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Don Giovanni alla Scala di Milano

Don Giovanni alla Scala di Milano
Fermata Spettacolo

Don Giovanni, maschera da Commedia dell’Arte e archetipo della cultura occidentale, araldo della libertà dei costumi e della provocazione immorale, il “dissoluto” per eccellenza, audace e incosciente seduttore, protagonista di molti capolavori della produzione culturale europea in ogni campo, è il titolo di una tra le più eseguite e fortunate opere di Wolfgang Amadeus Mozart.

Composta in pochi mesi nel 1787 su commissione del Teatro degli Stati di Praga, “Don Giovanni” riscosse subito un trionfo di pubblico clamoroso, nonostante i dubbi dell’alta aristocrazia verso una trama che condannava un nobile alla dannazione infernale, e da allora non è mai mancato dalle programmazioni teatrali di ogni livello.
Il libretto è di Lorenzo Da Ponte, compositore di corte nella Vienna asburgica e autore di altre due collaborazioni mozartiane di successo, “Così fan tutte” e “Le nozze di Figaro”. Le fonti d’ispirazione sono però di molto precedenti. Se il primissimo riferimento drammaturgico pervenuto fino a noi è del 1630, “L’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra” di Tirso de Molina, è noto che il personaggio dell’ateo spavaldo e donnaiolo affondi le radici nella cultura popolare già da tempo, almeno tanto da comparire in un dramma gesuitico del 1615. Dal XVII secolo al XVIII numerose si sono susseguite le rappresentazioni drammaturgiche e musicali, con le variazioni più diverse sullo stesso tema, tra cui si ricordano i drammi di Giovan Battista Andreini, Onofrio Giliberto, Molière e Carlo Goldoni, il balletto di Christoph Willibald Gluck e le opere di Vincenzo Righini e Giuseppe Gazzaniga.
Sono in particolare i lavori di Molière e di Gazzaniga a fornire il materiale per il lavoro di Mozart (che lo cataloga come opera buffa) e Da Ponte (che lo definisce dramma giocoso), costantemente in bilico tra il comico e il tragico, tra il buffo e il serio.

foto di Teatro alla Scala

Don Giovanni è un personaggio straordinariamente universale. Con Mozart il carattere assume uno spessore senza precedenti, che si rimodella non solo per l’essenza stessa, ma anche e soprattutto per la percezione e l’influenza nel senso comune.
Nell’opera del giovane Amadeus il “dissoluto punito” è a tutti gli effetti un portatore d’umanità di incredibile schiettezza. La sua condotta non è immorale nell’accezione privativa del termine, ma propositiva: egli non manca di morale, ma invece oppone ed espone la propria concezione etica organica e coerente in contrapposizione aperta e inconciliabile a quella dominante. Don Giovanni non vuole amare una sola donna, non vuole legami di tipo matrimoniale e non vuole privarsi dei godimenti della carne e dello spirito, perciò egli seduce ogni donna che incontra, senza alcuna preoccupazione e senza nessuno scrupolo. Egli è machiavellico, non solo in quanto cinico materialista, ma anche in quanto astuto simulatore e dissimulatore: ogni mezzo è lecito in ragione dello scopo prefissato. Tutto ciò egli lo dichiara apertamente.
Don Giovanni è un rivoluzionario senza rivoluzione. Rinuncia alla religione e alla tradizione, offende Dio e la legge, ma non ha intenzione di sottrarsi del tutto alle convenzioni dominanti né tantomeno di stravolgerle: ingannare le donne non è solo necessità tattica, ma vero e proprio gusto narcisistico, agire con prepotenza sugli uomini non è soltanto ineludibile occorrenza, ma anche vago divertimento.
Don Giovanni è coraggioso senza coraggio. Si rammarica dell’uccisione colposa del Commendatore, che non tarda a sbeffeggiare, fugge continuamente alla chetichella da ogni situazione di paventato pericolo, non si fa scrupolo d’incastrare il pavido Leporello attribuendogli a tradimento le sue azioni. Eppure raccoglie l’invito del “convitato di pietra” senza accettare il perdono in cambio del pentimento, votandosi alla condanna eterna pur di non rinnegare se stesso. Lui che ha vissuto da vigliacco decide di morire da eroe.
In Don Giovanni ognuno può riconoscersi del tutto o in parte, come essere umano grandioso e meschino al contempo, sciocco e intelligente, macchinoso e sprovveduto, disonesto e leale insieme. Disinteressato e narcisista. Eppure, per quanto emblematico, Don Giovanni non rappresenta un eccesso in nessuna direzione, né eroe né antieroe, ma interpreta, persino quasi pedissequamente, lo spirito libertino (e a tratti libertario) che, piaccia o no, risiede a buon diritto nel sostrato della cultura occidentale.
L’onore del protagonista spetta a Thomas Hampson, indiscussa star della serata. Artista che non si risparmia e che gestisce la scena da vero istrione, Hampson paga solo le tare dell’età. Espressivo e in simbiosi col personaggio, ma la voce non è quella di una volta e anche l’intonazione ne risente. Nonostante ciò i favori del pubblico non mancano, con molti e scroscianti applausi che ne premiano la meritata carriera.

