Così senza parola segue
il senza patria
con oscura fronte al vento
spogli alberi sulla collina.
Voi fiumi che tramontate lontano!
Violento si angoscia
terribile rosso di sera
nella nube in tempesta.
Voi popoli morenti!
Pallida onda
frangentesi sul lido della notte,
stelle cadenti.
Così terminano i versi di Georg Trakl intitolati Abendland (Occidente). Ciò che esattamente un secolo fa, nel novembre 1918, aveva termine in Europa fu subito chiaro a tutto il mondo come una delle maggiori catastrofi che l’umanità avesse mai visto.
Il Kaiser tedesco, chiamato “il signore della guerra”, fu costretto ad abdicare mentre Berlino era sull’orlo della rivoluzione comunista. Dopo 4 anni di guerra e circa 14 milioni di morti, tutti i popoli (vincitori e vinti) uscivano lacerati e disfatti dalla Prima Guerra Mondiale.
Ripensare oggi gli eventi capitali della nostra storia non può più essere un compito storiografico o divulgativo. La digestione del XX secolo è un compito che spetta al pensiero radicale, cioè a quel pensare che si fa carico per sua stessa natura delle sorti dell’umano sul pianeta terra.
Non è facile vivere in un tempo che segue a così tante catastrofi. Ecco perché urge un nuovo sguardo d’insieme, più vasto, più capace di respiro, e quindi più leggero, abbastanza sereno da discendere negli inferi senza farsi travolgere.
Se osserviamo la storia dell’uomo a partire dalla nascita della civiltà, ci rendiamo conto che quel sistema politico che con la Prima guerra mondiale è crollato irreversibilmente su se stesso, la Monarchia, è quasi sempre stato in realtà l’unico sistema di governo possibile della comunità umana. Re e imperatori, sul modello di Roma prima e di Carlo Magno poi, hanno dominato indiscutibilmente la quasi totalità della storia Politica dell’uomo.
La stessa separazione di potere temporale e potere spirituale è una conquista recentissima della modernità, così come lo è anche tutto ciò che politicamente oggi diamo più per scontato: il parlamento, la libertà individuale, il pluralismo, ecc.
In effetti, nonostante la critica all’autorità emersa in tutta l’età moderna (da Lutero a Cromwell), è solo a partire dalla Rivoluzione francese che il sistema monarchico viene per la prima volta veramente messo in crisi. Vale a dire: inizia a non reggere più, a mostrarsi sempre più dannoso, insoddisfacente e insensato agli occhi di quasi tutti i popoli europei. Tutto l’Ottocento fu pervaso da un’aspirazione rivoluzionaria verso una maggiore libertà ed emancipazione politica, e quindi verso un modo radicalmente nuovo di vivere e organizzare la convivenza umana.
A questo moto inesorabile dei tempi, i poteri monarchici dell’Europa post-napoleonica reagirono trincerandosi dietro il proprio Assolutismo, tanto più rigido quanto più fragile e impotente. Basti notare che da Napoleone in poi l’abito regale di tutti i sovrani (senza eccezione) è improvvisamente diventato l’uniforme militare, quasi a sottolineare l’atteggiamento impaurito e difensivo di fronte all’avanzare della modernità. L’Impero asburgico in modo particolare era il simbolo della conservazione di quell’antico assetto centralizzato ed imperiale dell’Europa, risalente addirittura a Carlo Magno, che più di tutti mostrava segni di cedimento terminale.
Questa tensione esplose con l’evento della Prima guerra mondiale, la cui radice è profonda a tal punto da aver trascinato con sé tutta la storia della civiltà per come la conosciamo.
Il cosiddetto “crollo degli Imperi”, di cui in questi giorni ricordiamo il centenario, è stato in verità l’esplosione di un’intera modalità storica di essere umani, che in politica (dall’Iliade di Omero in avanti) si è configurata mon-archicamente come monopolio, da parte di pochissimi, del potere e della guerra.
Ecco perché il periodo intorno alla Prima guerra mondiale corrisponde anche ai più repentini e imponenti mutamenti culturali che si siano mai visti: la crisi di tutti i linguaggi artistici per come li conoscevamo, la crisi della scienza e della filosofia, la crisi della soggettività umana messa in luce dalla psicoanalisi, e così via.
