Giudo Levi, l’estraneità di Aida, il suo ritrovarsi straniera in terra straniera.

I punti deboli di questa regia, se mai, sono altri: una certa retorica di fondo che si avvale delle pose “eroiche” dei personaggi, i fermo-immagine da cui parte e finisce ogni scena (a somiglianza di spezzoni cinematografici, oppure di antiche scene dipinte da un artista pompier), l’impronta fortemente enfatica che assume la recitazione dei cantanti, del coro, dei mimi e delle comparse, impegnati in grandi e larghi gesti, incedendo spesso a spada o lancia sguainata e tesa verso l’alto, con gran svolazzo di veli e di mantelli. Esercizio retorico che in gran parte può anche essere giustificato da quanto già detto a proposito della scena, ma che alla lunga rischia di occultare del tutto l’altra, più oscura e nascosta, faccia d’Aida, il lato intimo e più vero; perché se è vero che Aida per molti è solo marcia trionfale, è altrettanto vero che essa risulta invece essere il capolavoro dell’età matura di Verdi proprio in virtù dell’equilibrio delicatissimo tra le due personalità dell’opera, l’aspetto più scontato e declamatorio, che si nutre di gloria e potere, e l’altro, quello dell’amore proibito, pericoloso, oscuro, che diventa poi incredibile paradigma della diversità, della verità coltivata nell’intimo, che, nella visione ideale dell’Autore, che è poi la logica manzoniana dell’italico romanticismo, doveva di necessità alla fine trionfare, non annullando l’altro aspetto, ma vivificandolo ed esaltandolo: la storia degli umili e dei singoli che si proietta, interagisce, modifica, la Storia dei Popoli e del potere. Ecco tutto questo forse è un po’ mancato, in fondo, in questa visione forse un tantino hollywoodiana dell’opera.

Ciò che magari si è un po’ perso sul piano visivo e darammaturgico è stato, tuttavia, ampiamente recuperato su quello musicale: la direzione di Giampaolo Bisanti ci è sembrata, in questo senso, esemplare per l’equilibrio che ha saputo cogliere nella partitura e che è stato capace di trasmettere, grazie al perfetto controllo delle dinamiche della compagine dell’Orchestra del Teatro Petruzzelli, sempre professionalmente all’altezza del compito, sia nella scelta dei tempi, che sono sempre parsi acconci e naturali, sia nella giusta misura del rapporto tra canto e strumenti. Il direttore è riuscito a cogliere l’unitarietà delle varie dinamiche apparentemente divergenti che caratterizzano l’opera, decidendo per una lettura meditata della serena drammaticità della partitura. Buona anche la performance del Coro del Teatro Petruzzelli, diretto da Fabrizio Cassi, così come molto apprezzate ed applaudite le coreografie di Fredy Franzutti per il Balletto del Sud. Taisiya Ermolaeva disegna un’Aida teatralmente molto apprezzabile e vocalmente solida, che riesce, grazie alle doti espressive innegabili a superare i problemi di dizione e, a volte, d’intonazione. Perfetto sotto questo profilo, invece, il Radames di Sung Kyu Park, che con sicurezza disegna un protagonista solidamente tenero e accorato: voce dolcissima e appassionata che però elude gli acuti a voce piena, ricorrendo sistematicamente ad un falsetto di mestiere che, assieme ad una franca incertezza del gesto drammatico, di certo non aiuta nella definizione del carattere eroico del personaggio. Amneris, interpretata da Alessandra Volpe, al debutto nelle vesti del complesso personaggio, risente, sia sotto il profilo musicale che in quello drammaturgico della poca esperienza dell’interprete, che, soprattutto nel quart’atto, manca della necessaria autorevolezza e carattere, necessarie a sottolineare l’evoluzione del personaggio, qui finalmente, come gli altri protagonisti, scisso nella duplicità emotiva che costituisce il fascino dell’opera. Anche il baritono coreano Mansoo Kim non sfigura nei panni impervi d’Amonasro, pur se il bel timbro della voce sua, dalla pronuncia senz’altro buona, è ancora lontano dall’esser quella d’un “baritono verdiano”. Alla fine, comunque, applausi per tutti da parte del pubblico, che riempie il Teatro in ogni ordine di posti.

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