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Salgari: il valoroso profeta che se ne andò ‘spezzando la penna’

Il 21 agosto di 155 anni fa una famiglia di piccola borghesia diede i natali ad Emilio Salgari, quello stesso Emilio che di lì a breve sarà celebrato come ‘il Verne italiano’. Nato a Verona, fin da giovanissimo dimostrò uno spiccato interesse per la geografia e la navigazione, sebbene non riuscirà a concludere gli studi nautici per diventare Capitano di Gran Cabotaggio. È lo stesso Autore a definire bizzarra ed incomprensibile la precoce ma perpetua passione ‘di avere un giorno una nave da comandare, un equipaggio […], di scorrere gli ampii mari in cerca di avventure, di burrasche, di vere emozioni’[i]. Dopo i primi esordi in ambito giornalistico, si cimentò tutta la vita nella stesura di romanzi, vivendo nella quasi perenne miseria sotto il giogo di ritmi sfrenati ed editori spietati.

Salgari si considerò ‘fondatore in Italia della scuola dei Verne’, dal quale però si differenziò notevolmente per il fatto di saper raccontare anche di donne e di amore, argomenti che mettevano invece in imbarazzo il Francese, tanto da evitarli categoricamente. Fin da subito, i suoi scritti si diffondono a macchia d’olio e giungono ben oltre i confini nazionali: L’Autore è entusiasta nel constatare che i propri romanzi ‘corrono trionfanti per il mondo’. Risulterà l’autore italiano più tradotto nel 1949, superando i trenta paesi[ii]. Lo straripante prestigio, tuttavia, porterà ad attirarsi più di qualche invidia. In particolare un certo Antonio Quattrini Garibaldi pubblicherà in quello stesso periodo volumi d’avventura i cui titoli richiamano precipuamente noti testi del Salgari. Paradigmatico il caso della ‘Tigre del Bengala’ che, oltre a riprendere titolo e argomenti salgariani, narra di personaggi con nomi quasi identici, talvolta coincidenti. Egli stesso nella rivista da lui diretta Per Terra e per Mare denuncerà questa concorrenza sleale, rifiutandosi da quel momento di preannunciare i titoli dei romanzi in procinto di essere pubblicati[iii]. Insomma, un comportamento molto scorretto tale da rasentare quasi un’ipotesi plagio e che porterà l’Autore a riferirsi al suo rivale con l’epiteto di ‘pirata della penna’.

Il padre di Sandokan e del Corsaro Nero, eroi immortali di ogni generazione, si dimostrò in grado di condurre i propri lettori ben oltre gli arcinoti viaggi d’avventura in terre esotiche. Salgari infatti, oltre che fervido immaginatore, assurge anche a ‘profeta’, arrivando a prevedere, tra le altre cose, l’invenzione del televisore.Nel medesimo istante il dottore vide illuminarsi un gran quadro che occupava la parete di fronte al letto e svolgersi una scena orribile e d’una verità straordinaria. […] e le scene si succedevano alle scene con vertiginosa rapidità e senza la minima interruzione. Era una specie di cinematografo, d’una perfezione straordinaria, veramente stupefacente, che riproduceva con meravigliosa esattezza […]’[iv].

Non solo. Sempre nel Le meraviglie del duemila (Bemporad, 1907), romanzo scientifico emblematico della letteratura fantascientifica italiana, viene anticipato l’impiego di una sostanza che sembra potersi ricondurre alla plastica. ‘Le sedie, la credenziera, gli scaffali situati negli angoli e perfino la tavola che occupava il centro, erano formati di un metallo bianco e lucentissimo che assomigliava all’alluminio.’

Sul piano sociale, l’Autore azzeccò lo scatenarsi di conflitti mondiali in grado di causare milioni di vittime. ‘L’ultima battaglia combattuta per mare e per terra fra le nazioni americane ed europee è stata terribile, spaventevole, ed è costata milioni di vite umane, senza vantaggio né per le une né per le altre potenze. Il massacro è stato tale da decidere le diverse nazioni del mondo ad abolire per sempre le guerre.’  Sempre dallo stesso brano emerge poi il ripudio per la guerra come sentimento condiviso da parte dei singoli Stati, voluto ed inserito in molte Costituzioni nate nel secondo dopoguerra (si veda l’art.11 della Costituzione italiana).

