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Il mastino dello splatterpunk all'italiana: Intervista a Pietro Gandolfi

(di GIUSEPPE MARESCA) - C'è un ragazzo veramente gentile dalle parti di Piacenza che ebbi l'onore di conoscere qualche anno fa al Torinocomics, quando per puro caso lo trovai ad uno stand col mitico disegnatore Bonelli, Nicola Genzianella, che presentava un nuovo prodotto a fumetti dal titolo The Noise. Mi avvicinai, comprai l'albo e stavo facendomi fare un disegnino e una firma da Genzianella, quando il disegnatore mi disse: "Se vuoi puoi fartelo firmare anche dall'autore." Da dietro le quinte uscì questo ragazzo timidissimo che con grande gentilezza mi firmò l'albo. Bingo! Dietro i modi affabili, quel ragazzo è forse la mente più estrema dell'horror all'italiana. Sì, perché The Noise mi piacque così tanto che indagai su tutto ciò che aveva scritto Pietro Gandolfi (questo il nome del Tristano dell'horror, classe 1979) e venni a scoprire che aveva una buona carriera di ottimi romanzi pubblicati all'attivo. Opere dalla prosa cristallina e viscerale, perfetti meccanismi narrativi stritolanti, con abbondanza delle tre famose esse (sangue, sesso e suono) tanto care ad una certa cinematografia splatter anni '80-'90 (quando il cinema era ancora una cosa seria con cui divertirsi per intenderci), crudeltà fisica e psicologica portata all'estremo e una vena lirico-romantica neanche troppo nascosta. Il buon Pietro mi ha concesso un'intervista davvero gagliarda in occasione dell'uscita del suo nuovo romanzo, dove ci accompagna nei meandri oscuri della sua produzione, chiacchierando anche dei suoi modelli e di un periodo felice dell'horror, ma anche profondendo generosamente saggezza, esperienza, segreti e tanta simpatia. Io da parte mia, pur non essendo King, posso dirvi che: "Ho visto il futuro dell'horror all'italiana e si chiama Pietro Gandolfi!", ops, mi è scappata alla fine, ma se cercate un autore veramente poderoso, che usa ipso facto vecchi e nuovi stilemi dell'horror, non cercate oltre. L'unico mio augurio è che di lui si accorga anche la grande editoria: forse se si distribuissero più Gandolfi e meno scrittori youtuber, il mondo sarebbe un posto migliore... e non solo per noi aficionados del brivido! Grazie Pietro: è sempre un onore!

 Come nasce la tua passione per l'horror?

Ciao Giuseppe e grazie dell’opportunità che mi dai di parlare un po’ di me e di Quello Che faccio. Ho avuto la fortuna di vivere, benché non appieno data la mia giovane età, l’epoca d’oro dell’horror, quel momento storico in cui in tutto il mondo il cinema, la letteratura e il fumetto hanno avuto un incredibile boom qualitativo e commerciale. Il cinema splatter e dell’horror più fisico di registi come Romero, Carpenter, Yuzna, Gordon e tanti altri, lo splatterpunk, l’esplosione e l’affermazione di due grandi icone come King e Barker… E anche a casa nostra si andava alla grande, soprattutto fra la seconda metà degli anni ’80 e i primi ’90: Argento, Bava, Fulci, ma anche un fenomeno che aveva dell’incredibile come Dylan Dog, la rivista Splatter… Insomma, le librerie, le edicole, le videoteche e i cinema erano invasi da tantissimo materiale di ottima qualità. Soprattutto il successo di Dylan Dog è stato possibile grazie a qualcosa che era già nell’aria, in fermento da anni, e si è manifestato nel momento giusto, nel posto giusto. La mia passione nasce da lì, dalle prime visioni di Hellraiser o Carrie, i fumetti, antologie come Splatterpunke Il libro dei morti viventi… l’unico rammarico, cui facevo cenno prima, è il fatto che all’epoca fossi solo un bambino e quindi non avevo piena consapevolezza di quello che mi accadeva attorno. Insomma, mi piaceva e basta, ma, complici anche i pochi spiccioli che avevo in tasca, non sono riuscito a godermela appieno. Certo, poi ho recuperato negli anni successivi e, almeno nel cinema, ho assistito a un altro grande periodo, nei primi anni del 2000. Quello che mi fa specie, da sempre, è che in Italia non si sia riuscito a portare avanti una tradizione nel campo della letteratura e del fumetto per quanto riguarda il nostro adorato genere, mentre i film fanno sempre ottimi incassi al botteghino. Ma spesso si tratta di spettatori occasionali, di giovani che non sono realmente appassionati, e ciò non aiuta a dare continuità, a creare una vera cultura. Ma noi siamo qui e lottiamo affinché l’horror conquisti il posto che gli spetta.

