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Con tutta la rabbia che ho – Vecchie poesie ora nuove – Iannozzi Giuseppe

Con tutta la rabbia che ho

Iannozzi Giuseppe

rabbia

Il deserto del tuo nome

E’ questo il deserto
del tuo nome?
“E, chi sei tu ?”

I peccatori morti
tutti, incappucciati,
per una spacciata verità
o una notte d’amore.
Ed è questo che volevi?
…sapendo
che il piccolo gabbiano
che nella tua angoscia volava
lasciato ha le ali
sul mare in lontananza?

L’uomo, che amasti
per un verso
alla felicità scucito,
riposa ora (nella realtà)
e più non si cura
di fare un po’ di sole
o il sorriso del tuo culo.

E’ questo il deserto
che hai lasciato
in chi sei tu stata,
tu mai vicina
a quella tua identità
plasmata in
“E tu, chi sei tu?”

Conti dolori,
in un mazzo di carte
li distribuisci;
ma nessuno parteciperà più
al tuo seminare;
e la zingara,
che fosti
– in un tempo ormai lontano -,
non capisce perché
sia capitato proprio a “lei”
quando sembrava una mano
un po’ migliore.

E seguiti tu a dire
che puttana è la donna
anche se sola con sé stessa,
con il ditale, il filo
e il cuore di Emily Dickinson
da rammendare. Ma non viene
la poesia
e la luce insegui
in una metropolitana di fantasmi
ignoti alla Storia. E a te.

Del tuo deserto
questo è il tuo nome.

Padri Caduti

Fossi stato cieco,
perdoneresti perché son caduto,
non ne comprenderesti però il motivo.

Se fossi vivo,
se solo fossi ancora l’uomo che ero,
sapresti che un caldo corpo stringeva a sé
la notte e la stretta delle tue stanche mani,
sempre cercando la storia
del timido tuo sgambettare fra le lenzuola;
annodavo le mie gambe alle tue,
poi piangevi libertà
quando la mezzanotte suonava,
e in punta di piedi da me fuggivi.

Se fossi, se ancora fossi con te,
non dovresti sanguinare guerra
nella solitudine che ora t’avvolge,
mentre cammini col pianto la terra.
Sono caduto e non ho fatto in tempo
a confessarti quanto ti ho amata
anche se a letto poco parlavo di noi,
del futuro che avremmo visto se…
dell’amore che avremmo dato se…

Non in verticale, non in orizzontale.
In una dimenticata tomba
– uguale a mille altre senza nome –
dorme lo spettro del macello:
e fuori ancora c’è la guerra
che impazza e fa numeri le anime
partite e subito a pezzi ridotte, perite
nella stretta dell’omicidio preventivo.

Sono andato via prima
che te ne accorgessi
insieme alle Torri Gemelle:
di me neanche l’ombra t’è rimasta,
o un Cristo che ti possa consolare.
Partito per la guerra, ci credevo:
sbagliata l’illusione
che sarei tornato a cullare il grembo
che nostro figlio accoglie
e il domani.
Mi chiedo come verrà su.
Mi chiedo se verrà abbattuto,
se sceglierà di restarti accanto.
Mi chiedo che padre sarei stato
in questi Giorni dei Padri Caduti.

Le sbrindellate spoglie
nella bandiera raccolte.
E il sangue del mio sangue
piange coi tuoi occhi di madre
l’eterna mia lontananza.

No, non questa invalida libertà
volevo lasciarti in eredità.
No, non questa mortale assenza
volevo lasciarvi in mia memoria.

Sono andato via prima
che potessi cadere nel domani.
Prima che potessi cadere
nel domani. Nel domani.

Caduto nella luce

Caduto nella luce
come uomo:
c’è il vuoto
totale assoluto, qui.
E non è l’Aldilà.

I padroni della guerra
dicevano che la Terra
aveva perso la libertà.

