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L’osceno Dorian Gray

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L’osceno Dorian Gray

Una nuova vita per morire

Iannozzi Giuseppe

Le note di “Get Your Filthy Hands off my Desert” ristagnavano ancora nel cranio di Dorian: “Brezhnev took Afghanistan/  Begin took Beirut/ Galtieri took the Union Jack/ And Maggie over lunch one day took a cruiser with all hands/ apparently to make him give it back.”
Si tastò debolmente la tempia destra là dove la placca metallica gli era stata inserita dopo l’incidente. Avevano fatto un gran bel lavoro; dopo l’intervento neurochirurgico, su di lui gli effetti delle droghe non avevano alcun effetto tossico. Poteva assumere alcol e droghe, contemporaneamente, con disinvoltura – cocktails che avrebbero mandato in pappa il cervello a qualsiasi jack-off ; il suo sistema nervoso era ormai immune a qualsiasi effetto collaterale. Forse, solo una debole indefinita eco era l’unica noia da sopportare. Quando si era reso conto d’esser in grado di assorbire i veleni, pensò subito che la sua vita non sarebbe stata più la stessa: si era quasi spaventato, perché, ormai, non ci sarebbe stata droga capace di lenire il mal de vivre. Ma presto si era dovuto ricredere: quello che aveva ritenuto essere un handicap si era in realtà rivelato una virtù che gli aveva aperto spazi cognitivi inaccessibili ai comuni mortali. La vita del santo protolitico non gli era mai sembrata conveniente: invecchiare tutta la vita, raggiungere l’Atman, e forse il Nirvana, per poi finire sotto due metri di terra, che patetico schifo! Lui era un fottuto Melmoth, un’anima ubriaca di vizi e peccati, e vedeva oltre senza la necessità di una qualsiasi santità: era bastato che un proiettile vagante gli trapanasse il cranio, un intervento al cervello e a trenta anni comprendeva cose che neanche un Cristo del Secondo Avvento avrebbe saputo profetizzare.
Lasciò che Roger Waters inebriasse l’aria con le sue note.
“Non hai classe!” Un rimprovero che ricordava bene e che, per lui, aveva solamente significato nullo. Un tempo si sarebbe consumato in lacrime e poesie, ma oggi era tutto molto diverso: non provava più sentimenti, era oltre l’Amore e l’Odio. Si passò una mano sul mento rugginoso di barba: alle volte aveva l’impressione di non essere più un figlio di Adamo ed Eva o di Dio, bensì un essere superiore, un ammasso di carne con un’anima meccanica. L’Amore e l’Odio, per lui, non avevano alcun significato; e neanche l’indifferenza era degna di nota: simili sentimenti potevano andar bene per gli umani, ma a lui, a lui non servivano perché aveva scoperto che oltre l’Amore, oltre l’Odio, oltre l’Indifferenza, oltre la Santità, esiste una forza ben più grande…

La foto di quella che un tempo era stata sua moglie sembrava volesse rimproverarlo: prese la cornice, la spogliò della foto e ripose la cornice vuota al suo posto. Il CD continuava a girare nell’impianto hi-fi. Teneva la foto fra le mani: un tempo l’avrebbe bruciata o stracciata con crepore, illudendosi d’aver fra le mani la carne di lei, oggi invece la sua vita non aveva bisogno di simili sentimenti. Mantenne la foto fra le mani: neanche più sapeva a chi appartenesse realmente quell’immagine se non molto vagamente. Lasciò che cadesse in un cestino di vimini dove mille altre foto stavano lì, dimenticate.

* * *

Il videofono si accese: riconobbe Daisy. “Ciao Dorian.”
“Sali pure, Darling. La mia porta non ha serramenti!”, ordinò meccanicamente mentre andava a prepararsi un cocktail al piano bar.
Daisy si passò le mani fra i capelli rossi: ‘Dovrei farmi la permanente, Cristo! Mai che abbia un aspetto decente. E quello stronzo di Dorian manco mi degna di uno sguardo: non gli passa per la testa che voglio la sua attenzione.’
L’elevatore cigolava: sul display i numeri dei piani fuggivano: ‘Sto invecchiando: è questa la verità.’

