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Somalia in fiamme: l’ex-colonia italiana torna nel mirino angloamericano

Infuria la violenza a Mogadiscio, dove una serie di attentati ha mietuto 400 vittime nell’arco di due settimane: gli attacchi, rivendicati dalle milizie islamiche al-Shabaab, sono il pretesto per il ritorno di truppe angloamericane nella ex-colonia italiana, dopo una sostanziale assenza che risale al 1994. Il rinato interesse di Washington e Londra è dettato dalle crescente presenza cinese nel Corno d’Africa e dalla prospettiva di importanti scoperte petrolifere. L’Italia, estromessa dalla Somalia nei primi anni ‘90 con gli stessi metodi poi usati per colpire i nostri interessi in Libia ed Egitto, osserva indifferente l’attivismo dei vecchi rivali. Se con la Prima Repubblica ci proiettavamo ancora nel Corno d’Africa, oggi lottiamo per la nostra stessa sopravvivenza.

La lunga decadenza dell’Italia iniziò in Somalia

Come sottolineiamo sovente nelle nostra analisi, il lungo processo di decadenza italiana, iniziato nel biennio 1992-1993, sta entrando nell’ultima fase: destrutturata la politica, ingabbiata l’economia nell’euro, somministrata una dose letale di austerità, saccheggiate le imprese pubbliche e private, il nostro Paese è pronto per l’assalto finale, che si consumerànel biennio 2018-2019 col mutamento delle condizioni finanziarie internazionali. l’Italia sarà sottoposta a stress enormi, tali da mettere in forse l’unità stessa del Paese.

L’attuale crisi del sistema-Italia è la fase culminante di un processo iniziato lontano nel tempo e nello spazio: anziché usare come unità di misura gli anni, possiamo infatti valutare la nostra decadenza in termini geografici, analizzando la nostra proiezione all’estero. L’Italia è estromessa dalla Somalia nel 1991-1992, quasi contemporaneamente subisce lo smembramento della Jugoslavia contrario ai suoi interessi, nel 1999 è costretta ad ingoiare il bombardamento della Serbia ed il ridimensionamento, nel 2011 è la volta della Libia. Dopo aver aver assistito inerme alla dissoluzione della sua area di influenza, oggi l’Italia è completamente ripiegata su se stessa: la posta in gioco, nel 2017, non è la difesa di  “un posto al sole”, ma la sopravvivenza del Paese.

In queste settimane la Somalia è spesso sulle prime pagine dei giornali, a cuasa dei sanguinosi attentati “islamici” che flagellano il Paese. L’analisi su quanto sta avvenendo oggi nell’ex-colonia italiana può e deve essere anche un’utile occasione per tornare all’origine della decadenza italiana: quei primi anni Novanta, quando l’establishment atlantico, seppellita l’URSS, decide di liquidare le ambizioni dell’Italia ed il suo status di media potenza. A Washington e Londra, come a Parigi e Berlino, fa molto più comodo che a tavola sieda un commensale di meno: l’insofferenza per l’attivismo italiano si deve, in realtà, retrodatare ai primi anni ‘60, ma sia la relativa solidità della Prima Repubblica che il sistema bipolare avevano impedito aggressioni troppo violente. Il crollo del Muro di Berlino è il nulla osta per procedere con l’assalto all’Italia: la Somalia di Siad Barre è la prima a cadere. La Libia di Muammur Gheddafi sarà l’ultima.

Nonostante il nostro Paese figuri tra le potenze usciste sconfitte dall’ultima guerra, nel novembre 1949 l’assemblea generale delle Nazioni Unite assegna all’Italia i suoi ex domini coloniali in Somalia: si tratta di un’amministrazione fiduciaria, dalla durata di dieci anni (1950-1960), in vista dell’indipendenza. Sulla decisione del Palazzo di Vetro pesa, senza dubbio, l’estrema povertà dell’ex-colonia italiana. Banane, pesce e vacche sono le principali risorse del Paese e non c’è ancora alcuna traccia di petrolio.

