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Fra Venere, Marte e Vulcano – Antologico con 1 inedito – Poesie di Iannozzi Giuseppe

Fra Venere, Marte e Vulcano

Antologico con 1 inedito

Iannozzi Giuseppe


Vuolsi così colà dove si puote

Non la vidi, sai!, la cosa che tu guardavi,
il nome degli avi miei non portava
Ma le grasse gambe d’un’anatra sul chi vive
con la bocca le abbracciai e le baciai,
figurandomi la faccia triste di Kant,
l’endemica espressione d’un ornitorinco
per ecatombe di vermi e larve d’insetti
a piede libero indagato

C’era in strada quella macumba e quel tango,
m’affascinavano però le vetrine a lutto tirate
fra piumini in saldo e dentifrici per dentiere
Poco ci mancò che in una risata esplodessi
uno a uno contando i bit accesi e spenti,
nel calcolo delle probabilità che un pianoforte
suonasse il suo “la” di dolore in testa a me

Cerchiamo, cerchiamolo il flauto di Mozart
Cerchiamolo, ancora cerchiamolo, così colà,
a naso fra le mille e una chiacchiera di Goethe
e la minor fortuna in “c” d’un requiem di Salieri;
e tentiamo, ritentiamo di Giotto la fortuna,
l’immane precisione d’una mano a forza amputata

Vuolsi così colà dove si puote… e più non dimandare
A naso paion giganti pure certi nani matti e fatti
quando le ombre gliele allunga il sole basso,
chissà se ci hai pensato mai, se ci hai pensato mai!

Nemmeno un ricordo
(severo profilo ebreo)

Di te, nemmeno un ricordo,
o la pelle d’un lupo o d’una volpe,
o un morire dentro ai flutti d’un fiordo;
soltanto la tua lezione di crudeltà
impressa nella labile mia ménte
che mente, oggi come allora. E tutti
i miei “lo so!”, raccogliendo more
tra il verde di mille fasci d’ortiche.

No, di te, di te nemmeno un ricordo
o un po’ di pallido sole a rischiarare
lo sguardo mio, o una lama di luna
a raschiare dal cervello
un po’ di consumata verginità.

No, di te, di te nemmeno una corda
legata al collo: esso, a dispetto di tutto
e tutti, ancor regge il severo profilo ebreo
che conoscevi così poco bene. Ecco tutto.

Fulmine
(Nero Corvo)

Ricordo mio padre
– giovane e bello –
andato
a farsi monaco,
e una volta tornato
ancora umano,
sempre troppo umano,
un fallimento e
un’ossessione di vecchiaia

Saltavo io sulla biciancola
per toccare colla punta della lingua
l’elettricità d’un fulmine,
ma solo cadevo
al suolo
prima che fosse folgorazione
l’Io

Le Suore di Carità ridevano
di me,
baciando un rosario di castità
spezzate
Le io guardavo torvo in viso
e gridavo loro contro
“ecco che arriva il Nero Corvo!”
Ero solo un altro
che, sprezzante,
mordeva sabbia e polvere

Il compagno mio di giochi
la mia Ombra,
sapeva già tutto di tutti,
di Voltaire Schopenhauer Nietzsche
e dell’Erotismo,
e del due di picche anche

Ma quante Sabbie nel Tempo perché capissi
che mai avrei trovato scampo all’Ingegno
delle Stagioni
che passano e più non tornano

E tu ora mi chiedi
se ho voglia di schiacciare quell’Ombra
così tanto simile a una Vedova Nera
E tu ora mi chiedi
se ancora tengo la forza di fare a pugni
E ti io assicuro
che sono matto,
che aspetterò insieme a te
una Nuova Occasione di Redenzione Animale

Al di là di Venere
(al di là di Marte)

Avevo io le mie ragioni,
tu le tue inibizioni
Ti guardavo, ti dicevo scema,
ti sapevo lontana, una gran dama
Ti avevo però nel cuore
e ti disegnavo suprema ambizione;
tu invece per intero mi annegavi
in un fiume di disamore

Ti guardavo, ti dicevo scema,
ti sapevo lontana, una gran dama
Eri donna ormai, eri al di là di Venere,
eri ormai al di là della mia ambizione
più perfetta e scostumata

Eri bella, una statua,
eri la mia sconfitta
perché di marmo avevi il cuore
e io solo potevo sottostare
all’eterno inverno del tuo amore
E io, pazzo, dovevo lasciarmi annegare
nel freddo impeto del biondo tuo fiume

Eri donna ormai, eri al di là di Marte,
eri ormai al di là della mia finzione
più segreta e amata,
perché avevo io le mie stupide ragioni
e tu le tue radicate convinzioni
che l’amore bello solo quando giovani

Prima luce

Come angelo
di nere piume vestito
questa prima luce
prigioniera del mio petto
si accenderà
nell’anima tua
dalla stanchezza
sopraffatta.