Trovò la porta aperta, come sempre del resto: Dorian gli dava le spalle. Non un saluto. Uguale a sempre, Dorian non si scomponeva mai incontrandolo: lo accoglieva a qualsiasi ora, accoglieva tutti così, amici e nemici. Spostò lo sguardo sul videofono: “Non mi hai neanche guardato in video, ne sono certo!”, biascicò sicuro che non avrebbe ottenuto risposta.
Dorian si voltò: in mano teneva un cratere di cristallo pieno di una qualche droga rossa come il sangue. Il liquido brillava sotto la luce artificiale che si rifletteva sulla superficie debolmente agitata dal sapiente movimento del polso di Dorian: “Darling, l’immagine è uguale al sangue nelle vene: una droga! Dio, non mi puoi chiedere d’esser un vampiro per soddisfare la tua fregola narcisistica.”
Daisy gli rispose con un cachinno, incedendo verso di lui: negli occhi gli si leggeva rabbia e amore. Dorian detestava che la gente riflettesse le proprie emozioni negli occhi: era sua opinione che era cosa da barbari manifestare i sentimenti – era un comportamento assai poco artistico. Della sua umanità di un tempo solo un sentimento conservava: l’odio di riconoscere i sentimenti altrui, una noiosa eco che si era ripromesso di debellare, in un modo o nell’altro, entro il più breve tempo possibile. Daisy conosceva il suo tallone d’Achille, ma non faceva nulla per contenersi, anzi enfatizzava tutta la sua personalità animale. ‘Se solo potesse vedersi dall’esterno com’è ridicolo, la pianterebbe di fare la puttana offesa!’, pensò. Intanto la mano di Daisy era scivolata sulla patta dei pantaloni: la mano stringeva, e Dorian non manifestava alcuna passione orgasmica. Sentì che la bocca dell’amante gliel’aveva preso in bocca: “Non riesco a provare neanche disgusto, Darling! Se non mi sai scopare con Arte, allora possa tu essere – almeno per te stesso – animale a quattro zampe. Però, la bellezza non è questa.”
“Cos’è la bellezza?”, gli urlò addosso Daisy umiliato, incapace di guardarlo dritto negli occhi.
Dorian gli carezzò il capo impastato della droga che aveva lasciato scivolare deliberatamente sulla testa del sexfiend.
“Se ti spaccassi la testa per usare il tuo cervello come colore principale per una mia tela – Dio! -,  sono sicuro che produrrei uno scherzo e null’altro. Questi effetti splatterosi non interessano la mia mano d’artista.”
Lacrime di dolore scesero lungo le gote di Daisy che stava in ginocchio ai piedi dell’amante: “Tu non provi niente, niente. Neanche Indifferenza!” Tirò sù col naso: “E non ti si può odiare. Sei sincero in ogni cosa che non fai”, piagnucolò.
“E’ Arte, Darling. Se anche tu comprendessi il miracolo dell’Arte come me, allora saresti capace di amarmi, ed io, forse, ti ricambierei: ti farei dono della mia anima. Daisy, sei una tristezza per te stesso. Anche a quattro zampe, solo una tristezza per te stesso.” E finì di rovesciare il cocktail sul capo dell’amante.
“Disprezzami!”, urlò Daisy in preda a una crisi isterica.
Dorian lo fissò. Il suo sguardo inquadrò solo una cosa a terra a quattro zampe.
“Disprezzami! Disprezzami! Disprezzami, trattami come una puttana! Lascia che sia la tua inutile macchina!”, urlò più volte.
Le note di “Welcome to the Machine” vestivano l’anima di Daisy e la sua angoscia crebbe e passò dall’isteria alla pura disperazione: si accucciò a terra in posizione fetale devastato da mille lacrime e singhiozzi.
“Welcome my son, welcome to the machine/ Where have you been?/ It’s alright we know where you’ve been/ You’ve been in the pipeline, filling in time/ Provided with toys and ‘Scouting for Boys’/ You brought a guitar to punish your ma/ You didn’t like school, you know you’re nobody’s fool/ So welcome to the machine/ Welcome my son, welcome to the machine/ What did you dream?”
Dorian gli si avvicinò: gli tirò giù i pantaloni e lo penetrò, meccanicamente. Uscì dal suo corpo subito. “Ti ho amato come volevi. Anche io provo pietà per una macchina!”
Daisy rimase accucciato nella sua posizione fetale con le gambe scoperte, i pantaloni raccolti poco sopra le ginocchia. Non piangeva più. “Quella che tu chiami pietà è stata solo una…”, non riusciva a parlare.
“Una secrezione, vuoi dire? No, non credo: non sono un animale meccanico come te! Daisy, sei grezzo: tu non capisci. Ragioni col cuore, ma meccanicamente. Questo è il tuo problema.”
Fu tutto.
Dorian si ritirò nel suo atelier, lasciando Daisy immerso nel suo dolore.

