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Non posso accettare i tuoi auguri

Non posso accettare i tuoi auguri

Iannozzi Giuseppe

Non posso accettare i tuoi auguri

Non posso, credimi, non posso accettare
Non posso accettare i tuoi auguri lontani
Stanno sulla bilancia il Bene e il Male,
come tocchi di carne ben macellati
vuoti di vita, vuoti di valore;
non vale, non vale davvero la pena
scegliere quale il pezzo migliore

A chi mi ha chiesto ho detto la verità,
la sola che conosco
A chi mi ha pregato di scacciare
dal tavolo le mosche, ho detto la verità:
mai ho conosciuto una donna,
una donna votata all’Ordine dell’Amore;
ho però conosciuto giusto ieri un folle
e uno che da sé s’impiccò a testa in giù
un milione di anni fa o giù di lì

Ricevo posta un giorno sì e uno no
Nessuna lettera mi parla di te,
e così lascio la penna nel calamaio:
non risponderò né oggi né mai
L’ho capito da un po’ che non è
di poesia la vita

L’ho capito da un po’ che non è
di poesia la vita,
così non scrivo più d’amore,
barzellette senza né capo né coda
per far ridere certi poveri cristi
– marinai che più non sanno la fede,
la gioia d’andare per mare

Capriccio

Pare, sol pare
una guancia
che una a una
le piange
e le partorisce
oggi le vite,
le nascite
che domani
nella negra terra
sprofondate:
così la primavera,
lieve gioia
che in aprile,
per incomprensibile
divin capriccio,
sboccia

I.

Stamattina mi sono aperto gli occhi
con il solito, un bicchiere di spenta lucidità
Sul pavimento avanzi d’amore,
mozziconi e giochi da tavolo in confusione
E la mia faccia più brutta del solito
fra gli scacchi il re la regina e lo specchio
E quel cazzo d’aforisma scritto col rossetto
E queste due lacrime dolci e amare e silenti
che mi tagliano il sorriso in due
mentre il cuore in petto perde un colpo

Ma stasera è sicuro che avrò il mio bel daffare,
un milione di Majakovskij e un altro di whisky,
una poesia a metà e un colpo veloce di pistola

E così capisco d’essere solamente solo,
giusto un piccolo ingombro nell’Universo
Però l’alba è già alta rossa oltre le Alpi
e non resiste più neanche la voglia di morire
– di soffrire come un cane affamato
legato alla libertà d’una rugginosa catena

II.

Non ti amerò
perché sei tu a comandarlo
Non ti farò preghiera
perché sei tu (come per Giasone) a condannarmi
Non cercherò le tue labbra
né ringrazierò le lacrime che un dì versasti
nella tinozza dell’acqua santa sotto la Croce

Non dimenticherò
che mi hai dimenticato
per un capriccio di gabbiani
e un batter di mani a teatro
Non ti perdonerò d’avermi amato
sempre a modo tuo per il mio bene
Tu non sai qual è il mio desiderio
Come pretendi di mettermi in riga?

Come pretendi d’avermi accanto
se quel che fai è per il mio bene
ma a modo tuo?

Butta giù quel grattacielo,
i faraoni alle scrivanie
dietro alle loro babeliche torri di burocrazia
Butta giù il telefono
e dimentica d’esser legata
alla condanna d’un numero

Vieni poi a me accanto e taci

III.

Dovresti volermi un po’ di bene
nella confusione che da mane a sera c’è
Dovresti volermi un po’ d’amore
invece di perderti nei pensieri tuoi

A letto hai letto tutti i romanzi rosa
e quelli che parlano di guerra,
e fino alle lacrime ti sei commossa
per ogni fila di uomini caduti
nei dispetti degl’inutili sogni loro

Così, oggi, il capo scuoti e sorridi
felice d’esserti lasciata alle spalle
il pianto delle notti buie e insonni,
perché adesso sì, vivi qualcuno,
un uomo umile sì e no, un po’ santo
uguale a chi in terra straniera muore
e davvero non lo sa il perché

IV.

E adesso chissà che fai
Chi può dire dove ha trovato
il cielo rifugio
A me sempre manca il coraggio
di tagliare la coda alle lucertole,
continua a darmi fastidio la luce
Non ho però ancor dimenticato
la bocca tua saporosa, e dal collo
in giù – amami una, due volte

Son cigni i ballerini, lo fanno bene
Sull’amante volano, lo feriscono
con passi leggeri, astuti di tecnica
s’inventano volti più bianchi
della cera sciolta – della morte libera
Li amano le donne, alla follia li amano,
gentiluomini due volte li credono
Giovane donna, fammi divertire,
mostrami il bianco dei denti
E amami una, due volte

Dal volto ti sei levata la maschera
Inconsolabile Eschilo
Più non gli basta il jazz,
più non gli fa effetto il whisky
Tragico corre dietro ai ballerini

E amami una, due volte o di più

Han dato forfait dèi e vampiri
Oltre i confini delle labbra
s’annebbiano monili e capelli sciolti
Sei bella, bella dal collo in giù
Ami tu colpir di frusta, di più,
sempre di più, sempre di più
Sei bella, bella dal collo in giù

E non ha più un rifugio il cielo
Dal collo, dal collo in giù il miele
Raccogli le mie mani, abbi cura di me,
e non fiatare: in cielo già sporge
un buco nero, lo vedi anche tu!