Qui per te
e non c’è
una ragione particolare.
Qui per te
e c’è che amo
la nostra bianca piuma
persa nella vastità
della prima luce.

E’ l’Alba oramai,
e bianco si fa il giorno,
e nera sarà la notte;
e sempre un angelo ci sarà
con anima di piuma
per ricordarti
chi eri.
Per insegnarti ancora
chi sono io per te.

Nuotare

Un grande tuffo
nella noia …
profonda noia
questo disquisire
se più profondo
l’uno
o l’altro
o se questo
o quello…
o non so chi
ancora.

Stessa spiaggia,
stesso mare
dove affogare.
Ci si può però
sempre in salvo trarre,
purché s’abbia forza
nelle braccia,
nelle gambe,
nel corpo morto!

Nuotare,
sol questo conta
a questo punto.

Colombe

Le colombe,
sempre,
il cielo prendono nel raggio
della loro apertura alare.

Mai indecisione.

Come uomo, come scimmia

Come uomo che perde
la coda,
come storia che passa
di moda,
così finisce l’amore, quello
che ci pensò grandi.

Fosse stato meno bello!

Come scimmia
legata al suo ramo,
come graffi dopo la prima
vergine barba;
più non serve
amare il desiderio ora,
e il sogno suo specchio.

Troppo grande

Siede accanto la rovina
alla muta sua ragione:
amore troppo grande
per essere compreso
o compresso a voce alta.

All’indietro

Dovresti ascoltarla
questa propaganda
che ti arriva in faccia:
è nudo di donna.

Dovresti venire
ma all’indietro!

Testimonianze

Quando l’Errore consumato
a nulla serve il rimpianto
edificante, seccante

Ammettere gli errori:
confessioni su confezioni
E tante già sono
per il mondo sparse
a far mostra di sé:
aperte testimonianze

In rota

Di illusioni viviamo,
di confessioni ci facciamo
quando in vena o in rota
E allora
che il cielo piova l’azzurro
o il nero, o un vuoto immenso:
per noi, per noi che soli siamo,
nessuna significativa differenza
sapere che il Vivere continua
a dispetto degli affanni,
vivi o morti che siano
[in una svista

Chimera

Nel colore del grano maturo
si perdeva l’infinito sguardo
degl’occhi tuoi blu di cielo;
e dentro, tutti i sogni d’una chimera
che ti seduceva con vane parole d’oro
… naufragate nella luce del sole.

Amore gitano

Come maschera lunare
l’incanto e il suo pallore sento,
mentre scuro mi faccio in volto
e nascosto rimango al vento
che su me punta il suo fiato.

Come agnello sacrificale
solo aspetto il mio momento
per vivere fuggire o morire:
sarà lo stesso, sarà rock’n’roll,
o il bacio d’una sconosciuta
da sempre amata.

S’insinua negl’occhi tuoi il dolore
e un amore gitano; sulla tua bocca
il fiore più bello di Monnalisa
e tutto il languido suo mistero.

S’insinua nei vuoti miei una religione
che è luce in cielo e fuochi d’artificio;
e dalla bocca mia solo potrai ascoltare
quanto e quanto tutto questo ci fa amare.

Le donne e i giorni

Ascoltami adesso che ho un pianto
che non vuol venire. Ascoltami
adesso: non ho niente di particolare
da dirti, sol ho un canto d’osteria
che il cuore spinge a ubriacarsi
d’un po’ di malinconia, di rosso vino.
Trascorrono le donne come i giorni
e da sopportare si fa più dura
ogni alba nuova. Così, sol ti chiedo
di ascoltarmi adesso che non ho niente
di particolare: continua il vento a stormire
e io a cantare fino a quando si fa l’ora
di dormire. Ascoltami, ascoltami adesso
che viver so, sempre tirando a sorridere,
perché sarà tardi poi anche per morire.


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