Leggendo la tua biografia, ho notato la tua passione per due miei miti personali, Clive Barker e il purtroppo sottovalutato Richard Laymon, due maestri dell'horror estremo, famosi anche per il sesso esplicito. Cosa ti ha colpito di questo genere narrativo? È possibile riportarlo in auge in un paese arretrato e poco avvezzo agli eccessi come l'Italia?

Il problema, come accennavo prima, è solo di una mancata tradizione. Perché nelle nostre edicole abbiamo sempre trovato collane di libri di fantascienza, gialli, spionaggio e romance, ma non horror? I tentativi ci sono stati, ma, almeno in tempi più recenti, soltanto affidandosi a materiale di archivio o che facesse riferimento ai soliti nomi. Se si azzarda a parlare di letteratura horror su qualche social, si ottiene sempre lo stesso risultato: tutti nominano Poe, Lovecraft e King. Il resto non esiste. Senza parlare del fatto che i generi più estremi non vengano nemmeno considerati horror. Perché? Questo non te lo so dire, tutti si atteggiano da vecchi tromboni e dall’alto della loro cattedra sputano sentenze, stabilendo che se si mostra sangue o sesso… be’, questo materiale non vale niente. Di sicuro le case editrici di peso non hanno mai mostrato lungimiranza, perché alla fine la gente legge ciò che le viene proposto e se un grosso marchio decidesse di invadere le librerie con nomi quali Keene, Laymon, Ketchum e compagnia, inizierebbero sì a vendere. Invece se nella storia non è presente un poliziotto, un investigatore, un medico legale, il libro sembra non raggiungere nemmeno gli scaffali. Partecipando a tanti eventi in giro per l’Italia, ti assicuro che gente interessata se ne trova. Spesso succede una cosa curiosa: da lontano adocchio quello che potenzialmente potrebbe essere il mio lettore ideale, look da rocker e con indosso anche qualcosa che rimanda immediatamente a un immaginario horror (la t-shirt di una serie tv dell’orrore, teschi, creature tentacolate)… insomma, inutile dirti che queste persone non leggono. Magari sono appassionati solo di musica o di generi del tutto differenti, che so, il fantasy più edulcorato. Poi capita la signora di mezza età col marito che borbotta pure un po’, e decide di azzardare l’acquisto di un mio romanzo senza mostrare alcun tipo di timore. È un bene che la gente scansi le etichette, l’apparenza, è una vita che lotto per farlo anche io, ma non è un bene che si stia allontanando dalla lettura. La televisione, in tal senso, potrebbe fare tanto, eppure non sembra volere rischiare al di fuori della propria zona sicura fatta di talent show preconfezionati o reality che di vero non hanno proprio nulla: ai nostri tempi Zio Tibia ha formato una generazione di ragazzi, con le dovute modernizzazioni non vedo perché un contenitore televisivo che tratti l’horror in tutte le sue forme non possa funzionare.

William Killed the Radio Star, Who's Dead Girl?, Radio Tenebra, Angie, ma soprattutto The Noise. So che la tua cultura musicale è immensa, e i titoli sopra lo dimostrano, quindi che rapporto c'è tra la tua narrativa e la musica?