Il primo luglio 1960 nasce la Repubblica di Somalia, composta dalla Somalia italiana (a sud) e da quella inglese (il Somaliland, a nord-est). Con un colpo di Stato, il 21 ottobre 1969, il generale Mohammed Siad Barre, formato negli anni ‘50 alla Scuola allievi sottufficiali Carabinieri di Firenze, prende il potere, seguendo così il colonnello Muammur Gheddafi che due mesi prima ha deposto il filobritannico re Idris: sono sviluppi legati al recente insediamento (agosto 1969) di Aldo Moro alla Farnesina? Probabilmente sì, considerato che il 12 dicembre 1969, la strage di Piazza Fontana inaugura la pluridecennale strategia della tensione che mira a destabilizzare il nostro Paese. L’Italia rafforza le sue posizioni sostenendo l’avvento al potere di nuovi leader “terzomondisti”, mentre le altre potenze europee smaltiscono ancora i postumi della decolonizzazione: bombe, omicidi e rapimenti, che siano “fascisti” o “marxisti”, ricordano a Roma la sua subalternità rispetto a Washington, Londra e Parigi.

Se l’Etiopia è “il feudo” informale della Democrazia Cristiana, la Somalia “socialista” di Siad Barre è la protetta del PSI: le fortune di Bettino Craxi corrispondono con un rilancio delle relazioni italo-somale. Nel settembre 1985, si svolge la storica visita di Craxi a Mogadiscio, accolto con “inni, fanfare, archi trionfali di ghirlande agitate da bambini1: l’Italia, secondo donatore internazionale della Somalia dopo gli Stati Uniti, conferma il “suo rapporto prioritario” con la Somalia e si impegna a risolvere la crisi tra  Mogadiscio ed Addis Abeba, ruotante attorno alla regione contesa dell’Ogaden, che si trascina dal lontano 1977. Nel 1988, infatti, Somalia ed Etiopia riallacciano i rapporti con la benedizione italiana2L’Italia si rafforza così ulteriormente in Paese strategico per il controllo del Mar Rosso; oltretutto, siamo ora nella seconda metà degli anni ‘80, si inizia a subodorare la presenza di petrolio nella nostra ex-colonia, le cui modeste risorse sono da sempre circoscritte a un po’ di frutta e bestiame.

L’intraprendenza italiana in Somalia non passa inosservata. A distanza di un anno, è avviato infatti quel processo di destabilizzazione che culminerà nel gennaio 1991 con la caduta di Siad Barre, lo scoppio dell’infinita guerra civile e l’estromissione dell’Italia dalla Somalia. È interessante notare come Washington e Londra si avvalgano per rovesciare Barre degli stessi metodi che, a distanza di 20 anni, saranno utilizzati per eliminare Gheddafi e minare i rapporti italo-egiziani: sostegno all’insurrezione armata, appoggio agli islamisti, campagne denigratorie di Amnesty International, attentati terroristici, omicidi eclatanti, utilizzo delle quinte colonne dentro il Parlamento italiano e della stampa “di sinistra”.

Apre le danze agli inizi del 1986 Amnesty International, l’organizzazione umanitaria basata a Londra che nel 2016 giocherà un ruolo chiave nel montare il caso Regeni: mentre Siad Barre è in visita in Italia, per incontri ai massimi livelli col premier Bettino Craxi ed il ministro degli Esteri Giulio Andreotti, Amnesty accusa “il regime somalo” di sistematica violazione dei diritti umani e di detenzione illegale degli oppositori politici. A dare eco alle accuse della ong inglese intervengono i Radicali, nella persona di Marco Pannella e Francesco Rutelli, il Manifesto la Repubblica di Eugenio Scalfari3: lo stesso milieu che vedremo in azione 30 anni dopo, contro il presidente egiziano Abd Al-Sisi.

Le ong, sebbene fondamentali per screditare i Paesi ostili, non sono però sufficienti per rovesciare i loro governi. Nel maggio del 1988, il Somaliland inglese insorge contro il governo centrale di Mogadiscio: i ribelli del Somali National Movement prendono il controllo della parte nord del Paese, costringendo Siad Barre a ricorrere all’aviazione per reprimere i secessionisti. Gli insorti del Somaliland britannico trovano un immediato appoggio anche nell’Italia filo-Barre, grazie ai Radicali di Marco Pannella e alla Democrazia Proletaria di Mario Capanna (trotzkismo pro-NATO)4. Amnesty International torna all’attacco: i ribelli sono massacrati, gli oppositori sono sistematicamente torturati ed il famigerato Servizio di Sicurezza Nazionale è artefice di rapimenti e omicidi politici5.

