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POVERA SQUOLA!

[di Giacomo Bonagiuso] Accade spesso, nei film catastrofici (i Disaster-movie come li chiamano le riviste specializzate) che lui e lei, abbracciati in un’ultima stretta, attendano l’onda di tsunami, con volto bene in luce, ed espressione pacificata. L’onda puntualmente arriva, e la computer graphic fa il resto, lasciandoci assistere alla catastrofe, mentre l’eroe, geologo o astrofisico (a seconda che l’Apocalisse venga dal cuore del globo o dalle stelle) tenta disperatamente di salvare un mondo ridotto ormai a rudere, su cui di solito sventola la bandiera americana, rigorosamente in stracci, mentre la Statua della Libertà giace frammentata al suolo.

Sul finale, di solito, è il Presidente Usa, rigorosamente di colore – lo stesso che ha annunciato al mondo l’estinzione, in un discorso il cui empito evoca i maggiori poeti (“noi non ce ne andremo silenti nella notte!”) – che, nell’andare maestoso del musicotto ruffiano, testimonia ai superstiti che l’uomo – imago Dei – esiste ed esisterà ancora. Tà tàn!

Adesso, pur mantenendo il clima da cataclisma, proviamo a sostituire ai meteoriti impazziti o alla fusione del nocciolo terrestre… la scuola italiana, anzi la “squola”. Togliamo il Presidente afroamericano e piazziamo una cinquantenne in carriera che s’è scucita di dosso il titolo obsoleto e mortificante di prof. per riacquisire in sciolta giovinezza quello di dott.; cestiniamo la parola Preside (che fa troppo Libro Cuore!) e aderiamo alla maledetta managerializzazione del tutto, tramite la trappola semantica nascosta dietro la parola “Dirigente”.

Ah, a che ci siamo, togliamo anche l’eroe scapigliato che coi suoi calcoli cerca di salvare il mondo, e piazziamo al suo posto un esercito di donne e uomini sull’orlo di una crisi di nervi, detti oggi insegnanti, perché – appunto: in un cataclisma simile cosa diavolo vuoi chiamarli ancora “docenti”?
Ed infine, come consiglieri del presidente (quelli che non azzeccano mai un calcolo), piazziamoci quell’esercito di pedagogisti e psicologi (ah! Signore!) che dopo aver infognato la Scuola in una baruffa di sigle apocalittiche, pof, ptof, bes, tric, barrac, scurregg e piritoni, hanno davvero garantito qualcosa al sistema educativo nazionale: la loro inclusione. Inclusione burocratica, la loro, dannosa più che semplicemente inutile, produttrice di carte, cartelle, piattaforme, semafori, sigle, acronimi, master a pagamento, e boiate del genere.

Inclusione devastante che ha distrutto la migliore scuola del mondo, la nostra; quella che insegnò a legger scrivere e far di conto ai nostri nonni, e che ora tritura le palpebre tra know how, competenze, obiettivi, strategie, fasi, power point, fogli excel e kataminchiate abnormi che se Kant o Adorno tornassero in vita si proccurerebbero litri di nafta agricola per immense pire di inutili carte che schedando, schedando, e ancora schedando – terrorizzati di toccare, interagire, cazziare, motivare, all’antica – restituiscono dello studente un grafico poco interessante, affatto utile, che ne ha per altro perso a monte la specifica esistenza.

Nell’urgenza d’essere azienda che asseconda il nostro tempo, tutto deve avere economia; tutto, pure la scuola. Tra poco finirà l’ipocrisia di chiamarli Istituti, le Scuole, e si chiameranno aziende, come gli Ospedali. Che ne pensate di questo: Azienda per i Servizi e i Sistemi di Apprendimento Differenziato: acronimo, A.S.S.A.D., nomen omen!

A.S.S.A.D., tradotto dal burocratese, significa che per accaparrarsi più iscritti (più bimbi più potere) si è disposti a promuovere Barabba con 10 in condotta e considerare tutti gli alunnastri degni di proseguire il camminino pieni di competenze. ‘Nta un occhiu! Dice l’antico. In realtà quella odierna è una Scuola per ciclopi, scuola che ha perso ogni disciplina e che produce quintali di sgomento all’ora. Però – e vado contro il mio interesse d’artista – a scuola si canta, si sona, si recitanu scenette e poesie, s’abballa, si tinci, e, a picca, si decolla. Latino, Storia e Filosofia, Matematica, Scienze e Italiano… un pocu menu… Suvvia.

