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Wojtyla e le dittature meno pericolose

Chi conosce un po' di storia europea del Novecento, sa sicuramente che Karol Wojtyla è stato il pontefice che con più ostinazione ha combattuto il comunismo, guerra giustificata anche dal fatto di essere nato, nel 1920, in una Polonia sotto il giogo di una feroce dittatura comunista, dittatura che pur a fasi più o meno intense si protrarrà fino a metà degli anni '80 del secolo scorso e che conoscerà il suo epilogo a partire dall'arrivo di Lech Wałęsa e il sindacato Solidarność fino alla caduta del muro di Berlino nel 1989.

L'atteggiamento ostile e intransigente di Wojtyla nei confronti del comunismo dell'est si è però Sempre accompagnato a un atteggiamento molto più indulgente e tollerante verso le dittature fasciste dell'ovest, specie quelle dell'America latina. Chi non è più giovanissimo ricorderà ad esempio l'amichevole incontro pubblico, in Cile, nel 1987, col dittatore cileno Augusto Pinochet, responsabile dell'instaurazione di una delle più feroci dittature del Sudamerica.

Ho sempre pensato che l'indulgenza e il sostegno di Wojtyla verso queste dittature avessero un proprio senso lette in chiave di opposizione al comunismo, niente di più. E invece c'è di più.

In questi giorni sto leggendo Michail Gorbačëv, dello storico Adriano Roccucci, un saggio che racconta la storia della caduta dell'URSS e del regime comunista sovietico col contributo determinante del padre della perestrojka e della glasnost. Un capitolo è dedicato naturalmente ai rapporti tra l'ex presidente russo e il pontefice, rapporti molto cordiali dopo decenni di gelo assoluto tra Vaticano e URSS, e in questo passaggio l'autore spiega perché Wojtyla abbia sempre avuto molta più tolleranza verso i regimi dell'ovest rispetto a quelli dell'est.


Giovanni Paolo II, in pratica, non faceva di ogni erba un fascio ma distingueva tra dittature personali e istituzionali, distinzione che lo portava a pensare che le prime fossero migliori delle seconde, da qui il suo sostegno a queste ultime. Poi, a dire il vero, che fossero più convertibili mi sembra un assunto abbastanza al di fuori della realtà; non mi risulta, infatti, che i diciassette anni di feroce dittatura militare di Pinochet siano terminati per intervento del papa. Tutt'altro. A mio modestissimo parere si tratta della classica questione di lana caprina, che sa tanto di pretesto per giustificare la sua "simpatia" verso queste ultime. Ma, ripeto, è un mio pensiero, nulla di più.

Al di fuori dei fatti storici, mi sono sempre chiesto perché, Wojtyla a parte, la Chiesa in generale si sia sempre scagliata contro il comunismo e non abbia mai proferito parola ad esempio contro l'edonismo americano. Dal punto di vista della filosofia, infatti, qual è delle due situazioni quella più assimilabile ai valori di solidarietà e umanità di cui è portatrice la Chiesa? Forse il comunismo, ma magari è una mia impressione.


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