Tutto ciò è il sintomo della consumazione irreversibile di quella modalità storica dell’umano che nei nostri gruppi chiamiamo egoico-bellica. Quest’ultima, con la serie di catastrofi aperte dalla Grande guerra, si auto-distrugge da sola, cioè si auto-confuta nella propria palese disumanità (nel fango, fuoco e sangue delle trincee e di generazioni intere sterminate).
Sulle ceneri della storia politica del mondo, la democrazia emerge non solo come unica superstite forma politica del Novecento, ma in un certo senso – se posta in rapporto all’assetto politico più antico che esista, quello monarchico – appare persino come una novità dirompente, come qualcosa di inaudito e fino a pochi secoli fa impensabile.
In questo senso, la responsabilità e il compito titanico assunto dalla democrazia è niente meno quello di ribaltare l’intera storia politica del mondo in qualcosa che non si era mai visto prima: una politica basata sull’uguaglianza giuridica di tutti i cittadini, indipendentemente da religione o etnia, sulla libertà di pensiero e di parola alla base del diritto di voto a suffragio universale, e così via.
Ecco perché i ripetuti fallimenti del sistema democratico, che vediamo anche oggi nell’Unione europea, indicano sì una sua seria debolezza, ma soprattutto un’immaturità della democrazia, che nel suo progetto più radicale si può dire ancora neo-nata, giovanissima, e solo in minima parte compresa nel suo mistero ultimo.
Forse la sua perpetua crisi, il suo cedere continuo a sistemi politici che la distruggono e contraddicono dall’interno (dai Totalitarismi degli anni ’20 al mercato dei giorni nostri) è la conseguenza del mancato riconoscimento profondo dei propri presupposti.
Forse l’Occidente democratico si è semplicemente dimenticato delle domande fondatrici della propria missione: che vuol dire creare una società di uomini liberi, consapevoli e autonomi della propria dignità e sovranità? In che modo rendere le persone più solidali, realizzando in definitiva il progetto dell’umanità cristiana al livello politico e sociale? Che significa la stessa libertà dell’Io umano, che poi si traduce in principio di autodeterminazione dei popoli?
Io penso che oggi questo centenario dovrebbe ricordarci, allegramente e urgentemente, queste domande fondamentali, senza le quali il futuro stesso del pianeta (ormai globalizzato sotto il segno della civiltà occidentale) sarà sempre più seriamente messo in discussione.
I fatti del secolo scorso (e la cronaca quotidiana) ci ricordano che non abbiamo tanto tempo a nostra disposizione. Le catastrofi accadono spesso in modo repentino, proprio quando meno siamo pronti a difenderci.
È dunque tempo di risvegliarci! È tempo di riscoprire con entusiasmo l’infanzia politica di un mondo che sta ancora nascendo, di un’umanità nuova che apre il suo primissimo sguardo proprio nel cuore del disfacimento apocalittico e millenario di un’intera storia. Se questo è vero, la democrazia, come veicolo di fluidificazione di tutte le strutture rigide e suicidarie del vecchio mondo, è appena ai suoi inizi.
Occorre imparare a pensare la politica come incubatrice storico-planetaria di nuova umanità.
Quella che fino ad oggi abbiamo conosciuto come “democrazia” è in verità solo una fase transitoria, il primissimo stadio di una forma psico-politica e spirituale dell’umano che ha ancora tutta la vita davanti.
Siamo pronti a farci carico di questa sfida, attraverso una coniugazione inaudita tra libertà interiore dello spirito e libertà politica del cittadino? Saremo pionieri all’altezza dell’orizzonte umano e planetario che ci viene incontro?
Questa sfida è grande proprio perché ci chiede semplificazione, infinta umiltà e capacità di guardare molto in alto, stando al contempo coi piedi radicati nel cuore del nostro terreno.
Se ci lasceremo andare alla bellezza e nobiltà di questo compito, la nostra anima, e dunque la nostra politica, ne risentiranno immediatamente, e – in definitiva – ci sentiremo tutti più risanati, più potenti, più umani nell’edificazione di un nuovo cammino della storia.