È abbastanza semplice. Quando mi viene chiesto cosa ci sia alla base della mia formazione non mi sentirai sciorinare mille nomi di scrittori barbosi, come spesso fanno dei miei colleghi solo per darsi un tono. In Italia abbiamo il vizio di fare questa terribile distinzione fra cultura alta e cultura di serie B. Penso che sia una stronzata, perché se una cosa non è “d’autore”, automaticamente viene considerata scadente. Tutto questo per dirti che sono molto orgoglioso di dichiarare che nella mia formazione personale si trovano, in egual misura, la letteratura e il cinema horror, il fumetto e l’heavy metal. Nella mia scrittura metto tutto questo e tanto di me stesso e spesso è proprio la musica a portare a galla i sentimenti più profondi delle persone. Non è un caso che certe canzoni ci ricordino determinati momenti della nostra esistenza. Poi, se mi permetti, aggiungo che nella scrittura ci vuole sì tecnica ed esperienza, ma anche tanta passione, sangue e carne. Bisogna sporcarsi le mani e azzardarsi a raccontare anche le cose più scomode, senza che l’estremismo a tutti i costi prenda il sopravvento: se nella propria formazione personale sono presenti solo testi di grandi accademici, non vedo come sia possibile arrivare a comunicare col cuore. Non so tu, ma per me è molto facile imbattermi in libri noiosi e forse succede perché a scriverli sono persone noiose. La lettura è una pratica più difficile rispetto alla visione di film, al videogioco e anche all’ascolto della musica: il lettore ti regala parte del suo tempo, che è sempre un bene prezioso, e non lo si può ripagare con una storia pallosa raccontata in modo palloso. Per cui ben vengano il rock n’ roll, il punk, la maleducazione, per dare un po’ di pepe a questa magnifica esperienza, non trovi?

Un libro che mi ha fatto letteralmente impazzire è La ragazza di Greenville, veramente un gioiello, come ti è venuta l'idea di questo contrasto tra un titolo... diciamo così dolce, e una trama perfettamente congeniata che cattura il lettore, il quale nonostante capisca la discesa all'inferno che sta affrontando pagina dopo pagina, non riesce a smettere di leggere, anzi quando tutto è finito vorrebbe che la trama continuasse ancora...

Ti ringrazio per le belle parole, davvero. Ti confesso che il titolo nasce da una mia debolezza nei confronti di titoli del genere. Ho altro materiale, ancora inedito, che utilizza “la ragazza…”. Non so, mi trasmette subito una dimensione pop, una semplicità e un’immediatezza nell’approccio che mi fanno entrare nel giusto mood. Per me La ragazza di Greenville è un romanzo importantissimo, uno spartiacque: difatti è il primo romanzo che ho deciso di pubblicare. Ho materiale più datato, ma che ritengo immaturo dal punto di vista stilistico, quindi a mano a mano lo sto adattando a nuovi formati: The Noise e The Idol, per esempio, sono romanzi che sto raccontando in una maniera differente, a fumetti. Penso che mi annoierebbe a morte riscrivere da capo un romanzo, perché verrebbe a mancare una componente per me importantissima, ovvero la spontaneità, la capacità di sterzare bruscamente durante la narrazione, di rimettermi in gioco, di inserire elementi che in un primo momento non avevo previsto nemmeno io. Non sono uno di quelli che resta fermo per mesi perché “privo d’ispirazione”: penso che se non si comincia a scrivere A, non si possa arrivare a B e poi C. Alla fine è la storia stessa che ti porta a raccontare, rimanere fermi non serve a niente e se si programma tutto dall’inizio ci si priva di un fattore che reputo naturale. Insomma, da La ragazza di Greenville in poi ho capito che potevo azzardarmi a fare leggere quello che scrivevo. E al tempo della prima pubblicazione avevo anche altri romanzi più recenti, già pronti, ma la storia di Crispin, Kevin e Angie significa tanto per me, così come il racconto che ho incluso nell’edizione più recente, Angie, una storia che ho voluto scrivere in ricordo di un’amica. Era qualcosa che le dovevo… non è abbastanza, ma sentivo la violenta esigenza di scriverla.

Nel nome del padre è il più kinghiano dei tuoi romanzi, la protagonista vive una vita vuota finché non incontra un oscuro personaggio portatore di orrore... sei d'accordo?

Anche se non apprezzo appieno King, come per ogni altro appassionato ha rappresentato un’importante tappa nella mia formazione. E poi è praticamente impossibile scrivere un tipo di storia che lui non abbia perlomeno sfiorato. Se vuoi ti dico come presento Nel nome del padre, solitamente… La considero una storia d’amore, che va degenerando durante il suo sviluppo. È quasi tutta raccontata da un punto di vista femminile e sono felice quando le mie lettrici mi dicono di averne azzeccato la psicologia e altri aspetti. Poi la storia si addentra in alcuni drammi personali – e qui salta fuori un qualcosa che mi rendo conto di dovere a David Lynch – fino a sfociare nell’horror più assoluto. A livello cosciente, diciamo, la storia nasce dal mio amore per un certo cinema horror francese e da quello che viene definito “horror rurale”. Di sicuro posso solo dire che se una storia del genere l’avesse scritta King, sarebbe lunga almeno quattro volte tanto. Io preferisco essere un po’ più stringato!