* * *

Le bioschede stavano tutte ben ordinate nelle loro cellette: ne prese una a caso e se l’innestò nella presa input poco al di sotto della tempia destra.
Era la sua prima tela, quella che aveva dipinto subito dopo l’incidente.
Un buon lavoro.
La prima mostra era stata un autentico fallimento, i critici non l’avevano neanche considerato un artista; solo un giornalista di un quotidiano locale si era scomodato di scrivere un paio di righe velenose: “…presentato come una delle nuove leve dell’arte moderna, Gray ci ha dato un assaggio antiartistico dell’Arte. E’ incredibile che al giorno d’oggi sia ancora permesso ai sedicenti artisti danarosi di esporre in gallerie famose…”
Poi una pallottola gli aveva forato la scatola cranica: era rimasto sospeso fra la vita e la morte per due mesi e quando si era risvegliato, il neurochirurgo, un ometto calvo – la cattiva riproduzione di un Freud redivivo – l’aveva salutato con un ghigno scimmiesco gridando ‘al miracolo’.
La sua seconda mostra scandalizzò e affascinò mezzo mondo: nel giro di poche settimane era diventato l’artista più quotato in Borsa e le sue bioschede avevano venduto milioni di copie, creando notevole indivia nei circoli artistici, che non potevano fare a meno di lodare e rispettare la sua arte esternando odio seppur con rispetto.
Dorian evitava i circoli artistici: il loro odio, la loro ammirazione, erano sentimenti bruti che non lo interessavano. La sua mèta era la perfezione artistica: aveva creato migliaia di bioschede e tutte di discreto valore, ma nessuna era ancora perfetta. Il suo senso critico gli suggeriva che avrebbe fatto bene a distruggerle per poi ritirare dal mercato tutto quanto aveva venduto sino a quel momento. Tuttavia era ancora indeciso: aveva bisogno di danaro per corrompere i suoi modelli e convincerli così a posare per lui. I modelli volevano essere pagati in contanti: viscidi e senza talento si credevano parte integrante dell’Arte che lui, Dorian, creava. Molti erano morti posando per lui: le Agenzie di Moda non passava giorno che non gli chiedessero indennizzi in valuta pregiata. Solo per questo non ritirava dal mercato le sue opere.
Daisy con il trucco sfatto entrò nell’atelier.
“Credevo che te ne fossi andato.”
Silenzio.
“Sono il tuo Modello”, dichiarò Bosie.
“Hai già posato per me, troppe volte: non sei quello che cerco.”
“Lasciami provare, ancora una volta.”
Dorian sorrise: “Sei l’unico Modello che non sia ancora morto fra le mie mani: hai posato per me non so quante volte. Un altro, al tuo posto, sarebbe già morto ma tu sei diverso: non mi dai arte, pretendi però di darmi amore.”
Daisy Bosie si spogliò con professionalità: “Vuoi Arte dal mio corpo? L’avrai.”
Era una sfida.
Dorian sorrise suo malgrado. “Quand’è così, proviamo di nuovo. Se mi muori, non sperare che pianga per te.”
Bosie non disse nulla. Lasciò che Dorian si interfacciasse alla sua anima. L’Erma fu collegata alla scatola cranica di Daisy. Sul monitor poteva vedere il diagramma della sua anima. Dorian scosse il capo: “E’ una perdita di tempo.”
“Lo so”, biascicò Daisy. “Tu provaci comunque.”
Respirò a pieni polmoni: sapeva che questa volta ci sarebbe rimasto secco, e non gli importava, o se non altro tentava di fingere che non gli importasse granché della sua vita. ‘Per Dorian questo e altro.’, pensò. Nessun Modello può sopportare l’interfacciamento con l’Erma più di un tot di volte e lui quel tot l’aveva già bruciato da tempo.
“Pensa all’incidente!”, disse con un filo di voce prima che l’Erma assorbisse completamente l’attività elettrica del cervello.
Dorian aveva immagazzinato l’anima di Bosie nell’Erma e stava trasmettendo i dati alla tela elettronica.
‘Pensare all’incidente’, pensò mentre scaricava i dati sulla tela. ‘Cosa intendeva dire?’

* * *

Basilio uscì disgustato dal teatro: non fosse stato per la sua compagna, mai ci avrebbe messo piede. Per tutta la durata dello spettacolo i suoi pensieri erano stati dedicati alle Borsa e alle loro quotazioni.
Fuori l’aria era fresca: la donna che lo accompagnava aveva dipinta una smorfia di disgusto dentro all’ovale del viso.
Fasciata nel suo abito di latex, scendeva con gran fretta i gradini del teatro: “Non hai un briciolo di cuore!”
Basilio la cinse a sé: “Sono solo interessato ad altre cose. Non è però detto che con il tempo non riesca a imparare ad amare l’Arte.”
“Tu ami solo i soldi che quella che tu chiami Arte produce per te.”
“Potrebbe essere vero: ma devi riconoscere, My Little Sparrow, che in questo ho gusto. Non sbaglio mai: ogni artista che metto sul mercato è un vero artista, quindi anche io ho un cuore.”
La donna sorrise accondiscendente: “E’ vero. Ma ti preferisco a letto.”
Entrambi risero di gusto.
L’omeoveicolo aprì le portiere al comando vocale di Basilio. “Dettate la vostra destinazione, Signore”, grugnì la voce campionata della macchina.
“21, avenue, zona 7, accesso VIP. Collegami con Gray.”
L’omeoveicolo si immise nel traffico aereo seguendo le indicazioni.
“Marilyn, una volta tu eri la donna di Dorian: com’era stare con lui prima dell’incidente?” Non era una domanda, era un ordine.
Marilyn ingollò un bolo di rabbia, poi rispose: “Noioso.”
“E adesso come sarebbe esser ancora la sua donna?”
“Noioso.”
Basilio si pettinò compiaciuto, con le dita, il glabro pizzetto: “Capisco.”
“Il collegamento con Mister Gray non è possibile: la linea è isolata”, gracchiò la voce campionata dell’omeoveicolo.
“Gli faremo una sorpresa”, si limitò a dire Basilio rivolto alla compagna.

