La Salute tira. Il marketing ci sguazza. Una pillola per ogni problema, purché abbia un ampio mercato, tanti potenziali acquirenti, sotto la garanzia di un remunerativo brevetto.
Le onnivore leggi di mercato si sono inghiottite anche la salute e Homo consumens le ossequia senza battere ciglio.
Così la salute è diventata un gran bel business, con numeri di fatturato che hanno la potenza di confondere la mente come le distanze intergalattiche.
Non ci possiamo più permettere di non essere in forma – ed entriamo nel grande fraintendimento che baratta salute per una sua brutta copia. Il bombardamento informativo non perde occasione per ricordarci che il nemico è in agguato: dobbiamo restare guardinghi e tenerci sotto controllo per verificare, ad ogni istante, che i parametri siano tutti nella norma. Il range della pressione arteriosa, ritenuto adeguato, si riduce ad ogni aggiornamento delle Linee Guida. Le campagne di screening vanno per la maggiore: come polli in batteria aspettiamo il nostro turno davanti alla TAC e inghiottiamo felici statine a quintali, convinti di garanzie di esenzione da malattie cardiocircolatorie, mentre siamo solo bersagli inconsapevoli della roulette russa della probabilità. Si parla tanto di terapie personalizzate, ma pare il trionfo dell’uomo medio, taglia unica, quello dei protocolli da applicare uguali per tutti – e sia proprio uomo nel senso di maschio, perché la medicina di genere ha ancora tanta strada da fare…
L’uomo odierno in sbriciolamento, che non si sa più definire, sarebbe disposto a tutto pur di lenire l’angoscia di precarietà che lo attanaglia. E diventa facile preda del Grande Meccano che gli promette la sostituzione dei pezzi che si sono guastati, soluzioni veloci ad ogni malessere, meglio se a portata di App.
Questa corsa affannosa però non pare essere salutare, tanto meno può darci salute.
Iniziamo a vedere le falle nel sistema, il mercato e i suoi tranelli, se non i veri crimini.
Quando l’Io si riprende, in istanti di luce, intuisce che la salute è un impegno che dura tutta la vita: non è un diritto, almeno non subito. È l’esito di una fine omeostasi, per dirla con Antonio Damasio, un dinamismo di interazioni ed intrecci a molti livelli: non è una questione soltanto individuale, ma scaturisce da relazioni interne al proprio corpo, con gli altri affettivamente vicini, nella società più allargata, con le istituzioni.
Ecco allora la proposta di un progetto che si chiama DarsiSalute. Non è solo banale mimica rispetto al movimento di origine, Darsi Pace. La salute non è uno stato già dato, ma una condizione sempre da ritrovare, che ci dobbiamo dare-donare a vicenda, una faccenda relazionale.
La sfida che, come Gruppo di Creatività Culturale, vorremmo fare nostra è quella di provare a leggere il tema della salute a partire da un essere umano meno disperso, più integro, dove il punto di raduno dei frammenti si faccia punto di ascolto.
Siamo nati con un manifesto programmatico a gennaio 2018 e vorremmo innanzitutto tracciare un perimetro, concordare un linguaggio comune. Per questo siamo partiti riflettendo su cinque parole-chiave: corpo, salute, malattia, cura, guarigione.
Vi proporremo, in prossimi post, qualche piccola intuizione nella speranza di raccoglierne altre da chi vorrà entrare in dialogo con noi, anche da questo blog, per configurare sempre meglio un annuncio di Nuova Umanità sana e salva.
Solo poche parole dedicate al logo che ci siamo dati, grazie alle abilità grafiche di Pier Luigi.
La salute sgorga dal prendersi cura (le mani) dell’essere umano e della creazione tutta intera (l’albero), con lo sguardo rivolto verso una luce che da Altrove dona la vita.