The noise (che ho avuto l'onore di prendere qualche anno fa a Torino comics dove eri ospite con il bravissimo Nicola Genzianella) è una storia dove a differenza del solito virus o fuga di gas, è il rumore a portare morte e distruzione...

Esatto. Come accennavo, si tratta di uno di quei romanzi che considero ottimi dal punto di vista delle idee e dello sviluppo, ma meno per quanto riguarda lo stile, ancora immaturo. Lo spunto da cui sono partito è semplicissimo, essenziale: un rumore che fa impazzire un’alta percentuale di persone: il tutto nasce da un episodio banalissimo, difatti mi apprestavo ad affrontare un breve pisolino pomeridiano (fondamentale prima di una lunga sessione di scrittura!)… ma non mi è stato possibile perché poco distante era stato allestito un cantiere. Questo rumore fastidioso causato dai macchinari ha fatto scattare qualcosa dentro di me, ovvero il consueto meccanismo dell’ispirazione; poi mi capita spesso di imbattermi in innumerevoli forme di inquinamento acustico e il primo istinto è sempre quello di spaccare qualcosa! Diciamo che, con una cornice simile, è possibile raccontare diversi tipi di storie, difatti è quello che accade nella serie: ci sono tre linee narrative principali, ognuna affidata a un disegnatore differente, ma anche racconti più brevi e indipendenti, perché lungo il loro percorso i protagonisti incontrano tanti altri personaggi, ognuno dei quali vive il dramma del Rumore a modo proprio.

Cayton Creed è la storia di uno scrittore dell'orrore che si confronta coi suoi peggiori incubi. Quanto c'è di Pietro in Clayton?

Eh eh, diciamo che c’è soprattutto la mia concezione di scrittura: quello che viene raccontato attraverso i personaggi del romanzo, quando si parla di narrare storie, mi rappresenta. Come ogni scribacchino, sogno di vivere in un luogo isolato, immerso nella natura, circondato soltanto dai miei affetti più cari. Me ne sto rendendo conto soprattutto ora che partecipo a tanti eventi: in un mondo ideale, chi scrive dovrebbe concentrarsi soltanto sulle proprie storie, sul loro sviluppo, chiudendo fuori tutto il resto e le preoccupazioni che ne conseguono. Ma è un’utopia, soprattutto in Italia, dove penso che gli scrittori puri che campano soltanto del mestiere si contino sulle dita di un paio di mani. E allora bando alle amarezze: si scende in campo armati fino ai denti, perché bisogna credere nella bontà di quello che si fa, senza avere la pretesa di sentirsi chissà chi. Sono un appassionato che ha la fortuna di diffondere il proprio lavoro, di avere un pubblico fedele che aspetta una mia nuova pubblicazione, le menate le lascio ad altri, a quelli che se ne stanno sui social a lamentarsi di come le cose non vadano bene, solo perché hanno scritto un qualcosa che credono un capolavoro e ritengono ingiusto non abbia raggiunto un successo immediato e automatico. Io di capolavori non ne scrivo, in compenso c’è tanto mestiere, mi ritengo un artigiano della parola, niente di più. Clayton Creed mi rispecchia, in questo, perché se si legge la storia si percepisce questo amore nei confronti delle storie: cosa si è pronti a sacrificare pur di raccontare ciò che sentiamo l’esigenza di comunicare agli altri? Non esiste una strada facile, in questo campo, c’è da buttarcisi in mezzo con tutte le forze, anche a costo di perdere qualcosa, lungo il percorso. Io faccio questo, il resto lo lascio ai leoni da tastiera.

Hai un aneddoto divertente sulla tua carriera?