foto di Teatro alla Scala

A scolpire nel dettaglio i tratti di Don Giovanni concorrono gli altri personaggi dell’opera. Da un lato le donne, vittime degli affondi adescatori del nobiluomo, che rivelano in generale una personalità ben più matura e forte rispetto agli uomini che, dall’altro lato, si dimostrano quasi tutti ampiamente incapaci e ottusi.
Leporello, il servo del nobiluomo, ne è l’onnipresente contraltare. Tra lui e Don Giovanni il rapporto è chiaramente di subordinazione, nonostante i frequenti riferimenti all’amicizia e alla fedeltà. L’uno non può fare a meno dell’altro per mere ragioni contingenziali, benché non manchi dell’affetto fra i due. Il buon Leporello è pavido e incoerente, macchietta del servitore sciocco, nei confronti di Don Giovanni nutre invidia e timore, rimprovera la condotta del padrone eppure tenta invano di emularla malamente. Le sue preoccupazioni esulano del tutto da ogni senso dell’onor proprio, la sua aderenza alla morale è evidentemente una compiacenza rituale: nessuno osa condannarlo soltanto perché le sue miserevoli azioni non minacciano lo status quo. Leporello, elemento eminentemente buffo dell’opera, è a tutti gli effetti un Don Giovanni popolaresco, senza la stessa coerente pervicacia dell’originale nobile. Interessante l’interpretazione di Luca Pisaroni, di vocalità robusta e recitazione sempre sul pezzo. Espressivo e di eccellente tecnica, la sua esibizione ha incensato un Leporello di primissimo impatto, con grande entusiasmo di pubblico.
I due antagonisti del nobiluomo, Don Ottavio e Masetto, si distinguono per particolare inadeguatezza rispetto ai propri fini. Don Ottavio, compassato e inibito, non solo non riesce a conquistare Donna Anna nonostante i continui tentativi, ma nemmeno riesce a vendicarne il padre, come ella gli ha richiesto e fatto promettere. È incapace di ogni azione che esuli dal tracciato della convenienza e della rispettabilità, inorridire e raccapricciare sono il suo massimo passo verso la propria affermazione. Egli, pur essendo personaggio tipicamente serio e cui sono affidate arie di un elevato portato lirico, si dimostra ad ogni passo alquanto ridicolo. Un avversario decisamente sotto tono per Don Giovanni e che non riesce mai a distinguersi dalla massa, nonostante sia incaricato dell’onere da antagonista. Nei suoi panni un bravissimo Bernard Richter, che cesella il personaggio con una verve oltre il consueto e raccoglie sonori applausi.

