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DAI RICORDI UMILIATO E OFFESO

DAI RICORDI UMILIATO E OFFESO

Antologia che scava nel tempo

Iannozzi Giuseppe

SPECIALE

Ti ricordi, ricordi che ti ho amata?
Come ti ho, quanto ti ho amata?
Come una stella – diritto di credere
al Paradiso e all’Inferno; ed eravamo bravi
a incontrarci nello specchio d’un tè caldo,
ed era solo un giorno che sapeva di Marzo.
Ma così speciale che non ti pareva vera
la Mano di Dio e la sua promessa
d’un’Eternità un po’ migliore di quella
scandita dai nostri cuori nella fretta
del mio orologio in precipitosa attesa
d’un treno sottoposto alla confusione
che sempre c’è dove Partenze e Arrivi.
E come e quanto, se oggi ancora
un ricordo di me ti ricorda a Te? E quale,
oggi la tua Stazione?

L’ORIZZONTE DI VLADIMIR

in memoria di Vladimir Vladimirovic Majakovskij

constatare che è rosso il sangue e ogni quartiere
quando si fa la sera e si scioglie sui candelabri la cera
la materia dell’orrore quotidiano
la teoria del terrore proiettato nel grido vano

nel mio teatro
sotto la neve
si ammanta di fiamme ogni fiera
ci si ammala di umbratile follia
perché rosso è il sangue
perché mai bianca rimane la neve

nel mio animo
schiacciato da mille umbratili spoglie
si spoglia la carne del suo peso
della materia e della teoria
si scioglie in un orizzonte insano
nel vuoto lasciato da una pallottola

TSUNAMI

Questa notte
Questa notte la tristezza
Ma tu conducimi dove l’amore
Insegnami una perversione

Questa notte
Questa notte la perfezione
Se mi dirai di sì
Se mi prenderai fra il velluto delle tue gambe

Questa notte, dov’è l’amore?
Legami al tuo sangue
O regalami a un gioco mortale
Con un bacio o un rasoio

Non senti anche tu le onde del mare?
Sono voci di sirene che si fanno incubi

Mi accompagnasti sotto un ciliegio in fiore
Non era molto tempo fa
Sorridevi e tacevi ogni parola
Solo lasciavi che prendessi il tuo sapore
E l’erba era fresca
E il vento soffiava i nostri nomi

Ma questa notte, questa notte è diversa
C’è il mare che non riposa
C’è il tuo triste cuore che si agita nel mio petto
E noi affoghiamo il respiro nel dolore, Tsunami

Le vene mi si spezzano su scogli di solitudine
E le tempie bruciano sangue
Manca il tuo respiro in questa notte

Non era molto tempo fa
Che respiravamo baci per dissetare la sete
Ma tutto passa, anche la voglia di vivere
Tutto passa, anche l’amore e il dolore
Che ti faceva religione in me

Questa notte
Questa notte la tristezza
Ma tu portami dove l’amore
Insegnami una morte veloce
Mentre ti bacio fra le gambe
O con un rasoio di perfetta perversione
Mentre ci culla il mare in tempesta
E le sirene urlano orgasmi

Cranio rasato
C’è l’onda della tua seta nera
Celebro così la prima sconfitta
Affondo il volto nei tuoi capelli, Tsunami

Conducimi in salvo
In quella Terra misteriosa
Dove regna Amore
Noi sapevamo dov’era

Condannami alla salvezza
Con una perversione che sia più grande di noi
Con una perfezione che sia più dell’Amore

Questa notte
Questa notte la solitudine
Questa notte la perfezione
Se mi dirai di sì
Che si può cavalcare l’onda nera, Tsunami
Senza respirare mai più
Senza respirare mai più

QUANDO PIOVE

Vieni solo quando piove
Senza chiedere permesso,
di me tu fai quel che vuoi.
Vai poi via piena di te stessa.