Dorian accolse i suoi ospiti con un abbraccio, la qual cosa destò subito sconcerto negli animi di Basilio e di Marilyn. Dorian, dopo l’incidente, aveva detto “no” a qualsiasi manifestazione sentimentale fosse essa spontanea o artificiale, era quindi ben strano che il Dorian che loro conoscevano si sprecasse in un gesto tanto umano. Basilio prese a tirarsi con la punta delle dita la barba sul mento, pensieroso: le sue nari potevano percepire uno strano odore di incenso. Diede un’occhiata attorno con circospezione: faceva più caldo del solito, ma ciò non era dovuto alla regolazione dei termonucleosifoni, piuttosto era come se uno spirito alieno avesse invaso lo spazio circostante con il suo calore, un calore angelico e demoniaco. Anche Marilyn era confusa: Dorian la fissava con lascivia, un sentimento che non aveva più provato da tanto, tanto tempo e non solo nei suoi confronti; adesso, invece, Dorian pareva che godesse della sua immagine. Gli occhi di Dorian erano febbricitanti e fissavano proprio lei, lei avvolta nel suo abito di latex. Un cachinno appena accennato era disegnato sulle labbra di lui abituato a mostrar null’altro che freddezza nei confronti del prossimo. Dopo tanto tempo, Marilyn si sentì avvampare di vergogna e compiacimento: chiunque la stesse fissando non era di certo Dorian, non quello che conosceva e che aveva imparato a detestare.
“Una visita inaspettata quanto gradevole. Non tutti i giorni il cielo porta gli amici a condividere lo stesso tetto. Bisogna festeggiare!”
‘La sua voce, mon Dieu! E’ così genuinamente affettata. Dev’esser successo qualcosa.’, pensò Basilio, mentre raccoglieva una sigaretta oppiata che gentilmente Mr. Gray stava offrendo a lui e a Marilyn.
“Amici miei, scusate se l’accoglienza non è delle migliori, non ho purtroppo avuto modo di prepararvi niente di meglio. Sono un pessimo padrone di casa. Tuttavia spero che la conversazione possa render l’ambiente più caloroso di quanto non lo sia ora.” E giù un inchino.
A questo punto Basilio era certo del fatto che qualcosa di incredibile doveva aver minato il cervello di Dorian.
Il fumo delle sigarette oppiate si mischiò presto all’intenso odore di incenso fino a stordire Basilio, il quale era abituato a consumare droghe ben più pesanti dell’oppio; ma al critico d’arte poco o nulla interessava saper la vera natura della droga. Mezzo intontito cercò lo sguardo di Marilyn che era intontita quanto lui se non di più.
“Dorian, cosa ti è successo?”
Dorian sorrise accavallando le gambe: la poltrona sembrava quasi che ingoiasse il suo corpo morbidamente adagiato su di essa. Aspirò un paio di boccate dalla sigaretta che reggeva delicatamente fra le dita quasi fosse una delicata farfalla, poi esplose in una risata cristallina lisciandosi i capelli con la mano libera, con fare civettuolo. E prese a declamare una poesia:

Un olore di ghiaccio,
nei suoi occhi di cristallo
sprofonda in una nebbia di oppio

L’ultima verità, il suo doppio:
riflesso nello stagno morto

Ancora un ultimo abbraccio
grida l’amante ubriaca da sballo:
tradito, cravatta un cappio