Di buchi neri è ormai gravido il cielo
Ma tu amami, dammi quel che hai
dal collo in giù, dal collo all’inferno
E amami una, due volte o di più

V.

Nascondetemi dal sole
che ferali raggi reca alla vista
sulla pelle tiepida d’amore
dopo la notte passata
e la lingua di fuori
ancora inzuppata di odio,
di sapor di donna e Balzac

Lontano, ti prego
da questa Commedia Umana
di sudori assetati al mattino
di altri sudori
rinnovati e giovani

Lasciami dormire
sotto il peso del lenzuolo
nella confusione dei pazzi
di sotto in strada
che con le loro urla belluine
l’orecchio e la pietà di Dio feriscono

Ho fatto il mio dovere

Ho fatto il mio dovere,
frantumando sgrammaticature
e parole cariate vuote di luce
Ho fatto quel che andava fatto
e non ricordo più niente, più niente
Non un ricordo ingombra la memoria,
non uno sgarbo o uno sgorbio sposa
la storia che fra noi mai fu

Ho fatto il mio dovere,
e l’ho fatto per amor mio,
per amore della mia statura

Voi anelate a un’incomprensibile banalità,
io a una professionalità uguale
a quella d’un condannato a morto
Voi cercate ancora la luna in fondo al pozzo,
io no, aggiusto lo sguardo come un cecchino
per una santità a misura d’uomo

Ho fatto il mio dovere
mentre Dio si dava via a una distrazione,
a un capriccio di donne un po’ così e così
Ho fatto il mio dovere
consumando il passato a lume di candela
aggiustando versi su versi
fino a toccare con mano perfezione da coglioni

Voi anelate a vivere fra nani e mezze verità,
voi amate andare avanti con le gambe corte,
io no, punto a una semplicità sacrificale
che uno a uno sgozzi agnelli bianchi e neri

Ho fatto il mio dovere,
fino in fondo ho fatto
tutto quello che andava fatto
per amore della mia statura,
della mia statura solamente

E ora non ricordo, più niente ricordo
Solo anelo a una professionalità
uguale a quella d’un condannato a morte,
solo aggiusto e aggiusto lo sguardo
come un cecchino per una perfezione da coglioni

Camicia di relazioni pericolose

Hai visto, hai visto anche tu?
L’attore che amavamo di più,
senza pensarci su,
ha puntato la 45 della pazzia alla tempia
per riuscire finalmente a recitare
la commedia d’una disumana esistenza
in un manicomio di finestre di piombo
Sfoga adesso i suoi sorrisi assassini
addosso a certi camici bianchi
che malamente lo imitano
addormentandosi a tarda sera
in una camicia di relazioni pericolose

Hai visto, hai visto anche tu
di cosa è capace un uomo
che il bagaglio della vita
tutto l’ha impegnato
per toccare gli estremi gemelli
dell’apice e del fondo;
e vogliamo forse noi imitarlo
per essere come lui delle scimmie
senza un minimo di decadentismo wildiano,
ma con una grassa gobba nel cervello?

Lungo i fianchi lascia cadere le mani,
e con un silenzio d’oro metti a tacere
il pubblico che più non sta nella pelle,
che come serpente tentatore sibila
e dalle poltrone scivola con il culo basso

Con un silenzio di peccati d’oro
metti a tacere chi non ha capito
e chi mai capirà
come sul palco del mondo si sta

Per una lama di luce

Ci manca sempre,
sempre la meraviglia
di meravigliarci per un lama di luce,
che per nostra colpa solamente
– perché presi nell’insoddisfazione
del metro dei giorni uguali ai giorni –
più non sappiamo emozionarci
quando il battito del cuore di Dio,
timido e tremante,
preme su quelle inflazioni
dentro al nostro petto
gelosamente custodite
manco fossero esse tesoro
da non rigettare.

E sia il giorno di luce

E sia il giorno di luce
anche se pioggia vien giù
costellando di stelle
le pozzanghere
dai nostri piedi calpestate.

Senza una minima fortuna

Ho visto uomini seminare il male
e li ho visti toccare un secolo di vita
senza che un alito di vento
gli scomponesse mai la chioma

Giù in paese dicevano parole,
le ripetevano come un mantra;
aspettavano i retti che il tempo
cadesse nel tempo, nell’incastro
d’una Mezzanotte senza ritorno
Aspettavano che la giustizia
sposasse finalmente la verità

Ma ogni giorno, ogni santo giorno
uscivano dalla chiesa le bare,
quelle di uomini poveri in canna
che mai avevano rubato una paglia;
ogni giorno un timorato di Dio
finiva male, a pezzi, in orizzontale,
senza neanche aver sfiorato
la mezza età

Ho visto uomini seminare il bene
e in sequenza li ho visti cadere
senza che una minima fortuna
gli asciugasse la fronte di sudore

Non perdere la tenerezza

Un gesto,
o una eccezione alla regola
per non sprofondare
nella paura d’amare,
per non dimenticare la tenerezza
Donare fiori di campo,
fiori rubati al vento
che ci sferza la faccia;
regalare secondo l’occasione
rose o crisantemi
a chi oggi c’è
e anche a chi domani no,
seppellendo al di là di noi
il superfluo,
vergini spine e petali appassiti
che potrebbero far sfiorire
nel tempo breve d’un secondo
l’anima del ricevente.


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