Mi chiedo come andrà a finire
questa storia; sarà forse un rasoio
e un po’ di sangue nel canale di scolo,
o un ombrello rotto sotto la pioggia.
Non ha senso aspettarmi di più,
battere il tempo e stargli dietro,
cantare poi la nostra canzone al Sole.

Meglio definire la parola Fine,
ora, ora che sta piovendo. E
che ti so così vicina. E sola,
bagnata ma in mio possesso.

RASOIO DI PASSIONE

Amore, lo so che sei donna.
Ho speso l’ultimo mio biglietto
e non c’è niente che tu possa fare
perché venga nel tuo letto ancora.
Ho solo una poesia che non ami
e le tasche bucate. Ma spero che,
che stasera aprirai quel cassetto
accanto al tuo letto di sudori e odori:
c’è una vecchia Bibbia, e penso che,
che potrebbe tenerti compagnia
prima del sonno, dopo l’amore
con un altro rasoio di passione.

LA FABBRICA

E ora t’accompagnerai con uomo:
i suoi occhi come fabbriche ti diranno
che l’amore l’hai prostituito nel fumo.
Piangerai. Dirai che non è vero.
Il tuo cuore pomperà sangue e lacrime,
passione e pena. E sarai felice di vivere
e morire per lui che ha un contratto
con la fabbrica di chi non è più nessuno.

ULTIMA TENTAZIONE

Piacerebbe viverti accanto,
guardare il tuo sorriso svegliarsi,
andare per campi a mietere amore.

Ieri ho incontrato il parroco
che mi ha spiegato
quanto e quanto spietato è l’amore:
non sapevo che scusa inventargli
per dimostragli il contrario.
Mi nasceva un singhiozzo in gola,
e lui, il bastardo, lo sapeva
che ti avrei persa tra le fila
delle donne comandate a pregare
per un dolore più grande del mio.
Il tuo rosario
– è meglio che tu lo sappia –
non l’ho mai sopportato:
legavi il mio collo con quella croce,
trovavi fosse eccitante il soffocamento,
l’anima mia
che s’arrovesciava negli occhi.

Piacerebbe amarti completamente,
so però che hai un altro più famoso di me
che reclama la religione della tua fica;
così credo che oggi andrò a incontrare dio:
mi hanno assicurato
che ha un suo binario morto
e che un uomo sa percorrerlo senza paura
fino alla fine, senza mai voltarsi indietro.

Piacerebbe viverti accanto e dentro,
come un aborto o un rasoio per le vene.
I tuoi polsi mi hanno eccitato sin dall’inizio,
anche quando legavi il robusto mio respiro al letto
e affannavi su me il tuo fragile corpo in una croce
che fosse per te il mio venire soffocato
– sognato vergine, tragico, uguale a un sudario,
impossibile come l’ultima tentazione di Cristo.

Oh, quanto ti vorrei sapere
dove muore la cronaca nera!

Ho in bocca il sapore della prima sigaretta,
e nella testa l’ultima nudità di Maddalena;
ho in bocca il risveglio del primo caffè
e nel bassoventre la vuotezza che mi hai spremuto;
ho un incubo di polsi tagliati e un sogno soffocato,
e nel cuore tutto l’amore che più non saprai.
E nel corpo tutto il sesso che più non avrai.

Piacerebbe farmi ombra a te accanto
almeno per un ultimo infinito momento,
anche se un uomo non torna indietro mai.
Anche se un uomo non torna indietro mai.

UMILIATO E OFFESO

in memoria di Fëdor Michailovic Dostoevskij

l’effetto dostoevskij si svegliò come memoria del sottosuolo
fu un colpo, un’allucinazione, un ballo russo epilettico
fra demoni, idioti e fratelli karamazov
fu morire in un conflitto spirituale, in un dramma individuale

condannato a morte
quando correva la primavera pietroburghese
il patto socialista contro la maggioranza zarista
condannato a morte
in dicembre, l’offesa di cinque anni ai lavori forzati
condannato a morte
in dicembre, fucilato nel fuoco dell’epilessia
nel freddo della siberia

