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[Storia] La chiesa di Nostra Signora della Tagliata e la fiera

Nel quadro della ripresa economica e sociale che caratterizza la vita castelvetranese nella metà del 600, si inserisce anche la complessa vicenda relativa alla fabbrica della chiesa di N. S. della Tagliata, meta di quanti si recavano a venerare una sacra immagine, rinvenuta – si vuole – da alcuni tagliapietre nelle cave vicine.

La chiesa sorse inizialmente sulla via di Palermo, ed è attestata extra moenia fin dal 1634, come si rileva agli atti di notar Giacinto Giglio sotto li 2, 5, 10 e 16 agosto di quell’anno. Essa fu, nel 1652 , trasferita e riedificata più vicina alla città alla biforcazione da cui si originavano la detta via e quella di Salemi, sempre nel feudo della Favara, pertinenza del duca di Terranova che, di conseguenza, esercitava sulla chiesa medesima il diritto di patronato, provvedendola di una dote annuale di un’onza , con l’obbligo pel beneficiale di celebrar quattro messe nel giorno della festività mariana, la terza domenica di settembre.

Uno dei quadri della Chiesa della Tagliata

A dar fede a una relazione manoscritta del canonico Giovanni Ampola, datata 25 luglio 1911, conservata fra le carte del Ferrigno, un primo ampliamento della fabbrica sarebbe avvenuto nel 1711, essendo… aumentata nel popolo di Castelvetrano e dei paesi vicini la devozione verso la prelodata M. SS. della Tagliata .

Secondo le note dell’Ampola, fatte proprie dal Ferrigno, i rimaneggiamenti del 1711 avrebbero dato volto definitivo alla chiesa così come oggi la vediamo; ma un documento da noi rinvenuto tra gli atti di notar Filippo Maria Curti, rogato a’ 22 marzo 1782, attesta un ulteriore e complesso intervento volto a construere et facere fabricam nove Eccl. Dive Marie Taliate, ad opera del canonico Benedetto Calcara, beneficiale pro-tempore.

Il progetto, redatto dal maestro murifabbro Francesco La Rosa, era tale da richiedere per la sua realizzazione il metodo dell’asta pubblica che difatti venne abbanniata dal servente della curia civile, tal Baldassare Centonze. L’offerta migliore, all’estinguersi della candela, fu presentata da Nicolò Palazzotto per conto di tal Vincenzo La Cascia da Salemi, che offrì z. 189.15.
Il progetto del La Rosa fu sottoposto con comprensibile entusiasmo dal canonico Calcara sotto l’occhi d’ingegneri e periti, i quali pur trovandolo perfetto per quanto riguardava l’architettura, considerando soprattutto l’esigenza di avere un tempio in grado di ospitare il crescente afflusso dei pellegrini, consigliarono di allargare e allungare la fabbrica, stimando un incremento di z. 51.5 per una spesa complessiva di z. 240.20, somma che ci dà un’idea della complessità dell’intervento, che interessò le mura, la copertura, il pavimento, le porte, nonché la costruzione, a levante, di quattro stanze aggregate, così come per altro specificato in una relazione acclusa all’atto predetto.

La necessità dell’ampliamento del santuario era ovviamente legata anche alla circostanza della pubblica fiera che da alcuni anni si teneva nelle sue prossimità, argomento che svilupperemo più avanti. Il La Cascia, quale sub appaltante del La Rosa, si obbligò a consegnare i lavori al rustico entro il maggio del 1785, secondo un calendario che prevedeva, entro il 1782, il completamento degli alzati fino a palmi 10; entro il settembre del 1783, la consegna del secondo ordine; ed entro il maggio del 1784, la definizione della copertura; con l’obbligo di riutilizzare il pietrame residuo della chiesa vecchia per la costruzione dei cennati ambienti contigui. Fu questo, con ogni probabilità, l’ultimo rimaneggiamento strutturale che ha consegnato la chiesa nella forma in cui oggi la vediamo.

Fiera della Tagliata – Foto di Gianni Polizzi

Intorno al 1796, ad opera di maestro Vincenzo Palazzotto, furono completati i lavori per il nuovo rifacimento dello stucco, come leggiamo in notar Andrea Lombardo a’ 27 novembre di quell’anno che ne registra quietanza. Altri interventi minori furono eseguiti nel 1810, per mano sempre del detto Palazzotto, il quale in atto presso notar Girolamo Curti, a’ 2 febbraio, si obbligò a favore del sacerdote don Giovanni Lentini, beneficiale della chiesa, a compire le opere di muratura e falegname… per onze 31.24.