Ora aprite i giornali, internet, la tivvù (mizzica: quella fogna di televisione dove tuttavia è sempre un miraggio andare, perché un po’ di fama non si deve davvero negare a nessuno!) e leggerete il finale del nostro Disaster Movie Scolastico.

Leggete ieri, oggi, e domani e troverete ciò che resta dei professori, scusate: insegnanti, umiliato in rete da bestie male ammaestrate da mamma tivvù che gli vende il filmetto col mafiosetto simpaticissimo da emulare… Leggete ieri, oggi e domani e troverete, poi, in caso non si voglia subire lo sbando, che gli umiliati docenti (ah! docere…) vengono non soltanto picchiati dai padri delle bestie, i bestioni, ma umiliati da talune minuscole caprette, con capello a spazzolino, gasate da cannabis e poltiglia di cacca in testa…

Risultato? Lo volete davvero sapere il risultato? Il risultato è che, per la legge adattiva che allungò il collo alle Giraffe (Darwin docet!) l’esercito di insegnanti umiliato, mal pagato, squalificato… molla.
“Ma perché ammazzarsi la vita? Ok. Il 27 del mese arriva lo stipendio di merda, anche se le bestie restano bestie. Ed allora: coloriamo, facciamo gite, sunamu, cantamu… qualche schemino, due power point e chi se ne frega se nessuno più argomenta? Tanto i geniacci dell’Invalsi sconoscono il grigio e addestrano al quiz: vero o falso. Fine del pensiero. Bit acceso, bit spento. E chi se ne frega che Catullo forzi il linguaggio dicendo di amare e odiare Lesbia contemporaneamente: si decida ‘sto stronzo. O la ama. O la odia. Nell’Invalsi la terza via non c’è. Figuriamoci un paradosso. E lasciamolo stare questo mondo nero o bianco, si fottano i grigi, tanto coi grigi finisce che qualcuno ti mena, qualcuno ti filma mentre il sedicenne ti urla come il boss del sabato sera in tivvù… Lasciamo il mondo nero o bianco, come l’Invalsi. Tanto il 27 del mese arriva lo stesso: quattro piccioli, evabbè… ma se mi isolo mentre urlano come bestie, se riesco a non avere l’emicrania, forse con due sedute di training autogeno resisto, e magari non devo operarmi alle corde vocali… Importante è resistere. Che mi importa. Un otto non si nega a nessuno, e magari facendo l’amicone non mi tagliano le ruote e non mi umiliano…”

L’insegnante molla. Entra di fatto nel nuovo proletariato della catena di montaggio. Copia e incolla. Le carte. Prima le carte. Anzi: solo le carte. Impara a fare mappe, compilare carte, schede di etichettatura. Cooperative Learning, “mah…veramente ficiru due ore di burdellu… Pensa al ventisette! Ok. Cooperative Learning. Semaforo verde. Troppe lezioni frontali e s’impalla il sistema. Bisogna coinvolgerli, intrattenerli… E chi sugnu ballerina, io? Pensa al ventisette. Sì, li intrattengo. Ci sono i filmini”.

Poi i Bes. La scheda di apprendimento personalizzata. “Un Garibaldi sì e un Garibaldi no! Chi m’inventu pi far diventare la Guerra dei Cent’anni divertente? La medicalizzazione. E poi tutti sei, sette… ma quale insufficienza? Proseguiamo. Sopravviviamo. Niente botte oggi né dell’alunno, né dal padre. Portare a casa lo stipendio e la pelle”!
Signori, ma questi insegnanti sono eroi che si devono fare massacrare?
Complimenti a tutti. Ora avete figli peggiori. E docenti scoglionati. E Dirigenti in carriera. E tra un po’ A.S.S.A.D., un incubo degno del Grande Fratello. Ottimo. Applausi.

Ps
Si avvisa che nell’ora pomeridiana di teatro, scrittura creativa o filosofia dell’arte, il professor Bonagiuso ha la didattica ferma al 1980. Il suddetto docente non eroga soddisfacimento di bisognini primari ai vostri virgulti, non farà delle star dei vostri pargoli, non gliene impipa una mazza se andranno a “Tu si que vales”, e continua di tanto in tanto ad interloquire con loro in modo ruvido, senza pannolino, e senza guanti bianchi. Cosi, per saperlo. In caso li potete sempre iscrivere ad un corso per autografi.

Giacomo Bonagiuso

Rubrica “La Domenica Nel Villaggio”

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