Diciamoci la verità: oggi la nostra capacità di sopportare la sofferenza, le ingiustizie, le contraddizioni di Questo sistema psico-politico è arrivata a un punto limite. Non ce la facciamo più.
Il pianeta Terra non ce la fa più, a metabolizzare la tossicità di uno sviluppo industriale suicidario, a trasformare sostanze inquinanti in ossigeno, a sopportare la tracotanza produttivistica di una modernità testarda.
Il nostro cuore non ce la fa più, a ossequiare le leggi severe che ci impongono e ci autoimponiamo, a vivere ingabbiato in celle mortuarie, a coagulare il sangue che il filo spinato delle nostre più antiche prigionie ci produce nelle carni, che soffrono e chiedono spazio per respirare.
I nostri popoli non ce la fanno più, ad assistere ad una programmazione televisiva faziosa e deficiente, a farsi soggiogare da interessi minoritari, a non avere neanche una voce o una penna alleata che li difenda nel palcoscenico culturale e televisivo.
Nessuno ce la fa più. Ognuno di noi vorrebbe di più, più spazio, più libertà, più verità, una terra più ampia per potersi espandere nella gioia e nell’integrità, per poter vivere in una più semplice e intensa comunione con la natura e col mistero della vita.
Ognuno di noi aspira, anche senza capire bene cosa questo significhi, ad abitare un paese diverso, ad essere un io diverso, a cambiare le cose, ad abbandonare abitudini mentali e sociali negative.
Ognuno di noi sogna di arrivare in quel paese puro, in quel paese respirabile, come direbbe Simone Weil, dove ricominciare a far ampliare la cassa toracica dell’anima e innaffiare il cuore con aria finalmente fresca e pulita.
La nostra anima e la nostra terra invece sono desolate, depauperate, da una tecnica nichilistica e da una ristrettezza invasiva di pensiero. La terra è tradita e umiliata, e se dovessimo trovare un’immagine futura del prosieguo naturale di questa società, se dovessimo cioè pensare una metafora futura per questo mondo dovremmo immaginarci, come direbbe il terribile O’Brien di 1984 di George Orwell, “uno stivale che calpesta in eterno il volto dell’uomo”.
È il volto dell’uomo a essere minacciato oggi. È l’uomo l’ecosistema da difendere per salvare il nostro pianeta. È questo piccolo corpo fragile, questo ammasso difettoso di carne e di liquidi, questa strana specie a custodire il mistero stesso dell’esistenza del cosmo. Ed è per questo che il sistema tecnico-consumistico vuole, inconsciamente o consciamente, distruggere anche il più piccolo ricordo di ciò che l’uomo è, di ciò che l’umano ha pensato di sé in questi millenni, dell’autocoscienza spirituale a cui siamo giunti.
Questo perché anche la più fioca reminiscenza della potenza libera e creativa, che può esprimere il cuore dell’uomo, può minacciare la piramide mercantile-nichilistica come una dinamite nelle fondamenta. Per questo il sistema necessita di uomini e donne impotenti, ciechi, obbedienti e non-pensanti, ci vuole non-umani cioè, in quanto l’uomo di per sé vuole interrogare le cose, per capirle e per cambiarle.
Sarà l’era del post-umano? O di una rinascita sorprendente? Sarà l’era della diffidenza, della noia, della distrazione e della violenza? O di una nuova innocenza, di una nuova patria per accogliere i figli espatriati di quest’epoca?
Sarà l’epoca dell’ira del tutti contro tutti, dove la dignità umana sarà calpestata da uno stivale spietato? O una gioia alla fine sarà di nuovo quotidiana sulla terra, come preannuncia Hölderlin?
In questo bivio terribile e tremendo, che ci troviamo necessariamente ad affrontare come generazione, possiamo solo metterci umilmente in cammino verso le nostre domande più abissali. Seguire i linguaggi schizofrenici di questo mondo peggiorerebbe solo la ferita cosmica, e l’urlo più doloroso non sarebbe quietato. Dobbiamo avere coscienza che questo mondo non ci aiuterà, che i sistemi di potere non ci daranno ascolto, non ci consoleranno, non offriranno una casa per le nostre anime ferite e confuse. Ci inganneranno, ci mentiranno e ci sfrutteranno. Non è necessario essere complottisti per vedere con quanta disinvoltura la cultura dominante offre menzogne su menzogne, a prezzo di saldo, come scorre fluido il liquido mefitico da uno sgorgo fognario.
L’unica speranza è ricominciare. Possiamo solo ricominciare da piccoli gruppi di recalcitranti, da piccole realtà di accoglienza e di supporto reciproco, dove tentare relazioni diverse, dove osare una parola che lenisce il dolore invece di acuirlo, dove abbracciare il pianto che muto ci scoppia nel petto, quell’urlo sordo che dice: non ce la faccio più!, invece di relegarlo nel silenzio e nel senso di colpa, dove necessariamente crescerà rabbia e rancore.
Possiamo solo ricominciare. Ricominciare tutta la nostra vita, con il coraggio di chi vuole mettersi in discussione, e la fiducia di chi sa che qualcosa di buono è ancora possibile. I gruppi Darsi Pace servono a questo, a offrire al viandante solitario del XXI secolo una carovana di suoi simili, un convoglio di ricercatori. Che si aggregano su un metodo affidabile ed efficace, su una via iniziatica moderna, contemporanea, ma saldamente fondata sulle migliori tradizioni spirituali del passato. Perché oggi più che mai ciò che è antico e dimenticato può essere ritrovato dalle menti contemporanee, come un oro sepolto, non con una posizione iniziale di difesa, ma di rivolta, ritrovarlo cioè nel suo carattere più autentico.