Oggi la chiesa è caratterizzata all’esterno da una facciata delimitata da due robusti cantonali, con un bel un portale rococò, sormontato da una finestra rettangolare, conclusa da un fregio con due volute laterali al cui centro trovasi una conchiglia sorreggente la croce. L’interno, a navata unica, ha tre altari per lato, più quello maggiore, sormontato dal quadro della Titolare, opera del pittore trapanese Mario Giambona (e non Giammona, come spesso si scrive) che la dipinse nei primi anni del Settecento . Nell’abside semicircolare si conserva un antico affresco che, nonostante un malaccorto restauro, rivela la mano di un bravo maestro, capace di raffigurare la prodigiosa apparizione della Vergine ai cavatori di pietra. Nel secondo altare a destra vi è un dipinto raffigurante il Battista.
Attorno alla chiesa, si teneva, e si tiene tuttavia una fiera, nello spazio antistante il santuario, fin dal 1759, la terza domenica di settembre.
La diffusione e la concessione delle fiere va considerata nell’ottica di una risposta istituzionale alla crescita dei commerci e alla specializzazione produttiva del territorio; esse si svolgevano prevalentemente al di fuori delle mura della città, in prossimità delle vie di maggiore comunicazione ed erano legate ai cicli produttivi dell’agricoltura. Se dunque la più antica fiera di S. Giovanni, che si teneva nel grande slargo, un tempo extra muros, di fronte la chiesa del Santo, era legata al ciclo del grano; la nuova fiera, che ha luogo a settembre, è da porre in relazione al ciclo della vite, coltura che, come più volte s’è detto, andava sostituendo nel tempo quella cerealicola.
La fiera fu chiesta dal beneficiale della chiesa della Tagliata, don Antonino Spallino, con lettera inviata, a’ 17 agosto del 1758, al vicerè, per via del Tribunale del Real Patrimonio. Il reverendo Beneficiale, ricordando che ogni anno, nella prima domenica successiva all’otto settembre, festività della Natività di Maria, si celebrava la ricorrenza della Titolare, e per riuscire detta festa con maggior pompa, aumento e concorso, ha pensato di farsi la fera per cinque giorni continui incominciando dal venerdì antecedente a detta festa per tutto il martedì seguente; quale fera non può riuscire di pregiudizio alcuno alle vicine Università come sono Campobello, Mazzara, Partanna, Santa Ninfa e Salemi ne’ quali non concide altra fera in detti giorni cinque… coll’uso e sorte di Bestiame, Merci, Pannime, argintieri, canapi, ed altri con poter vendere e comprare ogn’uno liberamente ed anco sorte di comestibili, potabili,legumi, vittovagli ed altri e di potere macellare ogni sorta di bestiame anco Bovina e Vaccina inutile e non atta al seminerio, colla franchigia di tutte le gabelle della Università… . Il Tribunal del Real Patrimonio si attivò immantinente, e con lettera del successivo 20 agosto scrisse ai giurati delle città interessate se cosa in contrario avessero e se l’era di pregiudizio la concessione di sudetta fera.