Io solo ho perso  la vita.
E la luce del Sole.

Il domani è un altro giorno
che non amerò, che non vivrò.
Il futuro un’altra ecatombe:
s’accompagna al mio fantasma
e a quello di altri mille
uguali a me.

Ma quelli propagandano, ancora
e ancora, che fa niente,
a patto che si cada nella luce,
a patto che si affoghi nel sangue.

Ecco! Sono ancora
nell’Aldiquà
sepolto in un’altra luce spenta
come candela al vento.

Carnivoro fato

Luna, se occhi hai,
questa notte mi porterai
fortuna. O illuminami te.

Luna, se bocca hai,
questa notte mi sazierai
con un morso. O due,
sulla pelle mia.

Riflessi ne avrai tanti,
ma io sono uno:
e ora credo che,
che dovresti spogliarti
per me. O per nessuno.

Luna, quale il tuo nome?
Luna, quale la tua fame?

Luna! Tu, carnivoro fato,
in questa notte. O mai più
m’avrai nel tuo incanto,
quando di te dirò
all’Alba che verrà.

Giorni di peste

L’uno accanto all’altro gli avelli,
del pallore lunare si vestono
senza pudore alcuno; nomi e cognomi
per sempre dimenticati in un niente
e che eppur un dì forte furono battuti
dalle campane della solitaria Chiesa
dal camposanto non lontana

Colla vanga in mano il nero becchino
non si stanca di scavare fosse profonde,
rinvenendo di tanto in tanto oscure radici
appartenenti a chissà quale vegetale mostro;
ma più spesso vengon fuori
omeri e tibie, lucidi teschi, mani anche
e mezzi scheletri sorridenti tutti denti

Una bestemmia dalla rauca gola
tosto per l’intorno in eco si perpetua:
il vecchio becchino il lavoro solito riprende
indifferente allo stormire degl’alberi,
ai petali dei fiori dal vento strappati
e sulle sue invisibili ali portati
tra cenere e miseria, su cataste di appestati
morti e insieme tutti bruciati

Morta è la passione

Un giorno vorrei mi sorprendessi
con una poesia di spirito e castità
Ben so che alla carnalità
sei votata; sol mi resta la possibilità
di farmi il segno della croce
e di frugare ben bene nelle tasche
in cerca d’un avanzo di sigaretta
Poi d’ogni surrogato piacere stanco
oramai incapace di pregare
per la salvezza o il Giorno del Giudizio,
chiuderò le pesanti porte della Chiesa
e da solo rimarrò di fronte al Cristo,
ma pronto ad appendergli al collo
una corda più resistente dei Sette Cieli

Essere nel giusto

Se Proprio Devo Morire Preso Sotto,
così sia ma sulle strisce pedonali,
giusto per essere nel giusto
Tutti rubano dando la precedenza a destra
E di certo non manca
chi ruba anche in banca
Se proprio devo morire preso sotto,
vorrei prima mostrarvi il sorriso mio migliore
da chiappa a chiappa, e l’avvento di dio
che si mostra in flatulenza
anche se non è valida scusante
per la sua eterna assenza

Libera al vento
un bambino un cervo volante
facendosi coraggio,
il lungo filo reggendolo fino alla fine
Una coppia d’anziani
da una panchina vicina commenta
reggendo un silenzio sdentato
e in bocca un solo dente per due
Cristo è morto o non è mai esistito
predica il parroco in chiesa,
forza poi la questua
tirando fuori una smorfia destrorsa,
tirando su col naso
non dimenticando di mostrare
la sua altezza di nano
che il petto gonfia d’aria e d’incenso

Se proprio devo morire preso sotto,
non sia per volontà
di chi predica la povertà
– povertà per anima e corpo
Se proprio devo perdere la testa
per una donna
o un’altra sporca rivoluzione,
così sia ma lontano da qui:
non voglio conoscenti o parenti accanto
a rubarmi le ceneri


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