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Ritals, le storie di ieri per l’Italia di oggi

Ritals, le storie di ieri per l’Italia di oggi
Fermata Spettacolo

Mario Gelardi è un drammaturgo napoletano esponente del teatro civile italiano; nel corso della sua carriera si è misurato con argomenti quali la camorra, la pedofilia in ambito ecclesiastico, la morte di Pasolini e il terrorismo, spinto dal desiderio di rendere il suo un modo di fare teatro politico e aiutato in questo da un felice connubio nato qualche tempo fa con Roberto Saviano con cui ha collaborato, tra le altre cose, anche curando la versione teatrale del romanzo Gomorra nel 2007.

Alla decima edizione del Napoli Teatro Festival Gelardi torna a parlare di attualità ma lo fa sulla falsa riga della narrazione storica con lo spettacolo Ritals in scena nel suggestivo Cortile delle Carrozze di Palazzo Reale.

La storia che viene narrata si ispira a dati reali in quanto proprio in quel periodo si conta che ogni anno dall’Italia partivano circa 80.000 persone dirette in Svizzera in cerca di lavoro, a Loro i nostri vicini europei francofoni avevano attribuito il dispregiativo soprannome di Ritals forse per la difficoltà degli italiani a pronunciare la r alla francese o come abbreviazione di Rèfugiè Italien.

Lo spettacolo si svolge in una sala d’attesa della stazione ferroviaria di Napoli, è il 20 luglio 1969 e, mentre gli americani stanno compiendo il primo sbarco sulla luna, alcune persone attendono di fare un colloquio di lavoro per poter essere assunti come muratori in Svizzera dalla ditta Brunner. Per ognuno di loro e per ragioni diverse quella rappresenta l’occasione della vita: dal giovane affamato e in cerca di qualche soldo per campare alla sessantottina che sogna di uscire dalla claustrofobica realtà di provincia, dal signore di mezza età che vuole assicurare a sua moglie e al figlio che sta arrivando un tetto sulla testa al ragazzo poco istruito che però non vuole essere “il solito meridionale che si accontenta”.

Sin da subito si creano all’interno del gruppo due schieramenti: da una parte ci sono coloro che vedono nella Svizzera la terra promessa, «Un posto civile, mica come qua? Gli Svizzeri stanno avanti di trent’anni rispetto a noi» dice Viola la sessantottina che ha letto libri e giornali sull’argomento, «Lì c’è lavoro! Ti pagano! Non come qua che non c’è niente», dice Tony il meridionale che si vuole emancipare andando via da una città che gli appare senza sbocchi, e dall’altra ci sono gli scettici, quelli che partiranno a malincuore e a cui mancherà la pasta, la pizza, la famiglia e pure il mandolino come a Lucio, che alla fine decide di restare qua e di accontentarsi perché la Svizzera è lontana e fredda e non sarà mai “casa”.

Ma chi di loro ha ragione? L’unico che può dare una risposta è il responsabile dei colloqui, un meridionale emigrato in Svizzera molti anni prima, un uomo apparentemente glaciale («Questo l’antipatia l’ha imparata in Svizzera!», come dice uno dei protagonisti), che davanti ai dubbi, alle paure, ai sogni e alle speranze, cede e racconta quella parte della storia che gli altri possono solo immaginare (sbagliando): «Chi vi ha detto che è tutto bello là, vi ha mentito. Non ha avuto il coraggio di dirvi la verità» dice ad un certo punto. Perché la civiltà lì c’è e gli svizzeri saranno pure avanti dieci, venti, trent’anni rispetto all’Italia ma tra di loro e per loro, non per degli immigrati andati fin lì a rubargli il lavoro, non per dei Ritals scuri e pelosi come le scimmie, per loro lì non c’è nessun futuro roseo, nessuna emancipazione, solo sfruttamento e emarginazione, solo il continuo ribadire di essere “diversi”, degli intrusi, buoni solo a sporcarsi le mani con la calce.

Gelardi apre così lo spazio alla riflessione su due argomenti di grande attualità: da un lato la generazione di giovani disoccupati, davanti ai quali l’Italia pare continuare solo a chiudere porte e che preferiscono fare i camerieri in un ristorante italiano dal nome esotico in una qualche capitale europea piuttosto che subire l’umiliazione di uno stage di formazione di 60h settimanali “ovviamente non retribuito”; dall’altra la questione dell’accoglienza dei migranti nel nostro Paese, tema scottante che scatena lotte senza fine (basta pensare alla bagarre che ha coinvolto alcuni politici proprio in questi giorni sulla questione dello Ius Soli) e che sta portando alla luce l’esistenza di una parte di italiani razzista e, cosa anche peggiore, smemorata perché, come ci tiene a sottolineare il regista, fino a qualche decennio fa le scimmie eravamo noi italiani, che emigravamo in massa verso paesi di tutto il mondo alla ricerca di lavoro.

Le conclusioni ognuno le trarrà da sé, ma si può di certo ammirare la leggerezza e al contempo la forza con cui Gelardi affronta questi temi, con dialoghi mai pesanti e intervallati da bellissime canzonette anni Sessanta; aiutato da un cast di attori che si muovono a loro agio sul palco senza caricare la recitazione ma anzi dandole fluidità.

La scenografia è essenziale, composta solo dalle panche della sala d’attesa, ma riempita dai giochi di luce curati da Paco Summone e Alessandro Messina; ben scelti e soprattutto perfettamente in linea con le ambientazioni e con i singoli personaggi i costumi di Alessandra Gaudioso.

Tutti questi elementi fanno di Ritals uno spettacolo che nella sua semplicità risulta piacevole e ben riuscito, veicolo di un messaggio e di una riflessione importanti seppure non assolutamente innovativi e originali.

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