Get Even More Visitors To Your Blog, Upgrade To A Business Listing >>

Il cinema perduto degli ultimi cannibali

(di LUCA RAIMONDI) - Il primo cannibal-movie, secondo alcuni, sarebbe Il paese del sesso selvaggio, pellicola firmata da Umberto Lenzi nel 1972. In realtà il Film di Lenzi è ancora un ibrido, a metà tra i mondo movies alla Jacopetti o Climati e l'avventura in un mondo selvaggio stile Un uomo chiamato cavallo. Il titolo-culto di un genere, forse addirittura di un intero periodo storico, nel bene e nel male irripetibile, del cinema italiano, è però Cannibal Holocaust. Un film del 1979, diretto da Ruggero Deodato. Così lo liquida Paolo Mereghetti nella prima edizione del suo Dizionario dei film: «film per stomaci forti sulla moda di costruire documentari usando un bieco sensazionalismo». Una frase telegrafica che lascia pensare che il critico in questione non abbia neanche visto il film, cosa che evidentemente avviene tra il 1993 e il 1999, anno in cui esce una nuova edizione del dizionario. Cannibal Holocaust non solo guadagna una stelletta (ricordiamo che Mereghetti, secondo un’opinabile usanza molto in voga tra i critici, sinteticamente valuta i film con un numero di stellette variabile da una a quattro) ma anche un giudizio più articolato: «un’operazione gelida e sgradevole, ma a suo modo abile (molti direbbero cinica): l’espediente del film nel film non solo avvolge di un alone inquietante, da finto snuff, la violenza mostrata (tant’è che il fatto che gli attori fossero semisconosciuti permise a qualcuno di equivocare sulla realtà delle riprese), ma costituisce una precisa riflessione sulla prassi dei mondo movie e - insieme - una pietra tombale e una satira del genere: oltre a essere responsabili di buona parte degli orrori che "documentano", i cameraman arrivano all’abnegazione di non fuggire, pur di riprendere quello che sta succedendo ai loro colleghi. Di vero, comunque, ci sono solo le violenze sugli animali, che anche molti fan del genere trovano insopportabili. All’epoca fu sequestrato e condannato, sollevando un coro unanime di esecrazione; poi è tornato in circolazione con qualche taglio. Resta un documento indiretto sul malessere dell’epoca, e una tappa obbligata per chiunque voglia riflettere sulla rappresentazione della violenza». Alcune frasi della recensione del critico sembrano quasi riferirsi più ad un film di Pasolini (vedi ad esempio Salò o le 120 giornate di Sodoma) che non ad un B-movie di Deodato: e allora? cos’è successo? La critica ha cominciato una rivalutazione di uno (o forse dell’unico) "genere" d’indiscutibile creazione italiana? Certo che sì, prima o poi tocca a tutti. E adesso, superando le ovvie riserve per l’abominio perpetrato dalla produzione su poveri e inermi animali, ci si rende conto, almeno nel singolo caso di Cannibal Holocaust, di trovarsi di fronte ad uno dei titoli più importanti ed emblematici del cinema italiano, il quale sarebbe diventato un successone di massa forse degno de Il Silenzio degli innocenti, se non fosse stato ritirato dalla nostra guardinga censura. Certo, quello di Deodato e di Demme sono due modi assai diversi di fare cinema, uniti forse solo dal soggetto "cannibalico": eppure alla base c’è un forte interesse per la morte e le sue modalità di rappresentazione visiva. Se Demme si muove magistralmente all’interno di un collaudato impianto drammaturgico, Deodato lavora sul reale, sulla finzione del reale che aspira a proporsi come fotocopia del reale, neo-neo-realismo spogliato di ogni pietà, nudo e crudo come la natura in cui la cinepresa s’immerge senza mostrare alcuna coscienza di un possibile ritorno alla tranquilla realtà ammantata di finzione. Dunque siamo di fronte un gioco di ribaltamento in cui dalla realtà che si vorrebbe illusoriamente placida e bonaria si passa alla finzione che, pur con i suoi chiari limiti, mostra il reale aspetto della realtà. La finzione, bagnata dal cinismo e ripulita da ogni sua tensione ottimistica, propone una realtà più vera della realtà. Il verosimile dell’arte diventa verità. La natura rivela il suo vero volto, dopo essere stata vanamente nascosta da mille