Favorevoli furono le risposte delle Università, a parte la questione sollevata da quella di Partanna che riteneva troppo vicina la data proposta dal beneficiale Spallino rispetto al 15 agosto, giorno nel quale si svolgeva analoga fiera in quel centro. Si advenne dunque alla scelta della terza domenica di settembre quale data nella quale celebrare la solennità della Vergine della Tagliata, e quale riferimento ai cinque giorni dell’invocata fiera. A seguito di ulteriore richiesta del detto canonico Spallino, del 4 gennaio 1759, il vicerè concesse formalmente il permesso di tenersi detta fiera nei giorni decorrenti dal venerdì antecedente alla terza domenica di settembre, sino al martedì dopo tale domenica Furono ancora concesse le richieste franchigie, ma, su istanza dell’Università di Castelvetrano, l’esenzione dalla gabella del pelo fu accordata soltanto per due giorni, vale a dire il giorno della sollennità e la giornata seguente alla stessa.
Nel medesimo anno, il detto beneficiale, Antonino Spallino, protestando le esigue rendite della chiesa, limitate a soli tre ducati annui, ed evidenziando le pessime condizioni in cui essa si trovava, indirizzò una supplica al principe per chiedere l’esenzione delle gabelle segreziali nel giorno della festa e in quello della sua vigilia, sui proventi della costituenda fiera di comestibile e putabile ed altri generi immuni delle suddette dogane acciò col provento di qualche elemosina solita a darsi dai Tenditori [i fieranti] potesse l’Esponente rimediare all’espressati bisogni… Con lettera del 3 agosto 1758, il duca di Terranova accordava da Napoli la sua annuenza, incaricando il segreto di Castelvetrano a esperire gli atti conseguenziali . In seguito, lo stesso sacerdote Spallino, con istanza del 31 agosto 1772, faceva rilevare che la limitazione della franchigia sulla gabella del pelo solamentre pei detti due giorni, non ritornava né a vantaggio della chiesa né a vantaggio del commercio. E dunque, in seguito a reclami degli interessati, il detto beneficiale tornava a pregare S.E. e il Tribunale del Real Patrimonio, onde permettere che la fiera franca cominciasse col giorno di sabato, vigilia della festa, e terminasse il mercoledì successivo, e che la franchigia del pelo fosse concessa per tutti i cinque giorni. Il vicerè marchese Fogliani ed il Real Patrimonio, con determinazione dell’8 novembre 1772, disponevano di doversi, a cura dei giurati, farsi distinta e circostanziata informazione al Tribunale del Real Patrmonio su quanto chiedeva il reverendo Spallino, onde successivamente darsi le finali risoluzioni . Giunti che furono tali chiarimenti, fu accordata in pieno la richiesta dello Spallino con dispaccio di S.E. e T.R.P. del 1 ottobre 1772, come leggiamo al f. 19 del volume degli atti dell’Università, relativi a quell’anno.
In una nota del 25 febbraio 1794, il canonico don Benedetto Calcara, rettore della chiesa pro-tempore, lamentando alcuni sconcerti relativi all’ordine della disposizione dei mercadanti nella detta fiera, ci informa della inveterata consuetudine per la quale solevano disporsi più vicini alla chiesa i pannieri, e dell’esistenza di un consuetudinario criterio di avvincendamento nell’eventuale venir meno di uno dei fieranti, per cui a questi subentrava il più prossimo. Doveva ovviamente esistere una regolamentazione della fiera, se il 10 settembre 1799 il segretario del Real Patrimonio scriveva ai giurati di Castelvetrano per fare la pubblicazione relativa alla fiera della Tagliata, e ciò sulle istanze del sac. Giovanni Lentini, beneficiale della chiesa . E ancora, con lettera del 10 dicembre 1801, il Real Patrimonio, su ricorso del beneficiale della chiesa, regolava i poteri del maestro delle detta fiera .

Apprendiamo inoltre che in origine i fieranti erano accolti colla loro merce in apposite logge di legno e che aumentandosi la sudetta fiera, col decorso del tempo pel maggiore concorso delli mercanti e non essendo sufficiente la legname ed attratto per la struttura della fiera… bisognò fare non puoche loggie di fabrica e così sono ben custoditi tutti li generi che si vendono, dall’acqua che potrebbe piovere e delli furti… Che tali strutture già sussistessero risulta confermato da una quietranza di z. 13.15.13, rilasciata dai maestri Vincenzo e Nicolò Palazzotto a don Francesco Castelli, qual tesoriere della chiesa, per la costruzione delle stesse, come per atto in notar Filippo Maria Curti a’ 5 ottobre 1783.
L’esistenza delle logge è documentata, ancora agli inizi del secolo scorso, in una imagine devozionale dell’epoca che qui si riproduce (fig). Tende e logge, dove si vendeva la più svariata mercanzia, sono pure ricordate dal poeta castelvetranese Nino Atria che, nelle Rimi juculani della sua Cialoma del 1909, dedicando una lunga composizione alla fiera della Tagliata, così dice:

Già li tenni su’ davanti, / di li soliti feranti, / cu nziridda e bummuliddi, / p’accurdari picciliddi: / e li loggi sunnu chini / di pignati e cunculini, / di cucchiari e cucchiaruna, / di furchetti e furchittuna; / di rinali e di cannati, / di buttigghi smirigghiati, / di piatta, di latteri, / di biccheri e cannileri; / di cuasetti, di scarpini, / di liacci e di tappini, / di cirotti, di picati / pi li beddi ‘nnamurati: / di spiruna, di stivali, / di siringhi e di vracali. / E cchiù sutta, di corpetti, / di pruvigghia e sapunetti; / di fadali riccamati, / pi li fimmini ‘mpupati; / di birritti e birrittuna, / di cammisi e di buttuna, / di cravatti mafiusi / pi li fimmini pastusi .

Questa immagine della fiera, che assolveva ovviamente a una precisa funzione economica, si conservò tale fino agli anni Sessanta del Novecento; per ridursi gradualmente, con l’avvento della grande distribuzione e delle nuove dinamiche del commercio, a una mera ricorrenza tradizionale che si tiene, tuttavia, in vita perché legata alla venerazione, ancora profondamente sentita, verso la Madonna della Tagliata.

Stralcio dal 2° Volume di “La Città Palmosa”
di Francesco Saverio Calcara – Aurelio Giardina – Enzo Napoli – Matteo Venezia

articolo pubblicato il 18 settembre 2015

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