Get Even More Visitors To Your Blog, Upgrade To A Business Listing >>

Perchè è necessario occuparci della Siria?

La domanda che ci viene posta, chiesta, suggerita sin dalle locandine all’entrata della Fondazione Caritro, è scomoda, talvolta ignorata volutamente: perché dovremmo occuparci della Siria?
Ad intervenire sono in particolare Lorenzo Ferrari, rappresentate di Amnesty International a Trento, il professor Marco Pertile, docente di diritto internazionale all’Università di Trento e, infine, il giornalista freelance Ivan “Grozny” Compasso, reporter da città siriane quali Kobane e Hesseke, nelle quali si è addentrato spesso clandestinamente.

Perché, dunque, dovremmo parlare di Siria? Perché dovremmo parlare di una nazione così lontana da noi in termini geografici e culturali?

Perché la lontananza da questa regione non è così incolmabile come sembra e i punti di contatto con la stessa Italia sono molteplici.
Non dovremmo parlarne solo perché è uno dei conflitti armati più duraturi e clamorosi attualmente in atto (basti pensare che la crisi scoppiò sei anni fa, in seno alla Primavera Araba del 2011).
Ma perché la Siria si trova esattamente al confine orientale dell’Unione Europea.
Perché la tradizione che lega l’Italia alla Siria è millenaria, a partire dalla conversione di san Paolo sulla via di Damasco.

In secondo luogo perchè il ruolo dell’Europa e dell’Occidente è tutt’altro che secondario nella crisi Siriana.
Perché le violazioni non riguardano solo la Siria in senso stretto, ma anche tutti quei profughi che, sfuggendo da uno stato di guerra, si sono trovati in campi disumanamente gestiti dalle forze di governo, con vari e numerosi episodi di sfruttamento e violenza.
Perché i siriani bloccati in Turchia dopo l’accordo di quest’ultima con l’Unione Europea sono tre milioni.
Perché i documenti dei militanti dell’ISIS trovati in Siria testimoniano di belgi, britannici e francesi sotto il vessillo nero dello Stato Islamico.
Perché la parte dell’Europa nell’aumentare le fila dell’ISIS è ancora da definire.

Perché la guerra che si sta combattendo non è una guerra come le altre.
E’ una guerra senza buoni, pur fiorita da un nucleo autentico di democrazia nel 2011, che è stato però presto ucciso per far posto a fazioni politico-militari. I confini tra i vari attori sono labili, e vedono curdi, forze di Assad, ISIS, paesi occidentali e Federazione Russa giostrarsi ruoli sempre diversi.
Perché la storia di violazioni contro il popolo siriana non è nata solo con la Primavera Araba, ma essa ha manifestato una storia lunga quarant’anni di repressioni.
Perché gli attacchi da parte del governo di Assad testimoniano, tra l’altro, una vera e propria prassi nel colpire il personale sanitario, dopo aver criminalizzato l’assistenza medica ai “terroristi”, e quindi ad ogni insorto contro il regime. Perché il solo carcere militare di Saydnaya conta 13 mila morti tra il 2011 e il 2015 per impiccagioni di massa a seguito di processi extra-giudiziari.  Perché i secondini ogni mattina raccolgono letteralmente i cadaveri nelle celle. Perché le responsabilità individuali di tali atrocità non potranno essere processati da una corte internazionale, almeno una tale risoluzione non sembra essere all’orizzonte, fintanto che all’interno del Consiglio di Sicurezza Russia e Cina minacciano il veto ad una tale disposizione.

Perché, infine, in un tale caos indefinito, dalle mille sfumature fangose, tra le rovine delle città in un tempo in fiore sono le persone comuni, i bambini, che troviamo. Una giovane insegnante che è il miglior cecchino di Hesseke.
Un bambino di sei anni che ha assistito allo sterminio dei genitori e del suo villaggio, lasciato in vita solo come terribile testimone di una strage il cui panico vuole essere diffuso, e che ora non riesce a rivolgere  parola agli adulti, poichè rappresentano tutto ciò che per lui è il male. Ma che alla vista di una maglia di calcio, di un barlume di quotidianità, parla con un reporter italiano, ritrovando quelle parole che aveva perdute. Sempre bambini sono coloro che salvano la vita due volte a Ivan Compasso, risollevandolo e scuotendolo da una situazione che si profilava come di morte sicura, con una consapevolezza di quanto labile sia la vita che spesso è maggiore di quanto potrà mai essere la nostra.

Dovremmo parlare di Siria perché è storia a noi vicina, perchè è storia in cui la nostra impronta si staglia vasta, perché è una guerra quotidiana che non possiamo permettere diventi abituale, che non possiamo permettere venga liquidata come consuetudine e normalità.

L'articolo Perchè è necessario occuparci della Siria? proviene da Secolo Trentino.



This post first appeared on Secolo Trentino, please read the originial post: here

Share the post

Perchè è necessario occuparci della Siria?

×

Subscribe to Secolo Trentino

Get updates delivered right to your inbox!

Thank you for your subscription

×