teorie misticheggianti e panenteiste. Dopo essersi spogliati di qualunque artificiosa riflessione, di qualunque substrato culturale imposto da tradizioni e convenienze, l’unico oggetto possibile della rappresentazione diventa la carne. La storia della carne, della natura, è la storia di un materiale deperibile e caduco. É la storia della morte, del suo quotidiano travaglio, del suo paradosso (c’è ma non non-è) che rimanda a mille questioni ontologiche che lasciamo ai filosofi. La morte, infine. La morte a 24 fotogrammi al secondo, come recita il titolo di un libretto ad opera di Alessandro Aiello ed Enrico Aresu, edito da Cane CapoVolto nel 1996. La carne e la morte: temi che ci riportano un passo indietro, al cinema di Joe D’Amato (pseudonimo di Aristide Massaccesi) e alla sua Emanuelle e gli ultimi cannibali, pellicola del 1977. Un cinema perduto dietro il suo stesso fare-cinema, che si soddisfa non tanto nell’uso reiterato del sesso e della violenza, contingenti argomenti di un racconto che non c’è, ma nell’uso della macchina da presa, lo scorrere della pellicola all’interno del rullo, l’obiettivo puntato verso un qualcosa che si presume significativo, senza che lo sia più dell’essere lì, su quel set, in quel dato giorno, con una macchina da presa nelle mani, le mani di Joe, impegnato ed appagato dal brivido adrenalico dell’occhio che guarda e nel mentre registra, salva un pezzo di vita dallo scorrere del tempo, dalla caducità del ricordo. Il cinema si ripiega su se stesso, viene infine goduto soltanto da chi lo produce, ed infine questo piacere, questo amore feticistico per l’oggetto, la camera, e ancora per l’oggetto, la pellicola, riesce in qualche misterioso modo a trasmettersi allo spettatore. Il quale gode per la goduria di Massaccesi, più che per la fittizia, per quanto realistica sempre fittizia, goduria sessuale mimata, esibita, a volte allusa come in un erotico d’autore, ma già sulla via di diventare porno, cioè vera, il porno come ultimo neo-neo-realismo possibile. Pensiamo ad un capolavoro dell’oscenità, oscenità come arte della provocazione che infine si risolve in piacere (e quanto piacere c’è nel farsi provocare dall’arte!), cercata e infine trovata, che è Porno Holocaust, in cui l’azione si frammenta, si perde dietro pezzi di un film che si nutre di altri film, senza riuscire, perché in fondo non gli interessa, a ricreare lo spirito e il senso dell’originale, vuoi che si tratti del film d’avventura o del sexy-thriller o dell’horror cannibalico. L’unico film che invece nasce, ancora prematuro ma già in se stesso esaurito, è il porno-film, con le sue scene di sesso senza-senso che sbocciano improvvise quando meno te l’aspetti, infilate lì per forza da un montaggio che aspira furbescamente all’atto commerciale, e che invece si rivela geniale. Se Pasolini scrisse un romanzo (Teorema) in forma cinematografica per rompere gli schemi stagnanti della narrativa italiana, la scena porno che s’insinua nel traballante racconto come elemento destabilizzante e privo di alcuna necessità è un puro sfregio nei confronti del tentativo di un fare-cinema classico e dejà-vu. Anche l’occhio trafitto della Karlatos nel mirabile Zombi 2 di Fulci può essere inteso come un rimando ad un cinema colto e ormai "classicizzato" (vedi Bunuel), forse al di là delle stesse intenzioni dell’autore, che pure era uomo più colto di quanto alcune pessime pellicole da lui girate non diano ad intendere; e al tempo stesso come avanguardia, in quanto certe scene vengono intese come atto pornografico, esibizione che va oltre il buon gusto e il pudore, risolvendosi quindi in libidine, in piacere, il piacere della trasgressione ai codici, alla morale, alle catene che l’uomo si forgia per poi poterle rompere (pensiamo soltanto per un momento al peccato come istigazione all’infrazione, al proibizionismo che infine provoca una nazione di ubriaconi).


This post first appeared on IL GORGO NERO, please read the originial post: here

Share the post

Il cinema perduto degli ultimi cannibali

×

Subscribe to Il Gorgo Nero

Get updates delivered right to your inbox!

Thank you for your subscription

×