Per rispondere a questa domanda ho chiesto suggerimento alla mia compagna, giusto perché la mia memoria non mi aiuta un granché. Mi ha ricordato più che altro di certi incontri avvenuti durante le manifestazioni: ci sono diverse tipologie di personaggi con i quali si incrocia il cammino e se i miei lettori sono degli “esserini” fantastici (come li chiamo io!), gli occasionali non lo sono altrettanto. Per esempio ci sono certi individui che si piazzano davanti allo stand e in pratica leggono a scrocco un fumetto… e se ne vanno facendoti i complimenti! Il bello è che penso siano anche sinceri, ma, semplicemente, non concepiscono il fatto di dovere spendere dei soldi per leggere. Poi una volta mi sono trovato di fronte a un grande assembramento di persone, tutte interessate alla presenza di un “qualcuno” che proprio non riuscivo a immaginare chi fosse. Mi sono sentito stupido, perché in effetti a volte tendo a tagliare fuori il resto del mondo e non curarmi delle novità. Insomma, magari si trattava di un attore famoso, un regista, un musicista… ho avuto la fortuna di incontrarne parecchi, negli anni, e spesso mi hanno lasciato dentro qualcosa, fosse anche solo un bel ricordo… o una semplice fotografia! Alla fine, indagando, sono riuscito a scoprire di chi si trattasse: era uno youtuber o qualcosa del genere, un tizio che, a quanto mi hanno raccontato, frulla diverse sostanze (quindi non soltanto cibo), per poi bersele. Ognuno è libero di vivere la vita come crede e anche di idolatrare chi vuole, ma insomma…

Al di là del divertimento in sé, posso dire che quando mi ritrovo allo stand le soddisfazioni maggiori vengono non solo dai miei lettori fedeli, ma anche quando a scoprirmi è un ragazzo – o una ragazza – giovane. In quel caso sento la grande responsabilità di trasmettere loro la mia passione, la stessa che mi ha portato a fare quello che faccio: spero di portare anche loro a seguire questo magnifico mondo, sia attraverso le mie storie sia consigliando un film, un libro, un fumetto o un disco che per me ha significato qualcosa. La considero la perfetta chiusura di un cerchio immaginario: rivedo me alla loro età, quando tutto è cominciato e rivivo attraverso di loro le prime scintille che hanno acceso questo fuoco. Ecco, posso riassumere tutto quello che faccio a questo modo: se tutto il sudore versato porterà anche soltanto un mio lettore ad appassionarsi sinceramente all’horror in qualsiasi sua declinazione, potrò dire che ne è valsa la pena.


Come vedi in Italia il futuro dell'horror letterario?


Una grossa incognita, perché non è solo il nostro genere ad avere difficoltà. Nella migliore delle ipotesi posso sperare in un qualcosa, probabilmente un fattore esterno o il successo di un autore singolo, che faccia da traino, una versione probabilmente differente dello scenario cui facevo riferimento all’inizio dell’intervista. Ma mi hanno insegnato a lavorare sodo, quindi nel frattempo direi che è meglio curare il proprio orticello e porsi piccoli obiettivi, uno alla volta. Qualcosa di concreto potrebbe accadere attraverso il cinema… se soltanto un regista italiano cominciasse ad avere un seguito degno dei grandi cineasti del passato, potrebbe smuovere certi meccanismi. Chi lo sa, anche uno scrittore potrebbe riuscirci, magari ispirando una serie televisiva. Sono un po’ meno positivo se penso soltanto alla letteratura: non lo so, non riesco a immaginare un King di casa nostra, soprattutto perché penso che per guadagnare consensi dovrebbe scendere a troppi compromessi. Di certo, se non si rischia, non si arriva da nessuna parte. È come dicevo prima, riguardo alla costruzione di una storia: fino a quando si rimane immobili a sperare che arrivi l’ispirazione, non accade nulla. Bisogna muoversi, rischiare, scommetterci fino in fondo. Le cose succedono solo così. E se andrà male, l’importante è non avere lasciato nulla di intentato: di certo, le storie che ho scritto nessuno potrà più cancellarle, anche se a leggerle sono state soltanto alcune migliaia di persone. È questa la mia eredità, ciò per cui spero di essere ricordato. A volte mi rendo conto di avere scelto la strada più difficile, il genere più ostico. E allora? È la mia vita e non saprei come affrontarla diversamente. Come diceva qualcuno, “nessun rimpianto, nessun rimorso”… Per il resto? Horror Rules, come dico sempre. Ciao e grazie a te e a tutti quelli che hanno investito un po’ di tempo per leggere le mie parole!


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