umiliato e offeso, fuoco e freddo, gemella emarginazione
ti risvegliasti nella posa del caffè, memoria del sottosuolo
condannato a morte, fuoco e freddo, gemella ispirazione

se ci fu colpa
se ci fu colpa, fu un colpo epilettico, il bacio di dio

QUESTA FINE

era meglio morire da piccoli
piuttosto che fare questa fine da grandi
questa figura da stronzi
lo scambio di coppie, il naso da pinocchio
e tutto l’amore lasciato e fucilato alle spalle

la filosofia storta di schopenhauer, la vecchia perpetua
la sonata di bach e i segni rossi della maestrina sul diario
della vita

ma quale significato e significato in tutto questo?
quando piccoli la morte sarebbe stata dolce
come un cappuccetto rotto a letto, una distrazione

e invece oggi è ancora questo pontificare
dire una preghiera in pubblico e farne un’altra in privato
aspettando il colpo finale che metta la parola fine
a questa figura da stronzi, a questa fine da grandi stronzi

era meglio morire da piccoli
piuttosto che mortificarsi nel tropo perfetto
nella filosofia d’un bicchiere mezzo pieno, mezzo vuoto
nelle scarpe troppo grandi di charlie chaplin
ma del resto, della vita frega una sega a nessuno
quando non è a rischio il proprio privato interesse
quando tutti gli altri a morire per un miserabile pane

era meglio, e invece il prezzo del significato ancora
ancora senza significato
era meglio, e invece i segni rossi della maestrina sul diario
della vita
e tutto l’amore lasciato e fucilato alle spalle

IL GIORNO DELL’ESECUZIONE

e mi porterai davanti al plotone d’esecuzione
per una promessa di lacrime non mantenuta
e mi dirai che il fuoco sarà la bocca della verità
e io solo spegnerò gli occhi miei davanti ai tuoi

CENT’ANNI E UN GIORNO

campò cent’anni di realtà e un giorno allo specchio
solo per veder schiattare amici e nemici tutti d’un colpo
solo per riconoscere il suo proprio viso rasato di fresco
senza testimoni

ALBATROS

le parole non fanno le promesse né gli uomini
le parole fanno le parole vuote
solo affondano nel loro significato
solo mutano coi tempi ma rimanendo uguali
e che ne sai tu del sole che è in alto?
e che ne sai tu della luna che è in alto?

alzo le mani, celebro tutto questo
resto in volo, lontano da te, nel mio spazio vitale
che è almeno almeno una conquista pacifica

come un albatros spiego le grandi ali
seguo le navi e la loro scia di spuma, l’oceano
lascio ai poveri di spirito il lombrosiano

e che ne sai tu del sole che è al tramonto?
e che ne sai tu della luna che appare e scompare?

spiego le ali, celebro tutto questo
come un albatros conosco la libertà

FARFALLE

tengo il mio, la strada
si sbaglia sempre
quasi mai abbastanza
come le foglie cadono
così le farfalle e il loro volo

il ritorno fa paura
come l’andata
e sempre la pioggia spinge
il mio riflesso nelle pozzanghere

dicesti “non finirà”
dicesti “è così la vita”
così adesso lo so
che ogni male viene per nuocere
per piovere

tengo il mio, la strada
tutti hanno un dolore
e una commedia da portare avanti
come le foglie cadono
così le farfalle e la vita in volo

SILENZIO DI PAURA

Nel Silenzio stillante
stava una goccia di sangue.
Ma non la Morte.

Silenzio di Paura
era non vivere,
non morire.

LIBRORUM SIBYLLINORUM ANTISTES

Sibila Sibilla
“Distruzione!”
nel grido di Stilicone,
là dov’ergeva
– sul Palatino –
di Apollo il tempio.

E d’Augusto
rimane il pianto

ALL’ALBA

Corsi lo sguardo tra le genti,
nei fumi mescolati all’alba stanca,
sempre cercando al desio
un appiglio che fosse almeno
distratta fortuna:
il tuo sveglio fiato
o l’illusorietà d’un Icaro in volo.


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