L’ultima bugia, il suo scoppio:
eco nell’infinito di spontaneo aborto

Marilyn aveva le lagrime agli occhi. Quello non era Dorian; e anche ammesso che fosse realmente Mr. Gray era un uomo diverso, un uomo che una donna non poteva non amare. Un nodo alla gola non le permetteva di gridargli addosso il suo amore. L’uomo che stava lì a conversare con loro era raffinato, delicato nell’anima e nella carne. Pareva quasi che Mr. Gray riuscisse a vivere contemporaneamente due nature, mortalità ed immortalità in un perfetto assemblage.
“Amore, questa è la risposta.”
Basilio prese a tossire violentemente. ‘Amore’ aveva detto Gray. Non era possibile.
“Amore!”, ripeté Dorian con un debole sorriso, quasi offeso, notando che gli amici lì convenuti lo guatavano con sospetto. Basilio non gli credeva. Eppure come poteva smentire la sincerità dell’uomo che gli stava davanti? Come poteva metter a nudo la sua ipocrisia? Ah, non c’era verso! Avrebbe tentato, ma già sapeva che avrebbe fallito.
“Dorian, amico mio, quasi non ti riconosco”, subito lo accusò Basilio, cercando di guardare negli occhi l’uomo. ‘Che sia sincero o meno, non è più il Dorian che conoscevo, che ho imparato a stimare come artista. E’ diventato artista per coincidenza: un’operazione al cervello e una perfetta nullità mi diventa l’Artista più quotato al mondo. Anche se dimostrassi che è solo un ipocrita, non otterrei comunque nulla.’, pensò Basilio, attendendo la risposta di Mr. Gray, una risposta che non l’avrebbe soddisfatto, ne era certo. Era sufficiente che guardasse dentro agli occhi di Marilyn per rendersi conto che l’aveva persa, che era tutta invaghita di quell’uomo che stava loro davanti; a nulla sarebbe valso dimostrare che era un ipocrita. ‘A metter a nudo la sua ipocrisia ne uscirei comunque sconfitto: il mondo ama gli ipocriti. E Marilyn mi ha amato per la mia ipocrisia. Quella di questo Dorian è un’ipocrisia artistica che io non posso vincere. E forse nessuno la può contrastare. Qualunque cosa gli sia accaduta, per me volge al peggio.’
“E perché mai?” Dorian si alzò dalla sua poltrona mostrandosi in tutta la sua statura morale: “Condition de l’homme: incostance, ennui, inquiétude”, citò Dorian. “Se non erro così ebbe a dire Pascal: non sbagliava. Ed io me ne sono reso conto forse troppo tardi, ma non così tardi da non poter più porre riparo all’incoscienza di ieri. Amico, la vita è meravigliosa nonostante l’incostanza, la noia e l’inquietudine quando la si traduce in arte.”
Basilio sbiancò: la sigaretta gli era caduta dalle labbra. “An artist is someone who produces things that people don’t need to have but that he – for some reason – thinks it would be a good idea to give them”, citò a sua volta Basilio, ripetendo quella che un tempo era stata una delle massime preferite da Dorian. “Hai dunque dimenticato tutto? Warhol non significa più nulla per te?” Respirò profondamente: la gola gli era secca, ma doveva fare almeno un tentativo, doveva cercare di smascherarlo, anche se sapeva che a nulla sarebbe servito. “Tu sei uno che produce cose di cui la gente non ha bisogno, un Artista che per qualche ragione misteriosa pensa sia una buona idea produrre Arte per la Massa.”
Dorian sembrò divertito dalla reprimenda approntata dell’amico. Si appostò dietro a Marilyn accomodata sul divano, e prese a blandirle delicatamente i cernecchi, sospirando e annusando la fragranza di lei.
“Basilio, amico mio, tu non capisci. L’Arte è qui in questo momento, mentre io accarezzo il suo morbido corpo con la mia anima. Sai cosa diceva Nietzsche?”
Basilio scosse il capo, tergendosi la fronte madida di sudore.
“Was is der Affe für den Menschen? Ein Gelächter oder eine schmerzliche Scham.”
Silenzio.
“Un ghigno e una dolorosa vergogna: no, non l’accetto. Non posso permettere che io, uomo, sia la derisione di una scimmia vergognosa incapace di mostrar amore”, continuò Dorian con le gote infiammate di rabbia.
Marilyn non poteva più negare l’evidenza: chiunque, o qualunque cosa, avesse preso possesso del corpo di Dorian, lei sentiva che non poteva non amarlo. Le dita dell’uomo giocavano coi suoi capelli. “Per troppo tempo sono rimasto morto nella mia prigione artistica illudendomi di vivere”, tenne a specificare, e nel frattempo si era già portato di fronte alla donna.
Marilyn avrebbe voluto dir qualcosa, ma non una parola era libera di uscire dalla sua ugola; e gli occhi dell’uomo l’avevano già fatta sua.
“Oh, Tu, Marilyn Monroe con l’ultima preghiera preprandiale fra le labbra tinte di viva morte… Tu, Arte, dammi l’ultimo bacio con la gonna al vento!”, ordinò l’uomo. E lei, Marilyn, accolse la sua preghiera baciandolo con un trasporto umano che mai avrebbe creduto possibile nutrire sinceramente o anche solo recitare.
Basilio cadde in ginocchio: ecco l’amara sconfitta.
Rimase prostrato a terra per qualche minuto, incapace di formulare un qualsiasi pensiero: poi, stanco di sé, si rialzò intenzionato ad andarsene. Che gli amanti consumassero pure il loro amore. Lui non poteva far più niente perché il destino fosse diverso. All’improvviso qualcosa attirò la sua attenzione: la porta dell’atelier di Mr. Gray era aperta. S’intrufolò dentro e l’orrore si dipinse sul suo volto. Su due lettini giacevano i corpi di Dorian e di Bosie con le Erme ancora caricate sulle teste. Si avvicinò con circospezione a quelli che parevano due simulacri morti. Non c’era ombra di dubbio che fossero morti. Si avvicinò al corpo di Dorian estraendo l’Erma che gli fasciava il capo. E l’estrasse totalmente. Il terrore fu tanto acuto da produrgli una fitta di dolore al centro del petto.
Ecco la crudele verità: il suo destino era segnato. Non c’erano vie di fuga. Ora sapeva la verità!
Annaspando, cercando di inglobare un po’ di ossigeno nei polmoni, si avvicinò al lettino dove il corpo esanime di Bosie ancora vestiva l’Erma: se solo avesse avuto la forza di non morire proprio in quell’istante, forse avrebbe smascherato quell’uomo che diceva di chiamarsi Dorian. Destino però non volle che Basilio parlasse; nel petto gli si produsse un’altra fitta atroce, e lui rimase a terra sposato al mistero della morte.