Un’ulteriore, per quanto drammatica, previsione riguarda la scoperta e l’impiego di armi di distruzione di massa. ‘Oggi noi possediamo degli esplosivi capaci di far saltare una città di qualche milione di abitanti; […] Una guerra, al giorno d’oggi, segnerebbe la fine dell’umanità.’.

Stupisce il fatto che Emilio Salgari, nonostante abbia sparso i propri protagonisti in ogni angolo del pianeta, non lasciò mai la Penisola. E c’è di più: sembra infatti che abbia compiuto un unico viaggio per mare, precisamente nell’estate del 1880, spostandosi da Pellestrina, isola della laguna veneta, a Brindisi. Le minuzie delle descrizioni e le conoscenze culturali sono dunque da attribuirsi interamente all’intensa attività di ricerca in biblioteca, dove l’Autore ero solito rifugiarsi per documentarsi. Era un pensatore instancabile: studio e creatività si alternavano in un vortice continuo senza tregua.

I medici mi hanno consigliato il riposo. Soffro di nevrastenia acuta. Ma non saprei vivere lontano dai miei personaggi. Staccarmi dalle mie fantasie vorrebbe dire togliermi la ragione logica dell’esistenza.’[v]

L’ingente lavoro di cui doveva farsi carico e il peso dell’indigenza economica iniziarono presto a farse sentire. A questo si aggiunse il dramma del suicidio del padre che sancirà l’inizio di una maledetta condanna dalla quale la famiglia Salgari non potrà sottrarsi. La goccia che fece traboccare il vaso fu la malattia della moglie e la consapevolezza di non poter provvedere alle sue cure. Inizierà così il repentino declino dell’Autore che lo condurrà a porre fine alle proprie sofferenze nel 1911.

Le idee che generalmente vengono immediatamente suggerite dalla parola ‘suicidio’ sono quelle di una profonda depressione e di una solitudine incomunicabile. È mai possibile che persino un gigante della narrativa come lui possa arrendersi e sprofondare nell’isolamento come il più comune dei mortali? Le perplessità sono molteplici. Non è da escludere un’altra via interpretativa, magari in grado di conferire alla vicenda una lettura più ‘romantica’. Interessante è notare le modalità esecutive dell’estremo gesto. Vi è anzitutto un primo tentativo, nel 1909, che vede l’Autore alle prese con un’arma bianca, proprio come quelle brandite tanto abilmente dai suoi eroi. Due anni dopo, l’atto definitivo si concretizza in un harakiri con un rasoio. La pratica, di matrice orientale, consiste nel conficcare una lama nel proprio addome e squarciarlo. I samurai era soliti prestarsi a questa atroce modalità di suicidio, non solo per sfuggire la pena capitale, ma anche per protestare in modo solenne contro un’ingiustizia patita. L’idea allora sembra potersi appurare è quella dell’immolazione di un valoroso, alla stregua dei temibili guerrieri giapponesi. Occorre poi rammentare come Salgari fosse molto legato al codice cavalleresco, in particolar modo al tema dell’onore che lo porterà a duellare con il redattore del giornale L’Adige. Onore, gloria e audacia sono temi ricorrenti nei suoi volumi: tanto esaltati dall’Autore da divenire veri e propri valori da fare propri. Il legame indissolubile tra la sua esistenza e la scrittura troverà un’ulteriore conferma nelle parole dello stesso Salgari. Egli infatti, in una durissima lettera indirizzata agli editori, rivolgerà il suo rancoroso estremo saluto accompagnato alla metafora della ‘penna spezzata’.

Quella morte violenta contribuisce ad alimentare quell’alone di tenebra che già da prima avvolgeva la famiglia. A distanza di anni anche i figli Romero e Omar, già condannati da un ineluttabile oscuro destino, emuleranno l’infausto gesto.

Damiano Rossi

[i] Emilio Salgari. Documenti e testimonianze.

[ii] Dati Index Translationum UNESCO.

[iii] Per Terra e per Mare, rivista n.31 del 1905.

[iv] E.S., Le meraviglie del duemila.

[v] Intervista del gennaio 1910 di Antonio Casulli, inviato del ‘Mattino’ di Napoli.

Bibliografia:

– Felice Pozzo, Emilio Salgari e dintorni, Liguori Editori, 2000.

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