Inoculato il germe dell’insurrezione armata, è ora di legittimare i ribelli che combattono per rovesciare il “dittatore Siad Barre”: nell’ottobre 1988 si riunisce a Washington una “storica” assemblea degli oppositori somali, per chiedere “la fine del corrotto, brutale e oppressivo regime di Barre”.6 In Italia, Craxi ed Andreotti hanno ormai capito l’antifona: gli angloamericani vogliono sbarazzarsi del governo filo-italiano e spetta a loro difenderlo fino in fondo.

Di fronte alle chiare manovre angloamericane per defenestrarlo, Barre lancia un’offensiva diplomatica in Libia, Iraq, Egitto e Kuwait. Una nutrita delegazione somala arriva anche in Italia nel gennaio 1989: c’è il timore che Roma, su pressione di Washington e Londra, neghi a Mogadiscio gli aiuti finanziari generosamente elargiti dal nostro Paese (1.150 i miliardi di lire stanziati tra il 1981 ed il 1987). Le accuse di Amnesty? Tutte fandonie, ribadiscono i rappresentanti somali7.

La delegazione di Barre sortisce i suoi effetti ed il presidente della Repubblica, “l’anglofilo Francesco Cossiga8”, è costretto ad aggiungere (su pressione del PSI) una tappa al viaggio in Africa orientale allora in corso: il capo dello Stato atterra anche a Mogadiscio, nonostante la visita fosse stata inizialmente esclusa (si noti che la Somalia è il Paese africano più legato all’Italia9!). Dopo che Stati Uniti e Regno Uniti hanno bloccato gli aiuti ed avviato il cambio di regime, Barre non può che ringraziare Cossiga per l’incontro: i rapporti italo-somali sono più solidi che mai, assicura il presidente somalo. Scrive la Repubblica10:

“A Siad Barre non è rimasto altro che ringraziare, appellarsi agli storici legami e ancora ringraziare. Appena poche settimane fa, infatti, la credibilità del regime di Mogadiscio appariva compromessa. Alle accuse di malversazione lanciate da un ex ministro sulla destinazione finale degli aiuti, si era aggiunta una ben più grave campagna lanciata da Amnesty international e da altre organizzazioni umanitarie.”

L’Italia (DC e PSI) non demorde dunque e anche in Vaticano vedono di cattivo occhio la destabilizzazione di un regime che protegge la piccola comunità cristiana: il 9 luglio 1989 il vescovo di Mogadiscio, Monsignor Salvatore Pietro Colombo, è ucciso con un colpo al cuore dietro la cattedrale. “Un delitto perfetto, senza colpevole né movente, su cui nessuno ha mai indagato11”. A distanza di pochi giorni dalla misteriosa morte di Colombo, l’insurrezione armata raggiunge Mogadiscio: non si tratta dei ribelli del Somaliland britannico, ma di un’altra buona conoscenza di Londra e Washington, l’estremismo islamico. Integralisti sunniti e forze governative si fronteggiano per una settimana nella capitale, lasciando sul campo non meno di 400 vittime. La cifra è fornita dall’americana Africa Watch Human Rights, che segue da vicino gli scontri: i soldati di Barre, secondo l’ong, giustizierebbero sommariamente gli oppositori sulla spiaggia alle porte di Mogadiscio12. Nel mese di ottobre la stampa riporta la notizia di alcune defezioni nell’esercito, compensati dall’arrivo di rinforzi libici: il colonnello Gheddafi, già ai ferri corti con Reagan, invia 700 soldati in Somalia, essenzialmente piloti, tecnici ed artiglieri13.

L’anziano Siad Barre vacilla dunque, ma finché gode dell’appoggio italiano (e, di conseguenza, libico) è difficile assestargli il colpo di grazia: come scavare un incolmabile fossato tra Roma e Mogadiscio, così da convincere gli italiani a mollare il vecchio sottufficiale dei Carabinieri? Si potrebbe gettare un cadavere tra i due Paesi, ad esempio: è lo stesso tipo di operazione sporca che sarà utilizzata dagli angloamericana nel 2016, per incrinare i rapporti italo-egiziani, uccidendo il giovane Giulio Regeni.

