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Santantonio

Faceva freddo l'altra Sera. Con quella nebbia che qui la chiaman scighera, che s'infila, s'intrufola e ti bagna fin che non te ne accorgi. Ma era anche la sera del fuoco, del falò di Sant'Antonio. Che ad aver pazienza, bastava girare da un paese all'altro, per vederli accendere tutti. Da una parte alle otto, da un'altra alle nove, da un'altra ancora alle sette, così ci vengono anche i bambini. Quelli degli oratori, quelli dei comuni, quelli dei cortili. Piccoli o grandi, purché fuochi siano. Il "nostro" lo hanno acceso alle cinque, ché un anno di legna di cantiere ce ne mette a bruciarsi. E han chiamato gli amici e i parenti e alla fine è diventata una festa, col pane sulla brace, l'olio, il salame. E il vino che ce n'era ancora anche quando si pensava fosse ormai finito. 

Tutti insieme a scaldarsi la faccia e le mani, e un po' anche la schiena, mentre diventa sera. E i più piccoli col naso all'insù e i più grandi a far gli spavaldi. E poi Chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere, col profumo della carne Sulla Griglia, da mangiar con le mani, soffiando sulle dita scottate.
E finire con quel panettone, grosso e tondo come una luna, rigirato sulla griglia perché prendesse calore dentro.

Perché qui a Sant'Antonio si fa così, con i resti del Natale passato, il vin brulè, e l'odore di fumo e di legna che ritrovi ancora al mattino nascosto nella lana del paltò. 

 

 



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