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Immaginare un mondo al contrario? Sì, possiamo!

Tags: ogni mondo questa

Pensate come sarebbe bello svegliarsi una mattina e sapere che tutti, ma dico tutti, gli strilloni giornalisti, politici e compagnia cantando che da decenni monopolizzano Ogni spazio d’informazione pubblica di colpo, come fossero stati rapiti da agenti alieni, si sono volatilizzati nel nulla. Accendere la TV e sentire solo discorsi intelligenti; sfogliare un quotidiano nazionale e leggere solo notizie confortanti; scendere al bar sotto casa e, fra una spremuta e una torta artigianale, dialogare con gli amici sul cielo stellato della scorsa notte. Quanto siamo lontani da questo desiderio. Purtroppo ci tocca ancora subire, quasi senza fiatare, lo sproloquio assillante che ogni mattina, ogni pomeriggio e ogni sera abita le nostre case e le nostre menti sempre più indebolite e stanche.

Ma non perdiamoci subito d’animo. Proviamo a immaginare Questa realtà totalmente opposta, questo luogo immaginifico dove si possa arrivare a realizzare – addirittura – un confronto educato, fatto di suoni dolci e di comprensione reciproca. Uno spazio governato da leggi che tengano conto della sensibilità di ognuno, della tutela di ognuno, ma soprattutto della libertà di ognuno. Mai ipocritamente: ti tutelo e ti tollero solo perché devo; ma perché si è coscienti del vero significato della parola libertà. Nessuna verità imposta potrà mai essere più verità di un’altra, poiché la verità è appunto indissociabilmente legata alla libertà. Vedete che strana coincidenza questa, mentre si fantastica sulla smaterializzazione di tutte le fonti di informazione di regime si rischia di dire anche frasi che abbiano un senso compiuto, oltre che una profondità insolita. Che stranezza. Sarà forse questa la chiave evolutiva di uno stare insieme totalmente agli antipodi dell’immagine di Mondo alla quale siamo stati obbligati? Sarà forse il riuscire a scavalcare la visione riduzionista del mero calcolo materiale, senza perdere di vista la logica e il buonsenso, il punto di forza di un nuovo saper vivere civile? Non è la prima volta che gli esseri umani, da sempre immersi in una storia più grande di loro, si trovano costretti a rispondere a queste domande.

Lo slogan di un movimento culturale ambiguo e sconvolgente come fu quello del Sessantotto, per fare un esempio recente, vi ricordate cosa diceva: imagination au pouvoir!. Intuizione geniale! Nonostante, col senno di poi, possiamo riconoscerne i grossi limiti e l’insufficienza complessiva che ha portato gli stessi autori antisistema di quel periodo a governare peggio di coloro che erano scevri di ogni utopia immaginativa. C’è sicuramente tanto da imparare dal nostro passato. Oltre all’immaginazione, infatti, serve anche una solida capacità di integrare quelle che sono le immagini ideali, sgorgate dello spirito del tempo, con i contorni definiti di una realtà che è – inevitabilmente – storica, antecedente alla nostra esistenza, razionale e graduale. Intanto però, di questi tempi, ci accontenteremmo anche solo dell’immaginazione: di percepire cioè nell’aria una bella, sana, eroica, gloriosa e coinvolgente idea di futuro; piuttosto che sentire osannare in modo ipnotico e martellante l’unicità di una forma di pensiero raziocinante che più andiamo avanti e più scopriamo essere (spesso) un pensiero limitatissimo, disumano e controproducente.