* * *

Dorian si aggiustò un asciugamano intorno alla vita, poi diede un bacio sulla tempia della donna addormentata nuda sul pavimento e si diresse con passo deciso verso l’atelier. Trovando il corpo esanime di Basilio, non ne rimase sconcertato.
Guardò il cadavere di Dorian mutilato del capo: là dove doveva esserci la testa c’era solo un’Ombra Cerebrale, una OC.
Con delicatezza sfilò via l’Erma dal corpo di Bosie: “Darling, tenero amico, sei morto per produrre l’Amore. Ma l’amore è morte. Tu stesso sparandomi quel giorno con tutta la tua velenosa gelosia me l’hai confermato. Amico che giaci nella silenzio della morte, tu credi di avermi fatto dono dell’Amore, ma solo mi hai reso detestabile ai miei occhi. Ora riesco ad amare. Ma cos’è l’Amore se non un Ombra Celebrale, un vuoto che noi mortali chiamiamo cuore? Ah, gli Artisti, tutti falsi! Non si può essere Amanti e Artisti in un’unica soluzione temporale. E io rappresento sol più la tragica morte dell’Arte. E il cadavere dell’Arte è in me, io sono quel cadavere, Darling. Ma è un segreto. Lasciamo che tutto questo rimanga inter nos. Ti va?” Sorrise guatando il corpo esanime di Bosie: la sua vena lirica si era estinta.
Marilyn era sull’uscio della porta: la voce di Dorian l’aveva svegliata, quella voce così impastata di dolore e amore l’aveva trascinata nella realtà. Sospettosa di quella realtà, doveva saperne di più.
Il corpo di Dorian copriva parzialmente il crudele spettacolo che l’atelier conteneva; tuttavia molto si poteva intuire, e ciò che non era intuibile poteva essere benissimo immaginato.
Un singulto.
Dorian si chinò sull’ombra cerebrale di Bosie e lo baciò là dove un tempo era naturale la bocca del Modello.
Adesso Marylin era proprio davanti a Dorian: il suo corpo nudo era scosso da un tremito nervoso, la pelle d’alabastro era percorsa da brividi freddi, e le labbra esangui, indarno, cercavano di articolare una qualsiasi domanda.
“Sei bella, Marilyn”, disse Dorian guardando la donna negli occhi. “Bella come sempre.”
Marilyn cadde in ginocchio con le gote rigate da lacrime di dolore.
“Oh, ma tu piangi?” Dorian si avvicinò a lei reggendole teneramente il mento.
“Tu… men.. ti…”, riuscì a dire in un sussurro lei.
“Mentire?” Allargò le braccia in un gesto plateale. “Mentire, perché mai?”
Una cascata di biondi capelli le coprì il volto.
“Trovo che siano orribili queste permanenti mutanti, davvero di pessimo gusto. Un’ora fa eri bruna come la Maddalena del Peccato, mentre ti amavo eri rossa come le fiamme dell’Inferno ed ora sei bionda come un Angelo. Dio, questa non è Arte!”, si lamentò Dorian quasi commosso dall’irritazione che provava nei confronti della donna. “Sei bella, mia cara, però non sei la perfezione.”
“Bastardo!”
Dorian non fece una piega. “Non mi aspettavo altro da te.”
“Non mi hai mai amata, non hai mai amato nessuno tranne te stesso.”
Dorian le sorrise genuinamente malevolo: “La natura umana non andrebbe mai contrastata. E’ questa la verità.”
“Era proprio necessario?” Le lacrime continuavano a scendere copiose lungo le sue gote, scivolavano poi timidamente sui seni e là rimanevano come gocce di rugiada violentante dal terrore nutrito in petto – sarcofago di un cuore impazzito, battiti lanciati a mille all’ora.
“Era necessario”, fu la risposta secca. “La vita è un campo di battaglia, il teatro la tomba che raccoglie le passioni umane”, aggiunse con dolcezza affettata.
“Sei un essere mostruoso. Non sai far altro che… “ Il singhiozzo era troppo violento perché riuscisse ad esprimere tutto il suo disgusto.