In seconda fila Masetto, giovanotto impetuoso e geloso. Il bello sposino non riesce a fidarsi della sua Zerlina e non conosce metodo di corteggiamento oltre all’esuberanza mascolina. La sua strategia per trattenere Zerlina a sé è un’infantile dimostrazione di forza e di scaltrezza che, tuttavia, egli non possiede in misura maggiore dei suoi rivali. Votato al fallimento, Masetto non solo è alfiere di un patriarcato maritale che pretende unilateralmente la devozione della moglie al focolare, ma è anche un ingenuo credulone che facilmente si fa ingannare da Don Giovanni prima e imbonire da Zerlina poi. Masetto è semplice e, inevitabilmente, soccombe alla complessità del mondo. La sua parte è affidata a Mattia Olivieri, giovane talento in crescita che il pubblico vedrà anche in Bohème a giugno. A pieno agio nella parte, che interpreta con piglio deciso ed vigoroso.
Menzione a parte per il Commendatore, personificazione vera e propria del mos maiorum. Prima, come padre di Donna Anna, afferma, nonostante la debolezza della vecchiaia, l’alta idealità della morale, poi, come convitato di pietra, forte della propria natura semidivina, chiede a Don Giovanni il conto finale della sua condotta. Il Commendatore è la nemesi di Don Giovanni, ne apre e chiude le vicende, e realizza un castigo che nessun altro è riuscito a imporre. Debolezza sulla terra, forza in cielo, proprio come certi principi della religione. Un personaggio sui generis rispetto agli altri, quasi una replica degli antichi deus ex machina tornato sulla terra a ricordarci l’incombere dell’aldilà. A intonarne le profondità vocali il giovane Tomasz Konieczny, potente e squillante, preciso e sonoro.

foto di Teatro alla Scala

Il gentil sesso offre un panorama più interessante. Le donne che compaiono in scena sono tutte bersagli delle mire amorose del protagonista: Donna Elvira, la conquista passata, Donna Anna, la conquista recente, e Zerlina, la conquista in procinto.
Elvira è donna inquieta e passionale, benevola e sincera. Sedotta e abbandonata da Don Giovanni ormai da tempo, non rinuncia ad amarlo e, forse ingenuamente, a perseverare in infruttuosi tentativi di dissuaderlo dalla sua condotta licenziosa. Donna Elvira è convinta di poter cambiare il suo uomo con la forza dell’amore e della gelosia e non devia mai dal proprio tracciato, anche quando ha assistito per l’ennesima volta ai tradimenti di Don Giovanni e ne ha dovuto informare le altre sventurate. Non si può dire che abbia tutti i torti: Don Giovanni, non riconoscendola, tenta di sedurla nuovamente. Forse che è davvero invaghito di lei?

A Vestirne i panni è una splendida e travolgente Anett Fritsch. Scalda gli animi con la sua interpretazione coinvolgente e appassionata, praticamente perfetta, oltre le aspettative. Tripudio di pubblico per questa bravissima cantante.
Donna Anna è la prima a comparire sul palco, in una scena di intenso impatto emotivo. Don Giovanni l’ha appena posseduta entrando con l’inganno nella sua stanza e approfittando dell’oscurità. Non è chiaro quanto Anna abbia ceduto alla forza dell’uomo oppure al suo fascino, ma quando le sue grida hanno attirato l’attenzione del padre, il nobiluomo, celando la propria identità, lo colpisce fortuitamente a morte. Donna Anna è fredda e ambigua, si strugge per la morte del padre e subito fa giurare vendetta a Don Ottavio, suo promesso sposo. Nella ricerca della vendetta stenta a riconoscere in Don Giovanni l’uomo di quella notte fatale e, una volta ravvisatolo, unica sua preoccupazione è vendicare l’onore. Una donna forte e decisa, che agisce con cognizione di causa e senza cedere ai sentimentalismi. Su Don Ottavio dimostra una marcata superiorità, tanto da seguitare a procrastinare le nozze senza incontrare opposizione. La loro relazione, pur costellata da arie e duetti seri, non riesce a nascondere una velata ironia anticonformista.

