Get Even More Visitors To Your Blog, Upgrade To A Business Listing >>

Ogni molecola

L’occasione è sempre casuale, o almeno così appare a prima vista. Che nell’universo non ci sia niente di casuale, peraltro, è un assunto sempre da riconquistare, da fare nostro in ogni momento di coscienza. Più che casuale, mi piace dire provvidenziale, almeno questa volta. L’occasione in sé è una possibilità, è una strada che si apre, un cammino che rende possibili altri e successivi itinerari, una porta verso stanze sconosciute e spesso intriganti. L’occasione specifica, è stata la richiesta di svolgere una relazione su Gravità e senso del bello in alcuni eventi dell’Associazione Italiana Teilhard de Chardin, lo scorso anno. E poi a seguire, la richiesta di un testo da pubblicare sui Quaderni dell’associazione stessa.

Così noi di AltraScienza abbiamo pensato di proporre ai nostri lettori Questo testo, magari a puntate. Perché il punto ci sembra importante. Perché è una carrellata, una chiacchierata, su quello che la scienza (del cielo, ma non solo) è stata, e su quello che è e soprattutto può diventare, se accoglie in sé le istanze di rivoluzione che il tempo presente innegabilmente porta. E in questo tentativo, il testo si è modificato, si è adattato, ha reagito in modo morbido al cambio di contesto, ha interagito con l’ambiente. E’ diventato nuovo, in buona parte.

Si è così generato un cammino in cinque “puntate” che, ormai completo, potete leggere e commentare sul sito di AltraScienza. Rimandando alla lettura – che raccomanderei lenta e meditata – qui non posso che tentare una estrema sintesi, che è anche un rinnovare le ragioni di questa avventura di AltraScienza, che prova (come “tentativo ironico” sempre correggibile, per dirla con Luigi Giussani) a tradurre in questo ambito specifico le istanze di un percorso come quello di Darsi Pace. Andando al nucleo, il ragionamento è semplicissimo. Se i tempi chiamano ad una rivoluzione pacifica, non violenta, nuova, se questo è vero, come può la scienza del cielo chiamarsi fuori da questo moto di rivoluzione? Ovvero, come rimanere autentici scegliendo di non vivere il presente? Chiaramente, è impossibile.

Ecco allora che diventa importante, diventa urgente, stimolare e divulgare l’idea di scienza che risuoni con il nostro tempo, perché ritornando finalmente contemporanea, divenga ipso facto interessante ed importante per le persone che vivono adesso. Le persone intese, una volta tanto, non come teste pensanti o produttori di opinioni, financo scientifiche. Nemmeno ridotte a lavoratori o consumatori, pedine infinitesimali e asettiche di un mercato sempre più esageratamente “cosmico” e sempre più uniformato. Affatto. Intese, invece, come esseri viventi, con carne e sangue e respiro e sorrisi ed umori corporei, odori. Intese cioè, nella loro splendida e totale, inimitabile carnalità, in quel misto di oro e fango che irriducibilmente le caratterizza.

Possiamo dirlo. Se la scienza è davvero parte integrante dell’avventura umana, una scienza che non dialoga con le persone è una scienza già bella e morta. Il “delitto” peraltro lo compiamo anche noi – ora ed ancora – quando pensiamo una scienza lontana e quasi “costituzionalmente incomprensibile”- ma attenti – lo compiamo anche verso noi stessi, perché ci priviamo di qualcosa che ci appartiene, che ci deve appartenere: ci lasciamo quietamente privare di un nostro diritto, quello di essere dentro l’impresa scientifica, condividerne le scoperte, le passioni e le emozioni, qualsiasi sia il nostro bagaglio culturale.

Si tratta proprio di questo: vivere un’avventura comune, sia pure a vari livelli e in varia gradazione. Essere fuori dalla scienza è essere fuori dal tempo (e facile preda di ogni tentazione pseudoscientifica, pericolosa perché sovente chiama ad un approccio totalizzante che la vera scienza ha ormai dovuto abbandonare). Ed è incredibile, in questo, la nostra assuefazione, la nostra stolida indifferenza. Dobbiamo insorgere se ci rubano la scienza, segregandola in costosi ed occulti laboratori e in strutture di pensiero anguste ed inaccessibili. Stanno rubando qualcosa di noi! La scienza è nostra, ne abbiamo diritto, non ce la facciamo rubare mai più. Ora che l’architettura del cielo è  affidata ad un modello scientifico (lo è da pochissimo tempo,  tra l’altro) e non più ad una costruzione mitica, lasciarci rubare la scienza è diventato persino più grave, è come sottrarci al nostro stesso cielo. Rimaniamo senza un modello di riferimento, uno schema complessivo ed unificante del cosmo in cui siamo immersi (ci piaccia o meno). Cosa che per un uomo dei tempi antichi sarebbe risultata assurda, incomprensibile.

