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Io Amo Te. Una mostra a cura di Umberto Palestini, L’Arca – Laboratorio per le Arti Contemporenee – Teramo #mostre

Io Amo Te è un viaggio attraverso i sentimenti contrastanti del tempo e dell’esistenza. Umberto Palestini, curatore della mostra, raccoglie una serie racconti in una storia che parte dai lavori di Giuseppe Stampone, Matteo Fato, Giorgia Trubiani, Giuditta Branconi e Luigi Carboni in opere che confluiscono in dialogo accorato nel cuore della città di Teramo.

I lavori di Giuseppe Stampone funzionano da sentinella, accolgono il visitatore nell’area d’ingresso all’Arca – Laboratorio per le Arti Contemporanee. Per chi non lo sapesse, le opere di Stampone sono caratterizzate da una forte presenza visiva e da un’enfasi sulla relazione tra l’individuo e società. Spesso presenta un’analisi critica delle istituzioni sociali e politiche, sottolineando le disuguaglianze e le ingiustizie che esistono nel mondo. La sua arte è influenzata dalla tradizione pittorica italiana e dalla storia dell’arte, ma allo stesso tempo si ispira a fonti diverse, come la cultura pop, la street art e la politica. In questo caso sembra invitarci a uno spiraglio di guerra – visto il contesto storico e sociale -, ma potrebbe essere inteso come una scoperta – come da indicazione della nave interattiva su cui esiste il nome Santa Maria. L’artista ci pilota ai piani superiori con la plasticità dei materiali, dell’unto del petrolio, in una installazione/metafora che contamina le relazioni, comprese quelle amorose.

Il livello visivo al primo piano è stabilito dalla cifra stilistica di Matteo Fato. La sua pittura accoglie chi entra nello spazio con un’esplosione e un segno indelebile ormai entrato a far parte nell’immaginario contemporaneo. La sua opera regola e allinea le direttrici che guidano il visitatore a questo incontro con tratto che decreta e rende libero il passaggio nello scegliere dove si può stare all’interno di questa mostra.

Tutto è costruito per corrispondenze, non sembrano esserci sezioni tematiche: niente è scollegato, ma tutto può esserlo. Il lavoro da compiere per chi guarda è di capire a quali forme e a quali linguaggi aderire. Ad esempio c’è chi può ritrovarsi nell’operato di Giuditta Branconi, la quale presenta una pittura che ha diverse stratificazioni di lettura partendo proprio dai suoi maestri che la accompagnano in questo viatico. Ogni sua opera presenta elementi che crescono in termini di ricerca con rimandi al mondo esterno, possono arrivare dalla storia dell’arte occidentale, la scarnificazione dei corpi nelle rappresentazioni di culto colombiane, ai pattern di Cesare Tacchi, alla pubblicità. Un’artista che con la sua bravura si concede la possibilità di catturare l’attenzione all’interno di un quadrato composto da nomi molto noti e dotati di un percorso ben più strutturato rispetto al suo.

Nella rassicurazione del segno, arriva Fabrizio Cotognini. La sua installazione spezza lo spazio di chi osserva con un lavoro del 2023: una istallazione dedicata al tempo.

Luigi Carboni sembra riportare il discorso su un piano piano sociale molto attuale con l’uso scarnificato della geometria. L’artista gioca nella compostezza delle linee e nello sgretolamento delle stesse, tra astratto e figurato. Quanto un argomento di questo tipo può essere centrale in un momento storico in cui si ha tra i dibattiti più accesi quello della fluidità e nella commistione dei generi?

Giorgia Tribuiani – infine – è la più lontana Tra Gli Artisti incontrati finora, proprio in termini di allestimento della mostra. Di lei si ha una proiezione di corti nella piccola sala conferenze del Laboratorio. La sua presenza si rende partecipe nell’uso dei suoni che provengono dai suoi video poiché le musiche si diramano negli ambienti dell’Arca e offrono al visitatore il giusto tempo di mediazione con un ritmo che stabilisce il passo di chi osserva l’intero percorso.

La questione più interessante è una ed un’altra: il catalogo. Un lavoro pensato per essere un unicum da collezione, disponibile in mostra in codice QR e visibile sito ufficiale www.ioamote.it. Si tratta di un vero e proprio libro d’arte nel quale scoprire pezzi di elementi che raccontano gli artisti in modo speculare rispetto al vissuto di chi attraversa lo spazio dell’Arca. Interessante allora è come questa pubblicazione sia stato progettata e come sia stato stato pensato su questa relazione nel doppio gioco tra rappresentazione e disvelamento. Allora la domanda da porre al curatore è semplice: chi tra gli artisti invitati nella mostra si dichiara nella sua forma più autentica riflettendo sul titolo della mostra “Io amo te“?



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