Nel ruolo ambiguo si distingue la giovane Hanna-Elisabeth Muller, che seduce il pubblico grazie ad una voce fresca e squillante e una tecnica davvero ragguardevole. Espressiva al punto giusto, percorre la partitura con sicura abilità.
Infine, la bella Zerlina, fresca di matrimonio col buon Masetto. La contadinella ingenuotta e innocente dei racconti bucolici lascia il passo ad una più disinibita e consapevole donna, che ben conosce le cose del mondo. Non cede a Don Giovanni che per calcolo, Masetto le fa sì pietà ma è soprattutto il timore di venire burlata a farle respingere le avances di Don Giovanni, che pure si avvicina clamorosamente allo scopo. La giovane Zerlina è una ragazza che conosce gli uomini e le loro debolezze, non dice mai di no, ma sa rifiutare, non dice mai di sì, e sa convincere. Di fatto, si può dire che la storia del fallito tentativo di Don Giovanni di sedurre Zerlina sia il centro nevralgico dell’opera, cui arrivano e da cui prendono il via le altre vicende.
Nelle sue vesti si esibisce una splendida Giulia Semenzato, che avevamo già apprezzato in altre occasioni e che non smentisce le sue notevoli qualità. Voce aggraziata e piglio malizioso, abbinati ad una tecnica straordinaria. Meritatissimi gli applausi del pubblico per la cantante veneta.

foto di Teatro alla Scala

La regia di Robert Carsen, che aveva già raccolto il trionfo della Prima inaugurale della stagione 2011, è un dedalo di simboli metateatrali.
Domina il “rosso Scala”. Tutta la scena nel palazzo di Don Giovanni è giocata sul contrasto cromatico tra i costumi dei personaggi, che il nobiluomo vorrebbe vestire tutti in zimarre e abiti di velluto rosso. In realtà i personaggi presto rivelano i loro veri abiti tenuti nascosti sotto quelli vermigli: domina il nero del lutto e della serietà per Don Ottavio e Donna Anna, il bianco per Zerlina e Masetto, dell’innocenza e della purezza. Si scambiano di continuo le vesti Don Giovanni e Leporello, rossi, neri e pure in biancheria intima: camaleontismo e gazzarra da commedia.
In effetti, Don Giovanni cambia abito ripetutamente, quasi ad ogni scena, in bella vista sul palcoscenico. La conferma che non solo egli sia uomo reale, con la fisiologica necessità di mutare d’aspetto, ma anche che, da buon calcolatore e vero galantuomo, sa benissimo che ogni contesto vuole la sua etichetta.

Le quinte sono sempre gigantografie del Teatro, una celebrazione della Scala e dell’opera in generale, in diverse dimensioni e su più livelli, accompagnate verso la fine da grandi specchi mobili che riflettono la sala gremita. La magia della finzione si incrina e si spezza, chi volesse cercarsi sul palco può trovarsi e diventare al contempo spettatore e spettacolo. Uno specchio della coscienza, che turba la tranquillità del teatro.

La recitazione chiesta ai personaggi è un tripudio di sensualità ed erotismo. Non solo le sboccate avances di Leporello brevi manu, ma anche lo spogliarello di Donna Elvira o la gestualità esplicita di Masetto e Zerlina. Forse gratuita, ma ad ogni modo calzante, la comparsata senza veli della serva di Donna Elvira, che scappa nuda (di spalle) dopo il corteggiamento di Don Giovanni.
Spavaldo e arrogante il protagonista. Scanzonato e spaccone, affascinante nell’ostentata sicurezza che emana ad ogni passo. Nella scena finale, che vorrebbe essere la condanna moralistica del libertino senzadio, il nostro Don Giovanni avanza verso la buca d’orchestra fumando una sigaretta, mentre gli altri inconsistenti personaggi sprofondano cantando il loro rituale motivetto moraleggiante.

foto di Teatro alla Scala

A dirigere l’orchestra il maestro Paavo Jarvi, esordiente scaligero. La sua interpretazione, pur attenta alle esigenze di palcoscenico, sembra focalizzata su una ricerca meticolosa delle armonie più che sulla delicatezza delle melodie. Così, spesso capita che le voci si intersechino in maniera inconsueta con le linee strumentali e che l’effetto generale sia quasi sinfonistico. Si sente forse il peso dell’impegno di Jarvi con l’Orchestra della Scala nell’esecuzione della settima di Mahler.

Eccellente la prova dell’Orchestra e l’esibizione del Coro del Teatro alla Scala, senza bisogno di presentazioni.

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