Nella notte tra il 17 ed il 18 giugno 1990, il biologo Giuseppe Salvo, ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità, è misteriosamente ucciso a Mogadiscio in una cella di sicurezza: le autorità somale, intuendo che l’assassinio è finalizzato a esacerbare gli animi in Italia, provano a minimizzare, parlando di suicidio. Poi sono costrette a ritrattare: il biologo è stato ucciso a bastonate, sebbene non siano chiari né gli autori né il movente14. Con la brutale morte di Salvo, si fornisce un prezioso assist a quelle forze politiche (PCI, Radicali ed al alcuni settori della DC) che premono perché l’Italia abbandoni Siad Barre, secondo la volontà angloamericana.

Scrive la Repubblica15:

“L’ assassinio di Giuseppe Salvo deve essere stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ieri i rappresentanti di Dc, Pci, Psi e Sinistra indipendente hanno chiesto al Governo italiano di operare con lo scopo di creare le condizioni favorevoli ad una sostituzione di Siad Barre, attraverso un passaggio indolore, ripensando anche a questo fine la politica di Cooperazione svolta dall’ Italia verso la Somalia.”

Tolto il puntello italiano, calcolano a Londra e Washington, il governo somalo cadrà. Per essere sicuri che Barre non abbia scampo, bisogna però che anche la Repubblica Federale tedesca segua l’esempio angloamericano, sospendendo gli aiuti economici: si procede così con un’operazione analoga all’omicidio di Giuseppe Salvo, mirando però ad un cittadino tdesco. Il 28 giugno 1990, un tecnico della Lufthansa è ucciso da una “squadraccia somala” nella propria abitazione16: Bonn recepisce il messaggio e, entro un paio di mesi, sospenderà la cooperazione economica con Mogadiscio.

La rete internazionale attorno a Siad Barre è sempre più sfilacciata: basta poco per isolarlo totalmente e procedere così con la sua defenestrazione.

Il 6 luglio 1990, i disordini scoppiati ad una partita di calcio cui presenzia anche Siad Barre terminano nel sangue: il filo-britannico Somali National Movement parla di 80 morti, accusa di strage i pretoriani di Barre, denuncia per l’ennesima volta “le barbarie del regime”17. L’episodio consente all’ala atlantica del PCI, Giorgio Napolitano e Giancarlo Pajetta, di attaccare il governo italiano, l’unico, ormai, a non avere preso ancora le distanze da Barre: l’ambasciatore a Mogadiscio, secondo il futuro capo di Stato, andrebbe richiamato e gli aiuti immediatamente sospesi. La Repubblica di Scalfari copre l’assalto e getta fango sulla cooperazione italo-somalo, accanendosi in particolare sulla nostre università operanti a Mogadiscio18 perché Roma sospenda l’invio di docenti.

La pressione sul governo italiano sta diventando insostenibile. Il 10 luglio 1990 arriva la svolta: la Farnesina annuncia il rimpatrio dei 56 militari, piloti e tecnici aerei, impegnati nella formazione dell’aeronautica somala19. L’Italia, che è anche il maggior fornitore di armi della Somalia, invia quel “segnale” tanto atteso dagli angloamericani. Non resta che assestare qualche ultimo colpo alla traballante impalcatura somala, gettando nel caos la capitale: una serie di attentati dinamitardi sconvolge Mogadiscio, colpendo le poste centrali20, la sede di Radio Somalia, la caserma centrale della polizia ed altri obiettivi governativi. Muoiono decine di persone, senza che nessuno rivendichi le bombe21.

L’Italia, costretta ad abbandonare a Siad Barre, non per questo getta la spugna: coordinandosi con il Cairo, il nostro governo tenta di organizzare una transizione ordinata del potere, coinvolgendo sia il regime, ormai agli sgoccioli, che le opposizioni. Se l’operazione andasse a buon fine, l’influenza italiana in Somalia sarebbe salva: di conseguenza, il filo-britannico Somali National Movement e gli altri movimenti di opposizione basati a Londra boicottano l’iniziativa22. Nel dicembre 1990, gli sforzi italo-egiziani per ricomporre le diverse fazioni ed evitare la “libanizzazione” del Paese (termine che sarà poi sostituito con “somalizzazione”) falliscono23. L’ambasciata USA si prepara ad evacuare il personale ed i ribelli premono sulla capitale. Il processo di dissoluzione della Somalia, sostenuto in ogni modo dagli angloamericani24, entra nella fase finale.