Ma in verità, sarebbe da dire, altro che scienza. E’ anche un discorso politico, alla radice. Chi detiene il potere non gradisce la conoscenza attiva e democratica, come quella del cielo. Perché questo tipo di conoscenza “sveglia” le persone. La luce chiara e tersa delle stelle è in splendida antifase con quella azzurrina soporifera degli schermi televisivi. Dove la seconda addormenta la coscienza, la prima la ridesta. Abbiamo diritto di capire cosa è il cosmo intorno a noi, e di sposare una narrazione dolce e morbida, intrinsecamente relazionale – dicendo davvero basta ad ogni riduzionismo residuo – perché lo sappiamo bene, il modo di pensare il cielo è anche il modo di pensare i rapporti tra le persone. Un cielo “ottocentesco” dominato da  scontri di forze tra giganteschi e freddi corpi celesti è la semplice e diretta proiezione su grande schermo di un modello di vita imperniato sulla categoria del possesso, dell’usura e della prevaricazione. Dove la scelta ultima, il brivido residuo di possibile piacere, è solo tra abusare od essere abusato.

Come cantavano gli Eurythmics negli anni ‘80, nella inquietante e bellissima Sweet Dreams, “ho viaggiato il mondo ed i sette mari, ognuno cerca qualcosa. I ‘dolci sogni’ son fatti di questo, chi sono io per dissentire? Alcuni vogliono usarti, alcuni essere usati, alcuni vogliono abusare di te, altri essere abusati.”

Questa non è appena una (straordinaria) canzone, ma identifica con lancinante precisione un modello cosmologico. E quindi un modello relazionale. Ad ogni cosmologia corrisponde una visione della vita, è noto. Non si dà un cielo morbido per un uomo egocentrato, e viceversa un uomo più “liberato”, più vicino al Sé, “produce” un cielo che allarga all’infinito la spaziosità interiore, coniugandola in stelle e galassie e nella percezione che di queste possiamo avere.

Divulgare un nuovo cosmo allora non è appena una storia di divertimento intellettuale, di passatempo di alto livello, intanto che magari la storia vera corre affianco. Divulgare un nuovo cosmo è rientrare potentemente in quel moto di rivoluzione che ci interessa, centrato sull’Essere autentico, sul quale fare perno per non cadere ancora nelle nostre distorsioni spazio temporali (e psichiche). O meglio, per avere sempre un punto di leva, per rialzarsi dopo ogni caduta, per guardare lontano, per vedere le stelle, la pazzia meravigliosa e assurda di un cielo fittissimo di stelle, e capire – per questo soltanto – che c’è di più, c’è molto di più dei miei pensieri pigri, della scatola razionalistica (perciò asfittica, noiosa, mefitica, ormai insopportabile) dove mi rinchiudo di solito. C’è spazio per la meraviglia e lo stupore, e in questo, il nuovo cielo mi accompagna. C’è spazio per una politica nuova, una economia nuova, una nuova poesia e una nuova stagione del desiderio, un desiderio (appunto) luminoso e stellato.

Questo nuovo cielo, poi, sono i tempi nuovi che spontaneamente lo producono, lo rendono disponibile. La nostra mente “vecchia” resiste, ma alla fine dovremo per forza lasciarci andare, seguire il flusso. Lo sanno bene i ragazzi, lo sanno bene i “pazzi”, i poeti, quelli che ancora guardano il cielo con atteggiamento fresco, vergine, pulito e nuovo. Nei cinque post del ciclo, ho inserito delle frasi che hanno scritto dei giovani studenti di un istituto romano, con i quali sto conducendo un lavoro sulle poesie di Imparare a guarire e sui racconti del libro Anita e le stelle. Ho il piacere di farlo, in stretta collaborazione con alcuni insegnanti capaci e attenti (tracce di questo lavoro, con altri brani dei ragazzi, si possono ritrovare nella bella introduzione al volume a cura della professoressa Carla Ribichini). Da questa occasione di dialogo con i ragazzi, da questo delicato contatto con i loro universi, ho imparato e ancora imparo molto. Attraverso di essi emerge cristallina e splendente – oltre ad un senso di stupore sempre da recuperare per noi adulti – quella semplicità di secondo livello, che già ricerchiamo nei nostri percorsi spirituali e certo nella nostra intera vita.

Così scrive la giovanissima Marika, «In  un  punto  sparso  dell’universo  ci  siamo  io  e  le  mie  possibilità:  ogni  mia  molecola  è  unica,  capiente  di  speranza  e  saggezza,  voglio  incamminarmi,  fare  un  passo in  avanti  e  trovare  la  mia  luce.  Vari  stadi  di  conoscenza  evoluta  mi attendono  e  le  stelle  aspettano  il  mio  arrivo.»

Ecco. La donna nuova, l’uomo nuovo, stanno premendo in noi per nascere. Consapevoli della propria unicità ed irriducibilità ad ogni modello sociale o economico, che scende a livello primordiale, molecolare. Questa svolta è di portata cosmica, e siamo investiti adesso dalla possibilità di uscire dalla cappa di cemento della nostra prigione, siamo investiti  adesso  dalla possibilità concreta di uscirne fuori.

E vedere loro, le stelle.


Piano dei post (in ordine di uscita) del “percorso” sul blog di AltraScienza:

 

  1. Conoscenza e mistero
  2. Un universo in corsa
  3. Solo il fantastico è reale
  4. Un mondo, in costruzione
  5. La tua strada, verso le stelle

 



This post first appeared on Darsi Pace, please read the originial post: here

Share the post

Ogni molecola

×

Subscribe to Darsi Pace

Get updates delivered right to your inbox!

Thank you for your subscription

×