“Io non sono quello che pensi. Non lo sono mai stato.” Levò lo sguardo dalla donna accucciata ai suoi piedi.
“Guarda Bosie che fine ha fatto!”, ordinò a Marilyn, ma lei non alzò lo sguardo. “Come meglio credi. Non è la tua testimonianza che renderà tutto ciò meno vero.” Con una mano sfiorò il corpo di Dorian. “E che dire di Dorian? Era innamorato di sé stesso, della sua freddezza. Entrambi sbagliavano. Sì, entrambi. Dorian sapeva della colpa di Bosie e non aspettava altro che questi la confessasse per mutarla in Arte. E ci è riuscito sin troppo bene: si è autodistrutto. Ecco come sono nato: io sono il vero Dorian, quello nato dall’Arte della Gelosia di Bosie e dalla freddezza meccanica di Dorian. Io sono l’Arte: è quello che Bosie voleva, che avrebbe desiderato che io fossi per riuscire ad amarmi. Peccato che abbia dovuto sacrificare sé stesso per darmi questa nuova vita. Un gran peccato.” Scoppiò in una risata ebbra, innaturale. “Solo io posso comprendere il dolore che ora provo: l’Amore è solo Morte, o Arte se preferisci.”
Marilyn non disse nulla: era rimasta ad ascoltare la confessione di Dorian, lasciando che le lacrime scendessero copiose dai suoi occhi meccanici. Credeva, sbagliandosi, che non avrebbe mai più pianto, non dopo l’operazione che le aveva donato due magnifici occhi eclettici in grado di assumere le più moderne sfumature di colore in voga. Eppure – fatto inspiegabile – Marilyn piangeva lacrime salse, o solo credeva di piangere. Comunque stessero le cose, il suo cuore era ancora il suo cuore e non poteva davvero evitare che i suoi occhi eclettici piangessero il dolore che provava.
“E poi Basilio. Ridicolo! Ti ho strappata a lui, tu credi questo? No, My Little Sparrow. Tu mi sei sempre appartenuta.”
Marilyn gli mollò un ceffone. Dorian non si era accorto che la donna era riuscita ad alzarsi e che si era portata proprio davanti a lui.
“Un schiaffo dato davvero con arte, My Little Sparrow!” Si tastò la guancia e contraccambiò il colpo: la donna – basita – cadde, sprimacciando il suo bel volto contro la durezza del pavimento.
Con rabbia: “Credi davvero che io abbia voluto tutto questo. Lo credi davvero? Io, a mio modo, ero un essere perfetto: non provavo sentimenti, né amore né odio. Ma Bosie ha insistito ed è morto per me, per cancellare la sua colpa d’avermi fatto un dono che andava ben oltre il patetico sentimento dell’Indifferenza. Non era quello che volevo: ero un Artista e adesso sono solamente Arte… un prodotto, un prodotto, un prodotto e null’altro. Un prodotto non produce una nuova opera d’Arte: sono costretto in questo corpo che è il mio dolore. Sono Dorian ed è come se non lo fossi. E nutro sospetto che mai io sia stato Dorian, né prima dell’incidente, né dopo, né adesso. Allora chi sono?”
Silenzio.
“Chi sono per l’Amor di Dio, rispondimi Marilyn?”, berciò Dorian affondando il volto nell’Ombra Cerebrale di quello che un tempo fu Dorian o chi per esso. “Chi sono?”, continuò a berciare livido di rabbia. “Io, chi sono?”
Marilyn era ancora frastornata. Di quanto aveva confessato Dorian, lei aveva inteso poco o niente. La testa le rombava come se fosse stata sostituita da un favo di api, e tutto l’intorno era un film al rallentatore tragico quanto comico che si svolgeva davanti ai suoi occhi eclettici. Scostò un cernecchio ribelle, blu. ‘Dio mio! E’ il blu. Il Blu. Il Blues, è la Tristezza?!’, pensò.
Dorian riemerse dall’Ombra Cerebrale dove aveva affogato il volto.
Un terrore cieco si disegnò negli occhi di Marilyn: “Che cosa vuoi fare?”, biascicò. Prima che avesse modo di rendersi conto delle effettive intenzioni di Dorian, questi gli era già addosso.