Nel gennaio 1991 l’ambasciata italiana, l’ultima ancora operativa, chiude. Le offerte di Siad Barre di instaurare una tregua si scontrano con la ferma determinazione del Congresso della Somalia Unita, basato a Londra, di procedere con la conquista manu militari della capitale25.Negli ultimi giorni di gennaio Barre lascia Mogadisco (morirà nel 1995 a Lagos, Nigeria) e gli insorti proclamano la vittoria: per l’Italia, che ha investito ingenti somme in Somalia, ha finanziato grandi opere ed industrie, ha speso molto capitale politico, è una debacle.

Tuttavia, DC e PSI non si arrendono. Roma ed il Cairo avviano nuovamente i negoziati per riunire attorno ad un tavolo le diverse fazioni. Neppure l’ennesima uccisione di un nostro connazionale, il missionario Pietro Turati26, ferma la diplomazia italiana: tra le proteste dei soliti movimenti d’opposizione basati a Londra, l’ambasciatore Mario Sica torna in Somalia, dopo appena 50 giorni di assenza27. Le faide tra le diverse etnie corrodono velocemente lo Stato somalo e bisogna trovare in fretta una soluzione politica, prima che la caduta di Barre degeneri nella guerra civile: Italia ed Egitto si prodigano ancora perché tutti i clan partecipino ad una conferenza di pace. Sforzi inutili. Nell’estate del 1991 le lotte tra fazioni prendono vigore e nel mese di settembre è ormai guerra aperta tra il presidente provvisorio ed il capo del parlamento, il generale Mohamed Aidid28, che sta emergendo come il nuovo padrone della Somalia.

Il divampare della guerra civile tra il 1991 ed il 1992 apre le porte all’intervento dell’ONU(missioni UNOSOM I e II).

Gli Stati Uniti boicottano ancora i tentativi italiani di conservare un’influenza preponderante in Italia e, il 24 gennaio 1993, esce sul Washington Post il sintomatico articolo “The Italian Connection: how Rome helped ruin Somalia29 firmato da Wolfgang Achtner: le cause profonde dell’agonia somala sono la corruzione endemica che affligge l’Italia, trasmessa anche all’ex-colonia (si ricordi che, nel frattempo, il pool di Mani Pulite teleguidato dal Consolato americano sta decapitando la Prima Repubblica) . All’interno dell’articolo si legge:

“-Italy is definitely responsible for the tribal warfare and the genocide in Somalia-, says Francesco Rutelli, a congressman for the environmentalist Green Party, which has played a leading role in exposing what has become a scandal in Italy. (…). The reality of Italy’s cynical role in Somalia is clear from documents made available to Parliament by the Italian Foreign Ministry. They show that Italy sponsored 114 projects in Somalia between 1981 and 1990, spending more than a billion dollars. With few exceptions (such as a vaccination program carried out by non-government organizations), the Italian ventures were absurd and wasteful. Approximately $250 million was spent on the Garoe-Bosaso road that stretches 450 kilometers across barren desert, crossed only by nomads on foot.”

Secondo il blasonato giornale liberal, la rapida dissoluzione della Somalia, dilaniata da guerra civile e carestia, va ricondotta ai progetti infrastrutturali ed industriali finanziati dalla “corrotta” Italia!

La citazione, in particolare, della strada che unisce l’interno della Somalia a Bosaso, affacciata sul golfo di Aden, non sfugge al socialista Francesco Forte, ex-responsabile di quel Fondo Aiuti Italiani che finanziava le grandi opere somale: “Viene attaccata la strada Garoe-Bosaso perchè è una strada costruita in Migiurtinia, la regione su cui punta la multinazionale del petrolio Conoco. Circa un anno fa è stato scoperto del petrolio, guarda caso nella zona dove è stata costruita la famosa strada30”.