Ma questo è propio il mondo al contrario. In questo mondo, se qualcuno provasse anche solo a spostare l’attenzione sulla vita futura, partendo dalla speranza di una maggiore felicità per l’essere umano, e non come fanno tante mode tecno scientifiche che si concentrano unicamente sul profitto artificiale e sulle mete aerospaziali; bene, se qualcuno si cimentasse in questa impresa creativa, verrebbe subito derubricato sotto il nome di zuzzurellone, perditempo o anche “giovane inesperto”. Come è facile dividere il mondo in due parti, dare etichette con la semplicità con cui si mettono i codice a barre sulla merce in vendita. Lo vediamo anche in questi mesi di delirio planetario: tu che dici questo sei no vax, ma se invece dici quest’altro sei pro vax; se per caso ti sento dire questa parola diventi immediatamente scientifico e razionale, se però ti scappa di dire quest’altra parola allora ecco che ti trasformi in un essere irrazionale. Come si può fermare questa deriva paranoica? Non è possibile che non ci si accorga di quanto questa continua tarantella dell’imputare a qualcuno d’essere questo o essere quello non faccia altro che produrre separazione, divisione, negazione di ogni possibile dialogo. Non è poi difficile vedere quanto tutto ciò diventi, come fu già in passato, un meccanismo estremamente funzionale al potere costituito: è il solito schema che vede confliggere il ceto medio-basso al suo interno, contro sé stesso, dimenticando così rapidamente chi è l’artefice originario di questo inutile contrasto orizzontale.

Lo scopo di coloro che continuano a ostacolare quello che Gramsci chiamava affettuosamente lo “spirito popolare creativo” è molto semplice: far perdere alle persone ogni tipo di speranza verso un mondo migliore; ma ancora più nel dettaglio potremmo dire: arrivare a disinnescare alla radice qualsiasi spinta vocazionale che abbia come intento quello di voler stravolgere, con la forza della ragione poetica, qualsiasi negazione della libertà umana. Perciò diventa indispensabile impegnarsi per “articolare concretamente e collettivamente, anche sul piano giuridico” – come ha sostenuto più volte il giurista torinese Ugo Mattei – “una resistenza legittimata dalla volontà popolare di invertire la rotta rispetto al continuo rafforzamento del dispositivo politico e culturale del neoliberismo”[1].

Per riuscire in questa impresa però, bisogna sforzarsi di tenere insieme le varie dimensioni dell’agire umano. Non possiamo rischiare di appiattirci su una critica di tipo economica, politica o sociale, che rischia appunto di perdere di vista l’aspetto creativo e ideativo fondamentale per ogni vita individuale e collettiva. La denuncia va fortemente nutrita di slanci immaginativi propositivi, se vuole farsi praxis storica effettiva; altrimenti può venire facile pensare che essa venga messa in scena solamente quale vana lamentela intellettuale; allora, se fosse così, tanto varrebbe tacere e lasciare spazio alla decadenza inarrestabile. Che senso ha criticare per il semplice gusto di criticare? Come si può non arrischiarsi in una proposta che sia anche solo (inizialmente) una raffigurazione stilizzata di un’idea regolativa?

Sul piano della visione si giocano i destini dei popoli, in ogni tempo e in ogni epoca. Ecco perché l’immagine e la parola sono codici da sempre molto potenti, usati dalle religioni e dai poteri imperiali, ma anche dal consumismo e dalle nuove forme di biopolitica.
La formazione di un’immagine ideale è un processo strano, pieno di contraddizioni e giochi d’ombra. A volte avviene di colpo, come una fiammata improvvisa; sovente, invece, ha bisogno di farsi strada lentamente, nel silenzio che attraversa la storia.
Certamente la confusione di pensiero che ci circonda dentro e fuori, quotidianamente, non favorisce quel clima di distensione creativa necessario per partorire idee sensate; e, per citare una bella frase, mi verrebbe da dire che: “Tutto il frastuono di oggi sembra solo un mormorio d’insetti ronzanti intorno all’immane dorso di quell’animale preistorico, il silenzio.”[2] Eppure, forse, è proprio grazia a questa fase storica così caotica che nasce la possibilità (per chi se ne farà tramite) di immaginare un mondo nuovo, un mondo al contrario, un mondo totalmente altro rispetto alle logiche anticreative oggi drammaticamente imperanti.

[1] Ugo Mattei, Il benicomunismo e i suoi nemici, Einaudi, 2015, p. 3

[2] Max Picard, Il mondo del silenzio, Edizioni Comunità, 1951, p. 16



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