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Il Bastardo – Requiem per un morto – Capitolo sei – Iannozzi Giuseppe

Il Bastardo

Requiem per un morto

Un thriller di Iannozzi Giuseppe

Cap. VI

Il cielo su Torino continua a essere un negro sudario. Nuvole su nuvole annunciano un’imminente tempesta.
Fermo la Renault Laguna al distributore di benzina.
Mi guardo d’attorno, mentre un vecchio sdentato mi fa il pieno. Gli edifici si ergono alti, addossati l’uno all’altro. Le persone sono grigie come i palazzi. Sembra di essere in mezzo a un labirinto di loculi su loculi. Ombre lunghe si proiettano sull’asfalto, mentre un vento impietoso solleva mulinelli di cartacce e polvere. Una città così ti uccide prima nello spirito, poi nel corpo.
Bussa al finestrino con il pugno nodoso, in maniera piuttosto maldestra. Mio malgrado ho un sobbalzo.
Tiro giù il finestrino della Renault e metto i soldi in mano al benzinaio che mi squadra con occhi da jinn.
“Capo, una sigaretta!”
Lo fisso giusto un istante.
“Non fumo, non più”, tossisco.
Lui non sembra convinto. Con l’indice indica sopra il cruscotto della mia auto un pacchetto di Camel. Sarà lì da una vita. E’ ancora intonso.
Apro il pacchetto, tiro fuori un paio di sigarette e gliele passo, poi, ne tiro fuori una per me: al punto cui sono arrivato, con due piedi più di là che di qua, non sarà il fumare a farmi secco.
“Non ho da accedere”, dico.
Il vecchio benzinaio tira fuori un accendino a buon mercato.
“Non si potrebbe fumare, non qui. Ma prima o poi ci finiamo tutti in mezzo a una tragedia non prevista”, fa lui scoppiando a ridere di gusto.
Si mette la Camel fra le labbra, l’accende e mi passa l’accendino: “Tienilo, capo! Ti sarà utile.”
Non replico. Ringrazio con un cenno della testa e accendo la sigaretta.
Il fumo mi brucia subito i polmoni. Mi lacrimano gli occhi.
Saluto con un vago cenno della mano il benzinaio, curvo, nodoso e bianco: per certi versi assomiglia a quel poeta, a Ungaretti, che non si è mai ben capito se fosse fascista o un fiume in piena!

Salgari mi ha rivelato una verità che mai sospettavo, una tragedia non prevista per dirla con le parole del benzinaio. Ho bisogno di riflettere. Chiunque abbia fatto fuori Carla, la pagherà cara. Ho adesso un motivo per resistere in piedi e vendicare la sua morte, un motivo molto più valido e forte di quanto non lo fosse già prima delle rivelazioni sparatemi addosso da Salgari.

Torino non mi piace, oggi più di ieri la detesto questa città che non ha più un’anima buona né per il paradiso né per l’inferno. E’ morta, ma non per questo meno offensiva. Non c’è più legge, si muore peggio che negli anni Settanta, che la videro in mano alle Brigate Rosse.
La città fugge veloce da dietro i finestrini impillaccherati. E’ impestata di brutti ceffi, per non dire poi dei tanti barboni che incespicano ubriachi e mezzo assonnati lungo i marciapiedi allungando la mano. Nessuno presta loro attenzione. Quelli che i soldi ce li hanno tirano dritto, i più guardano i disgraziati caduti in miseria aggiustando sulla faccia tirata una smorfia di disprezzo.

Non ce l’ho una méta precisa, so però che devo cominciare con il recarmi in Ucraina, dove i genitori di Carla incontrarono la morte e non Viktor A. Juščenko come da loro programma.
Tossisco forte, sputo sangue sul cruscotto. Mi dico che è solo la falce della morte che sta facendo il suo sporco lavoro. Mi dico che sarebbe meglio che anch’io mi dessi da fare sul serio. Schiaffo un cd di Jacques Brel nel lettore cd. Il belga attacca con “Ne me quitte pas”, un piagnisteo: non tengo però la forza né la voglia di spegnere. Lascio che l’infinita melanconia di Jacques mi culli mentre do gas alla Renault.

(c) Iannozzi Giuseppe – Tutti i diritti riservati 


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