In Somalia, ormai è assodato, c’è il petrolio e le compagnie angloamericane vogliono una Somalia a pezzi ed un’Italia ridotta all’impotenza, per stipulare lucrosi affari con i ras locali.

Nell’ottobre 1993 il famoso abbattimento del Black Hawk a Mogadiscio, seguito dall’uccisione di 18 militari americani, giustifica il disimpegno americano: il Paese è abbandonato alla guerra civile, il Somaliland britannico, ricco di idrocarburi, ottiene la secessione de facto da Mogadiscio, idem il Puntland. La Somalia si trasforma in una comoda base per esportare il terrorismo islamico in tutto il Corno d’Africa e la penisola arabica. L’Italia, seppellita la Prima Repubblica, perde persino memoria di quella sua strategica ex-colonia, lasciando che la Turchia erediti progressivamente il suo ruolo.

L’organizzazione terroristica Al-Shabaab, partorita come Al-Qaida e l’ISIS dall’establishment atlantico, nasce nel 2006. Anno dopo anno, si allarga alla Somalia centrale e meridionale: l’attività di “contenimento” dell’amministrazione Obama, condotta ricorrendo ai soliti bombardamenti mirati, rafforza anziché indebolire (c’è da stupirsi?) le milizie islamiste. Dopo anni di attentati e stragi saltuarie, a partire dalla primavera del 2016 l’attività di Al-Shabaab riesplode31, culminando con le stragi a Mogadiscio del 15 ottobre 2017 (300 morti) e del 28 ottobre (almeno 25 morti). Come nel 1990, sono oggetto degli attentati i palazzi del potere: ministero degli Esteri, ambasciate, alberghi internazionali, il Parlamento.

Perché destabilizzare ulteriormente la già travagliata Somalia, se dal 2012 è installato a Mogadiscio un governo filo-americano, presieduto da Mohamed Farmajo, già ambasciatore presso gli Stati Uniti? L’escalation di violenza degli ultimi due anni, accompagna e “lubrifica” il crescente coinvolgimento angloamericano in Somalia, sull’onda del rinato interesse per l’ex-colonia italiana. “In Somalia, U.S. Escalates a Shadow War32” scrive il New York Times nell’ottobre del 2016, asserendo che l’amministrazione Obama ha “segretamente” portato il numero di truppe speciali presenti in Somalia (diverse centinaia) ai livelli più alti dal 1993. Il presidente Donald Trump, appena insediato, non solo conferma la linea del predecessore, ma addirittura la ufficializza, inviando per la prima volta dall’abbattimento del Black Hawk soldati regolari33. The Guardian titola senza fronzoli il 15 ottobre, subito dopo il sanguinoso attentato: “Mogadishu atrocity may provoke deeper US involvement in Somalia34”. Le bombe di Al-Shabaab riportano l’attenzione di Washington e Londra sulla Somalia e giustificano un maggiore coinvolgimento angloamericano nel Corno d’Africa e nell’intero Continente Nero.

Perché quest’improvviso ritorno di fiamma per l’ex-colonia italiana, dopo anni di sostanziale disinteressamento? Da un lato, c’è ormai la certezza che i fondali somali sono ricchi di idrocarburi e la loro estrazione è economicamente remunerativa35. Dall’altro c’è l’esigenza statunitense di contenere l’attivismo di Pechino (si veda la recente ferrovia Addis Abeba-Gibuti) in una zona strategica per il controllo dei mari. L’AFRICOM è stato costituito nel 2008 con il preciso scopo di contenere la Cina nel continente africano ed il dispiegamento di truppe statunitensi in Somalia rientra proprio in questa strategia.

E l’Italia? Ahinoi, è ormai completamente esclusa dai giochi somali, tanto che l’ENI neppure opera nel Paese36. Soltanto 25 anni, ai tempi della Prima Repubblica, l’Italia si proiettava ancora nel Corno d’Africa. Oggi, dopo aver contribuito allo smantellamento della propria zona di influenza nel Mediterraneo, l’Italia lotta per la sopravvivenza. È il prezzo che paghiamo per aver lasciato che le quinte colonne straniere si impadronissero, dopo Tangentopoli, dello Stato.

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