* * *

Basilio sorrideva all’amico Dorian: non era stato difficile ottenere un Credito Vitale dalla Banca per la Vita. Ovviamente non era più lo stesso Basilio, gli era stata impiantata una personalità di recupero il cui backup era stato fatto dieci anni prima. In ogni modo era questa condizione migliore che non la morte eterna; meglio perder dieci anni di ricordi ed esperienze ed aver ancora una vita di recupero da spendere day after day piuttosto che il negro niente della morte.
Dorian amava quel Basilio, per così dire, grezzo: Basilio, il critico d’arte, non aveva ancora inquadrato l’opera pittorica di Dorian, non aveva ancora una sua opinione in merito, se non una appena abbozzata.
Dorian era felice: la sua vita come Artista poteva ricominciare daccapo con Basilio che solo attendeva d’esser istruito. E lui, Dorian, non aspettava altro: insegnare al rinato Basilio ogni cosa sull’Arte e sull’Artista. Certo, Dorian si rendeva conto d’esser stato ridotto ad un prodotto artistico, però questo fatto oramai non gli pesava più di tanto, non ora che Basilio non lo sapeva: avrebbe prodotto copie su copie di sé stesso spacciandosi per Artista. E Basilio non avrebbe detto nulla.
Ah, la vita può essere davvero strana… incerta. Il suo dolore l’avrebbe nascosto a tutti, a ogni costo. E non dubitava che ci sarebbe riuscito in maniera più che egregia: era già sulla buona strada, se ne rendeva conto a ogni nuova battuta che vomitava addosso al critico d’arte Basilio.
“Mio caro amico, un altro sigaro?”
Basilio accettò di buon grado il sigaro offertogli dall’amico: “Alle volte ho come l’impressione di aver vissuto già tutto questo…”
“Sai che non è possibile! Hai battuto il capo, eri ubriaco ieri sera. Non fosse stato per il morbido corpo di Marilyn, che ha attenuato la tua caduta, a quest’ora avresti il cranio rotto e io piangerei sulla tua tomba. Il generoso Fato ha però voluto che cadessi proprio su di lei…” Un ghigno crudele si disegnò sul suo volto: “Il suo seno ha raccolto il tuo capo. Sai bene come sono le donne! Sono così soffici con le loro protesi di silicone: la tua testa è quasi rimbalzata a terra, un colpetto alla tempia, un rivo di sangue sottile sottile, una medicazione, un cerotto, una cosa da niente. Amico, credimi! Poteva andarti davvero molto, molto peggio.”
Basilio aspirò profondamente il fumo del sigaro: “Già, sono stato fortunato. Solo Dio sa di che cosa sono capaci gli ubriachi… anche di ammazzarsi. Mi è andata proprio bene. E poi è successo in casa di amici: non oso immaginare cosa sarebbe potuto accadere se mi fossi trovato fuori, da solo, depresso, magari a vagolare nella Regione dei Deformi Genetici… Non voglio proprio pensarci: quegli Aborti mi avrebbero sbranato vivo per rivendere i miei organi al Mercato Nero. Cristo! Alle volte ho la tentazione di credere in Dio. Non ti sembra strano?”
Dorian gli sorrise, ostentando affettazione: “Oh, a volte capita anche a me. Però è un pensiero fugace che subito svanisce nel nulla, grazie a Dio!”
I due uomini all’unisono presero a cachinnare con tono effeminato.
“Ti ho già fatto vedere la mia ultima opera?”
“No, temo proprio di no.”
“Dio! Alle volte sono davvero tanto tanto distratto. Basilio, ti faccio strada verso il mio atelier.”
Basilio guardò estasiato l’ultima Opera dell’amico: la bioscheda gli mostrava una donna assai simile alla Marilyn che Dorian gli aveva descritto come una sua vecchia fiamma ormai partita per chissà dove. Era un lavoro cupo, che non mancava di provocargli un groppo alla bocca dello stomaco: pareva quasi che quella Marilyn avesse una doppia personalità. Aveva la netta impressione che ci fosse un po’ di Dorian in quell’Opera. Ma in fondo, ogni Artista che produce Arte, inevitabilmente, non può far a meno di ritrarre nell’Opera anche le sue ansie.
“E’ un lavoro davvero ottimo”, opinò Basilio soddisfatto. “Un po’ inquietante. In questo mondo così tanto agitato non si può davvero far a meno di ritrarre nelle proprie opere l’inquietudine dell’Artista.”
“Già, non si può far altrimenti”, concordò Dorian soddisfatto.
Dorian accese lo stereo con disinteresse calcolato. Le note di “Welcome to the Machine” cominciarono a far eco nell’appartamento: la voce matura, freddamente calda di Roger Waters si sparse nell’aere: “Welcome my son, welcome to the machine/ Where have you been?/ It’s alright we know where you’ve been/ You’ve been in the pipeline, filling in time/ Provided with toys and ‘Scouting for Boys’/”

* * *

Le ombre si proiettavano lungo le pareti scabre degli edifici; una pallida luna illuminava blandamente un mondo di macerie, rottami, carcasse umane. Molti della Regione dei Deformi Genetici se ne andavano in giro liberamente, nascondendo la loro ombra cerebrale dietro a una bautta nera, immemori della loro identità. Persino gli altri umani aborti si tenevano a distanza dalle OC: troppo mostruose davvero le OC perché le si potesse considerar vagamente umane.
La guardia indicò due OC: “Devo rilevare il vostro mac address”, intimò loro con voce apatica.
Le due OC non fecero una piega: la guardia fotografò la loro ombra cerebrale con una sorta di scanner e subito i dati raccolti vennero trasmessi alla Sede Centrale.
“No Mac Address – Lost Angels”, apparve sullo schermo dello scanner.
“Okay, niente”, disse la guardia. “Eccone altri due. Con questi nuovi acquisti, si sono superati i dieci milioni di OC. E anche questa volta hanno fatto un ottimo lavoro, nessuna traccia per riuscire a rintracciare la loro identità. Di certo c’è solo che furono un maschio e una femmina”, pensò la guardia, mentre sul volto rasato di fresco gli si disegnava una smorfia di disgusto.
Le due Ombre Cerebrali si allontanarono dalla vista della guardia e si mischiarono in mezzo agli altri aborti; uno, con un moncherino simile a un forcone rostrato, pungolò il maschio e questi cadde giù, e si rialzò come se nulla fosse accaduto, raggiunse la sua compagna di sventura e continuò a camminare… a camminare… a camminare…


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L’osceno Dorian Gray

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