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IL VIAGGIO DELL’EROE Riscoprire se stessi

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Esiste come un’illusione feroce nel nostro cuore: il pensiero che una volta che avremo trovato la soluzione a tutti i nostri problemi allora saremo felici.

È come una sorta di tensione implacabile, di fame insaziabile, che non può essere esaurita, poiché il problema della Vita, in un certo senso, non ha una soluzione predefinita.

Cerchiamo perciò magari il sistema filosofico che possa rispondere di tutta la complessità del mondo, oppure finalmente la spiegazione psicologica in grado di risolvere la nevrosi, o la formula fisica in grado di sciogliere l’enigma dell’universo.

In fondo in fondo vorremmo proprio una formula in grado di risolvere il problema della nostra esistenza. Ma non siamo mossi da meraviglia, o dall’amore della ricerca, quanto piuttosto dalla paura di quello scarto incolmabile fra il nostro sguardo e l’orizzonte.

Vorremmo annullare questa continua novità che ci mette alla prova, poiché implica mancanza di controllo, vulnerabilità, imprevedibilità, sospensione.

Sappiamo infatti che la peculiarità dell’umano consiste proprio nella facoltà razionale, la cui forza risiede nella capacità di controllo, di previsione, di sicurezza e quindi di operatività pratica.

La ragione, come comprese Aristotele e prima di lui Platone, si fonda sul principio di causa ed effetto. La scienza, la “sophia”, è quella capacità dell’umano di rintracciare le cause dei fenomeni.

“E tuttavia, noi riteniamo che il sapere e l’intendere siano propri più all’arte (techné) che all’esperienza, e giudichiamo coloro che posseggono l’arte più sapienti di coloro che posseggono la sola esperienza in quanto siamo convinti che la sapienza, in ciascuno degli uomini, corrisponda al loro grado di conoscenza. E, questo, perché i primi sanno la causa, mentre gli altri non la sanno. Gli empirici sanno il puro dato di fatto, ma non il perché di esso; invece gli altri conoscono il perché e la causa.” (Aristotele, Metafisica, p.5.)

Fra un architetto e un operaio che sta costruendo la casa, il primo è più sapiente perché conosce la causa, ovvero i “motivi” grazie ai quali la casa può essere eretta. Il secondo si limita ad eseguire quelle cause.

Questo per dire che l’esigenza di carpire delle regole attraverso le quali stabilire il funzionamento della realtà è profondamente radicata ed essenziale nell’animo umano, e probabilmente costituisce una delle sue più grandi e miracolose virtù.

Ciò nonostante, quando questa facoltà pretende di essere onnipotente, e di potere determinare in modo assoluto un sistema razionale all’interno del quale fare rientrare ogni singolo fenomeno, ecco che abbiamo un problema.

Questa illusione è una delle principali cause dell’attuale stato di crisi della civiltà umana.

Da un lato una superba pretesa di onnipotenza, e dall’altro una incapacità ormai patologica di essere in contatto con gli elementi fondamentali della vita. Una umanità Sempre meno umana, sempre più scissa dalle emozioni e dal corpo, sempre meno empatica e relazionale, sempre meno creativa; al contempo sempre più 4.0, industriale, tecnologica e disperata.

Ecco che allora è importante comprendere che la ragione è uno strumento meraviglioso ma, come ci ricorda Kant, è semplicemente un’isola nell’oceano sconfinato. Non possiamo controllare la realtà a nostro piacimento, non possiamo determinare a priori le regole della nostra esistenza, e quindi conoscere come attraverso una formula che cosa ci renderà felici o cosa guarirà la nostra anima.

Esiste ed esisterà sempre uno scarto, che è la stessa possibilità della libertà. Quel millimetro di differenza che Michelangelo dipinge fra l’indice dell’uomo e quello di Dio è la scaturigine del nostro mantenerci in cammino. Il senso della nostra vita, le conquiste sulla via della nostra guarigione psichica e fisica non ce le possono dare altri, ma dobbiamo scovarle da noi stessi attraversando il periglioso mare della nostra stessa biografia.

Certo i maestri sono importanti, e spesso indispensabili, perché non esistiamo mai senza una tradizione. Ma la tradizione non esiste senza una nostra traduzione, senza la nostra riformulazione attiva e creativa che la procrea nuovamente.

Il viaggio dell’eroe avviene sempre in prima persona, è sempre nuovo, e in esso siamo chiamati a scoprire noi stessi da capo, per la prima volta.

Questo forse è anche il segreto di un tempo storico che ha giustamente criticato la tradizione e l’autorità, già dalla modernità, come imposizione rigida e definitiva di un dogma assoluto in base al quale conformare la propria vita; per consentire ad ogni individuo, in libertà, di scegliere e plasmare autonomamente e autenticamente la propria storia e quindi il proprio senso vitale.

Oggi però forse siamo chiamati a coniugare questo processo di individuazione, grazie al quale appunto ciascuno di noi può essere un “io” in pienezza, con la fonte di questa donazione, che non siamo noi stessi.

Noi non ci procreiamo, non creiamo la realtà nella quale abitiamo e le relazioni che incontriamo in modo meccanico, ma sempre in comunione con il mistero dell’Avvento continuo della vita.

Potremmo dire che il senso del nostro tempo consiste anche in una riconciliazione fra umano e divino, fra celeste e terreno, fra razionale e mistico, fra scientifico e poetico, fra economico e artistico e così via.

Leggiamo queste parole del Vangelo, che credo ci parlino scuotendoci proprio relativamente a questa esigenza di imbarcarci seguendo i dettami dell’intuito e delle stelle polari che sempre ci accompagnano:

“Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?” (Luca 9, 23-26)

Ritrovare noi stessi, ciò che noi siamo, e scoprirci in comunione con la fonte della vita che ci salva esattamente nel momento in cui smettiamo di pretendere di controllare il gioco. Quando rinunciamo a volere risolvere il problema della vita in tutta la sua complessità, perché non abbiamo fede e siamo terrorizzati dall’idea concreta dell’annullamento in tutte le sue sfaccettature, ecco che allora, forse, la trama palpabile del giorno e della notte possono parlarci, e rivelarci i loro doni ricolmi di bellezza e di speranza.

Concludo con un mio testo poetico che mi ha fatto capire e mi ha dato la possibilità di andare nella direzione di questo superamento.

Il Luogo

È nella profondità

dell’oscuro

che avviene

autenticamente

l’inizio.

Sono Io

la risposta

all’Appello.

La riscossa

alla morte.

Traggo linfa

dal nulla

del mondo

per reinventare

tutto.

Resto in ascolto

della tua parola.

“Poche parole

bastano

per capire

l’essenziale.

 

È tutto

qui.”

 

 Le ultime due righe condensano il significato della poesia: non dobbiamo andare da nessuna parte, ma solo riscoprire che tutto ciò di cui abbiamo bisogno è già qui, e proprio ora risplende per noi



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