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Il suicidio di Salgàri-– racconto completo da “Il male peggiore. Storie di scrittori e di donne” di Iannozzi Giuseppe

Il suicidio di Salgàri

di Iannozzi Giuseppe

Non avrebbe mai dovuto scrivere il primo racconto e mai avrebbe dovuto imparare a leggere. Bruno adesso lo sapeva, ed era troppo tardi. Quante candeline aveva spento? Sessanta. E cosa aveva ottenuto? Lo scherno del suo riflesso allo specchio. Aveva voluto fare di testa sua, non dare retta ai consigli di amici e parenti, così adesso era un fallito costretto a mendicare un caffè e a fumare sigarette di pessima qualità. Ma presto l’ignominia che in tanti anni si era acquistato scialacquando i suoi giorni su mappe e libri, sarebbe finita.

Con sguardo assente, Bruno camminava lungo lo stretto marciapiede di Corso Casale, lasciandosi alle spalle rapide carezze di vento e poco altro. Le auto sfrecciavano veloci, con una certa regolarità. E nell’aria ristagnava un forte odore di benzina. Dentro di sé sorrise, di tristezza: non c’era davvero motivo perché continuasse a consumare i tacchi sull’asfalto, mentre fumava una Yesmoke dopo l’altra. La depressione lo stava fagocitando, e per quanto, ogni santo giorno, dentro di sé ripetesse che doveva farsi coraggio, solo gli riusciva di rimettere l’anima in un sorriso sghembo, in una smorfia di pieno nichilismo.
Quando fu sotto il numero civico 205, senza alcun riguardo sputò via il mozzicone di sigaretta.
«Eccoci alla resa dei conti», disse a nessuno con voce strozzata frantumando le parole in bocca.
Levò gli occhi sull’iscrizione e la lesse per la milionesima volta: «Fra queste mura Emilio Salgàri visse in onorata povertà popolando il mondo di personaggi nati dalla sua inesauribile fantasia di lealtà e di coraggio. Perché gli italiani non dimentichino la sua genialità avventurosa, il suo doloroso calvario, la rivista “Italia sul mare” pone questo ricordo. Torino, 30 aprile 1959».

«Per questo ho buttato la mia vita!», sentenziò ringhiando fra i denti. «Per colpa tua, Emilio. Per seguire le tue tracce. Per essere uno stupido emulo, uno senza né arte né parte.»

Emilio lasciò cadere i fogli sulla scrivania, in mezzo alle mappe.
La testa gli doleva. La depressione l’aveva oramai sprofondato in un pozzo nero dal quale non sarebbe più riemerso.
Pensava a quanti anni aveva speso a inventare avventure per ricevere poco o niente.
Per quanto scrivesse, senza sosta, non riusciva più a far fronte ai debiti: lui scriveva, gli editori si arricchivano.
Cosa aveva scritto al suo amico pittore Gamba? Ricordava, sì, lui le ricordava ancora molto bene le parole scritte e mai rimangiate: «La professione dello scrittore dovrebbe essere piena di soddisfazioni morali e materiali. Io invece sono inchiodato al mio tavolo per molte ore al giorno ed alcune della notte, e quando riposo sono in biblioteca per documentarmi. Debbo scrivere a tutto vapore cartelle su cartelle, e subito spedire agli editori, senza aver avuto il tempo di rileggere e correggere».
Aveva già tentato di darsi la fine scagliandosi contro una spada, ma la figlia Fatima lo aveva salvato in extremis. E così, adesso, ancora soffriva, lontano dalla moglie Ida da mesi ricoverata in manicomio, dimenticato da un po’ tutti tranne dai figli e da pochi amici, che lo guardavano però con pietà.

«A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. […] Vi saluto spezzando la penna. Sono un vinto: non vi lascio che 150 lire, più un credito di altre 600 che incasserete dalla signora…»
Salgàri scrisse tre lettere indirizzate ai figli Omar, Nadir, Romero e Fatima, nonché ai suoi editori.
Le abbandonò sul tavolo così come si lasciano dei cadaveri ormai freddi, poi uscì di casa e prese il tram, quello solito.
In tasca teneva un rasoio.
Quel 25 aprile 1911 su Torino c’era un sole paglierino che rischiarava poco o niente l’intorno. Salgàri aveva scelto di mettere fine a quella sua vita che oramai gli pesava.
Il tram procedeva con lentezza. Emilio trasse un sospiro e con una mano accarezzò il rasoio che teneva nascosto dentro una tasca dei pantaloni.
Scese dal tram e con passo stanco si trascinò fino al bosco di Val San Martino.
La chiesetta della Madonna del Pilone lo attendeva, lo spiava in assoluto silenzio scandendo i minuti sull’orologio del campanile.
Gettò un’occhiata furtiva alla facciata della chiesetta, ripensando ai giorni sereni che lo avevano visto insieme alla famiglia: non rimanevano che ricordi sbiaditi, risate ovattate, immagini di picnic che non si sarebbero ripetuti mai più.
Trasse fuor di tasca il rasoio e iniziò il suo lavoro.

Bruno ce l’aveva anche lui un rasoio.
Emilio si era levato la vita tagliandosi il ventre in maniera orribile, e aveva terminato la carneficina di sé stesso tagliandosi la gola per lasciarsi cadere in uno dei tanti burroncelli del boschetto di Val San Martino.
Con gli occhi rivolti al sole che si leva, il cadavere del povero Emilio lo scoprì una tal Luigia Quirico, una semplice lavandaia entrata nel bosco per raccogliere un po’ di legna. Non erano stati i suoi figli a trovarlo e nemmeno un giornalista di grido, fu invece una popolana a dare l’allarme che un uomo giaceva morto nel bosco e che non era affatto un bello spettacolo.
Bruno pensò che Emilio si era levato di torno proprio come avrebbe fatto uno dei suoi personaggi.
Credendo di essere vittima di una malattia incurabile, anche Luigi Salgàri, il padre di Emilio, si era suicidato gettandosi da una finestra, sul finire di novembre, nel 1889.

«Per colpa tua, Emilio», gridò, fissando con occhi allucinati la targa affissa sotto l’ultima dimora di Emilio Salgàri.
Nessuno si sporse: finestre e balconi rimasero ciechi, vuoti di gente, di pubblico.
Bruno gonfiò i polmoni e diede un nuovo grido: «Per colpa tua, sì, per colpa tua, soltanto per colpa tua!».
Nessuno gli badò. Corso Casale era un mortorio, nemmeno i fantasmi si sprecavano di vomitare una risatina di scherno.
«Ho sprecato la mia vita, Emilio, proprio come te. Ed è così che mi ripaghi? Dannazione, vuoi venire fuori o no?»
Se solo fosse stato meno pazzo, Bruno si sarebbe forse accorto che le sirene della Polizia gridavano… che già lo stavano circondando.

Racconto tratto da “Il male peggiore. Storie di scrittori e di donne”

IL MALE PEGGIORE (Storie di scrittori e di donne) – Iannozzi Giuseppe –Edizioni Il Foglio – Collana: Narrativa – Pagine 330 – ISBN 9788876067167 – Prezzo: 16,00 €



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